In Conversando con

Conversando con Sergio Staino

Intervista di Valter Vecellio
Scandicci, 04 febbraio 2016

Valter Vecellio intervista Sergio Staino, regista e vignettista.

Sono stati discussi i seguenti argomenti: Amministrative, Cina, Comuni, Comunismo, Cultura, Democrazia, Elezioni, Giachetti, Governo, Informazione, Istruzione, Italia, L’unita’, Lenin, Linus, Mao Tze Tung, Marx, Pannella, Partiti, Partito Democratico, Partito Radicale, Pci, Periodici, Politica, Primarie, Renzi, Riforme, Roma, Satira, Sinistra, Stalin, Storia, Tv, Urss.

Questa rubrica è disponibile anche nella sola versione audio.

Fonte: Radio Radicale

D.: Sergio Staino…Lo presentiamo, ma non dovrebbe essercene bisogno…Disegnatore…vignettista…ma definirlo così mi sembra limitativo. Un artista completo, comunque. Intanto, conoscendoci da anni, sarebbe ipocrita il “lei” che si deve usare nelle interviste. Per una volta si deroga con il più colloquiale “tu”; e per quel che riguarda le tue vignette…Le ricordo da sempre, dai tempi di una gloriosa rivista di fumetti, “Linus”, pubblicata dalla gloriosa Milano Libri…Ma hai fatto anche tanto altro, per esempio ideatore e animatore. Direttore di “Tango”, il supplemento satirico e irriverente all’interno de “l’Unità”, che allora era il quotidiano ufficiale del Partito Comunista; e poi tante altre pubblicazioni, mostre… Il tuo famosissimo “Bobo”, ha fatto storia immagino gli abbiano dedicato una quantità di tesi di laurea, a quel personaggio e a quel microcosmo che rappresentava e descriveva un mondo in trasformazione, il militante eternamente pensoso e perplesso, pieno di dubbi e incertezze, praticamente il tuo alter ego e la tua famiglia, la moglie, i figli…una saga che a svolgerla credo spieghi molto dei tempi che viviamo, e anche le vicissitudini, i tormenti, le trasformazioni da PCI di Enrico Berlinguer a oggi, Partito Democratico di Matteo Renzi… Sergio, tu compari quotidianamente su l’Unità, che è una “l’Unità” ben diversa da quella che era solo vent’anni fa… Ma tu non nasci comunista, o meglio, non nasci PCI. Nella tua giovinezza c’è una militanza che forse i più anziani conoscono, ma non tutti, credo: in un piccolo Partito marxista-leninista, non so se in quello di linea rossa o linea nera…Cominciamo da qui, se non hai obiezioni…

Sergio Staino: “Ma sì, perché no? Era un Partito nato nel 1966, sull’onda, se così si può dire, del revisionismo da parte del PCI. Voglio dire: in realtà, il PCI da tempo aveva iniziato un progressivo allontanamento dai miti fondativi, l’idea della dittatura del proletariato per capirci; e dall’orbita dell’Unione Sovietica; e sempre più nei fatti, e nella sua elaborazione culturale, accettava il gioco democratico, la cosiddetta democrazia borghese, parlamentare. Una cosa che la parte estremista del PCI, se così la posso definire, ha sempre imputato a Togliatti; e non senza ragione. Togliatti, effettivamente, dalla svolta di Salerno in poi, sviluppa un’idea di democrazia che è quella che conosciamo, abbiamo vissuto. Non sopportando questa concezione, questa politica, a un certo punto, sfruttando i conflitti ideologici (e non solo ideologici) tra Unione Sovietica e soprattutto la Cina, ecco che viene fuori quel Partito marxista-leninista…”.

D.: Stiamo parlando della Cina di Mao.

Staino: “Sì, la Cina di Mao Tse-Tung, o di come lo chiamano ora; è la stessa Cina ha compiere la scelta di favorire e incentivare la formazione di partiti a lei vicini, alternativi a quelli ortodossi, ufficiali, filosovietici”.

D.: C’era anche uno staterello che si chiamava Albania

Staino: “Era il 1966 se non ricordo male… Per motivi poi storicamente legati alle contraddizioni all’interno del fronte dell’URSS, l’Albania si schiera con la Cina”.

D.: Per chi non c’era: si sta parlando dell’Albania di Enver Hoxha

Staino: “Sì, quella di Hoxha. L’Albania rompe con l’URSS (e rompere significa anche trovarsi in difficoltà dal punto di vista economico, perché l’Unione Sovietica aveva costituito, tramite il Comintern, un sistema di rapporti per cui le scelte economiche dei singoli paesi non erano autonome, erano legate a una visione centralizzata che partiva da Mosca) entra in crisi: praticamente manca tutto, il paese per quanto abituato alla povertà, chiuso com’è geograficamente, non ha alcun mezzo di sostentamento; ecco che la Cina si propone come elemento di sostegno; ovviamente l’Albania deve stare al gioco, non ha scelta…E’ un’opzione di disperazione, non di ideologica convinzione. Questo però io l’ho compreso dopo”.

D.: Comunque c’era quest’asse: Pechino-Tirana; e qui in Italia, in Toscana soprattutto, c’eravate voi.

Staino: “Qui in Toscana c’erano Manlio Dinucci, Livio Risaliti, Pietro La Gamba, altri, che fondano questo partito. Poi, nella migliore tradizione, cominciano a dividersi. Nascono altri micro-partiti: linea rossa, linea nera con Angiolo Gracci… Eravamo tanti gruppetti, settari all’inverosimile, una visione militarista della gestione del partito e della società”.

D.: Quanti anni avevi quando ti sei trovato in questo mondo?

Staino: “Sono entrato nel 1969, tre anni dopo la fondazione del partito, e dopo che era iniziata una certa delusione da parte delle aspettative del ’68… Il movimentismo del ’68 ci aveva entusiasmato, però non aveva gambe operative, il PCI ci aveva praticamente abbandonato, condannando il ‘movimentismo’, e allora, cominciarono a nascere delle alternative, o presunte tali. Tra queste c’era il Partito marxista-leninista, e poi tutti gli altri naturalmente. Tra gli altri anche Renato Curcio, in quegli anni lì era con noi, anche se poi se ne va, e dopo fonda le Brigate Rosse”.

D.: Parliamo delle tue esperienze ‘albanesi’

Staino: “Ero molto di questo piccolo staterello, più della Cina. La Cina la seguivo da tempo, ero abbonato alla rivista ufficiale della Repubblica Popolare Cinese, avevo letto molto di Mao, seguivo quello che ci raccontavano della Cina: situazioni bellissime, fantastiche dal punto di vista dell’organizzazione sociale, che poi si sono rivelate tutte bufale; per l’Albania è stata la stessa cosa…Però fra i due paesi scelgo la piccola Albania, forse perché ho sempre amato le minoranze, non so; e divento segretario dell’Associazione Italia-Albania, e sono andato spesso in delegazione o accompagnando gruppi. E’ stata un’esperienza che solo una fede cieca e la volontà, proprio sovraumana, di non ammettere che stavamo facendo una grande cazzata, che ci porta ad accettare delle cose, che uno col senno di poi: “Ma come può essere che?…”.

D.: Quand’eri così ‘accecato’, già disegnavi?

Staino: “Disegnare lo faccio da sempre, ho cominciato a tre anni; mio padre era in guerra. Con mia mamma vivevamo in un paesino, Piancastagnaio dove sono nato, molto isolati; mamma non aveva amicizie, era arrivata casualmente lì, passava molto tempo con me e, dopo avermi letto e raccontato le favole, aveva cominciato, come gioco, a ricopiare i disegni dei libri di favole. Io a tre anni cercavo di fare i cavalli, i cavalieri, le regine… Forse si può dire che ho sostituito il ventre materno con il disegno: le sicurezze, la tenerezza della mamma… da allora non sono più riuscito ad abbandonare il disegno. E’ diventato quasi un elemento di sopravvivenza. Da adolescente ho passato dei momenti in cui avevo crisi, momenti di paura, tensioni, malattie di parenti, esami… Dovevo disegnare…”.

D.: Il disegno come terapia?

Staino: “Già. Mi mettevo con una punta scrivente e un piano: la prima linea e…tutto che usciva…”.

D.: Stiamo parlando di disegni o di vignette?

Staino: “No, allora erano disegni”.

D.: Te lo chiedo perché qui ho sottomano uno dei tuoi primi lavori, pubblicato dalla “Milano Libri”: ci sono vignette molto divertenti, molto ironiche, molto autoironiche. Mi chiedevo: Sergio Staino, da una parte, ci ha detto che era accecato e voleva credere in quello che gli occhi gli dicevano non essere vero e, dall’altra, aveva invece questo spirito dissacrante e anche autodissacrante. Come riuscivano a convivere con queste due anime?

Staino: “Semplice: non convivevano. Soprattutto dovevo lottare molto con i miei compagni di partito, insomma. Ero messo sempre sotto accusa per questo mio atteggiamento che definivano piccolo-borghese. Già il fatto che avevo la barba era ritenuto un atteggiamento degenerativo. Quando andavamo in Albania, per esempio, bisognava tagliarsi la barba…”.

D.: Questa mi manca

Staino: “In Albania, avevano costruito lo stereotipo preciso di come era il giovane debosciato, borghese, traditore della rivoluzione. Avevano anche fatto dei grandi manifesti affissi ovunque, che mostravano questo giovane, maschio, con i capelli lunghi, la barba, i pantaloni a zampa di elefante, le scarpe con il tacco; o un sassofono in una mano o una pistola nell’altra mano… Questo era il tipico degenerato. Chiunque aveva uno di quegli elementi lì, era considerato controrivoluzionario…”.

D.: Per sapere: come la mettevano con Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara?

Staino: “Non ne parliamo! Assolutamente…Degeneri, traditori… Non solo: avevano anche teorizzato (ora faccio un po’ ridere, probabilmente), un progressivo sviluppo del marxismo-leninismo che andava, in senso proprio opposto alla perdita di pelo da parte suoi dirigenti. Si partiva con Marx ed Engels che erano tutto un pelo (capelli di una certa lunghezza, tutte barbe e compagnia bella)…”.

D.: Scusa. Ecco come la mettevano con Marx?

Staino: “L’inizio. Poi però c’era l’evoluzione del marxismo. Già Lenin aveva solo un pizzettino. Stalin ancora un’evoluzione: i baffi. Dopodiché Hoxha e Mao senza quasi più peli… Quindi c’era un rapporto fra sviluppo del marxismo-leninismo e la quantità di peluria nella faccia del dirigente di turno…”.

D.: Senza capelli, senza barba e senza baffi, il compagno perfetto

Staino: “Pensa che era difficile andare in Albania. Quando andavamo, dovevamo selezionare bene e preparare i compagni: dovevamo convincerli che andavano a visitare il più bel paese del mondo, dove il socialismo si stava realizzando. Alla frontiera, ci aspettavano due militari, uno barbiere, l’altro sarto. Il militare barbiere aveva il compito di tagliare capelli e barba a chiunque, compreso un vecchio partigiano di Napoli che aveva lottato in Albania, e veniva per la prima volta a rivedere i luoghi del suo martirio…”.

D.: Tu andavi con la barba e te la tagliavano

Staino: “Io me la tagliavo prima… Quando arrivavano non tanto noi, quanto le delegazioni dei partiti tedeschi o finlandesi o norvegesi, che avevano una visione molto fricchettona della rivoluzione, e per questo arrivavano con capelli e barbe lunghissime, con vestiti a fiori, li distruggevano: tagliavano barbe, capelli, li rivestivano, le zampe di elefante dei pantaloni venivano tagliate e ricucite dal sarto, le minigonne allungate con pezzi di stoffa che avevano lì apposta per questo…”.

D.: Un mondo da incubo, scusa

Staino: “Ma te ne potrei raccontare tantissime… L’unica cosa che posso dire, che sono stati anni di un settarismo talmente cieco che, probabilmente, mi hanno vaccinato per sempre. Così ora quando vedo certi compagni, tipo Civati, Fassina, rivedo in loro le cazzate nostre di quegli anni… Mi dico: ‘Ma come è possibile che, a tanti anni di distanza, si ripetano queste forme così elementari, così ingenue…insomma, come mai si autocastrano in questo modo…”.

D.: Vizio antico della sinistra, questo, ieri, oggi

Staino: “Vero. Nel 1979 esco finalmente dai marxisti-leninisti. Ci sono stato una decina d’anni, che sono tantissimi, una vita. Non so come ho fatto veramente ad essere così stupido da starci tanto tempo. Ma per venire a tempi a noi più vicini. Per dire: penso che Cuperlo rinunciando a fare il direttore de “l’Unità” abbia commesso una sciocchezza, per me avrebbe dovuto accettare, è una persona per bene, intelligente…Il guaio è che si trova dentro a una specie di setta anche lui, un gruppetto di persone, Massimo D’Alema e gli altri che gli hanno impedito di fare una scelta. Parlo di logiche, ovviamente; e le conosco bene…In quel partitino marxista-leninista ci vedevamo fra noi, i migliori amici erano lì, le nostre amanti erano lì, il punto di riferimento era lì, il pranzo e la cena erano lì… Se ti scappava da dire: ‘Ragazzi, non son d’accordo…’, ecco: ‘Sei un traditore, da fucilare’…”.

D.: Se può essere di qualche consolazione, non è solo un vizio di quel gruppo di marxisti-leninisti o della “sinistra dem” di oggi. E’ piuttosto diffuso, anche in altre organizzazioni politiche. Compagnia numerosa, insomma.

Staino: “Non consola, questo. Tutt’altro. Comunque quando ho lasciato i marxisti-leninisti mi sono sentito molto libero: una gran voglia di libertà, di fare; dall’altro, molto bruciato sul fronte della politica. Tieni conto che ero arrivato alle soglie dei quarant’anni, senza poi nulla di fatto in mano: insegnavo educazione tecnica alle scuole medie, ma insegnavo perché il partito mi aveva detto che non potevo fare l’attività di architetto. Per essere un militante marxista-leninista, dovevo avere un lavoro che mi desse uno stipendio fisso e mi lasciasse parecchio tempo libero da dedicare al partito. Invece mi son trovato con un problema grave agli occhi, un grosso problema anche per guidare e compagnia bella… a scuola c’era una legge che prevedeva il dimezzamento degli insegnanti di educazione tecnica e io rischiavo molto ed eravamo in questa situazione; avevo una moglie che amavo enormemente, la mia compagna attuale, una bambina che bisognava comunque sfamare…Insomma dovevo arrivare alla fine del mese… Ho detto a mia moglie: ‘L’unica cosa che posso fare è tentare di arrotondare lo stipendio, vediamo se riesco a vendere delle strisce, mi piacevano tantissimo i fumetti, era uscito Linus da alcuni anni…”.

D.: Il direttore era il mitico Oreste Del BuonoE’ vero che a un giorno infili delle vignette in una busta, le spedisci e così nasce il Sergio Staino che conosciamo?

Staino: “Sì, direttore era Oreste Del Buono. La mia fortuna è stata lui”.

D.: Grande talent scout e appassionato, Del Buono

Staino: “E anche grande amico. Me lo ricordo: era il 10 ottobre del 1979: mi metto al tavolino, con l’idea di fare una striscia, ma non politica. In quel momento, da quando ero uscito dal Partito marxista-leninista, nel maggio dello stesso anno, avevo detto addio alla politica. Mi ero detto: ‘Se c’è una cosa che non so fare è la politica. Quindi non ne voglio più parlare. Faccio una striscia satirica, in cui la politica non c’entra nulla’. Ho pensato di fare me stesso (ed è stata una grande intuizione, casuale, ma una grande intuizione): me stesso, la mia auto-caricatura, e con me mia moglie, i miei bambini, gli amici, e raccontare le nostre situazioni, le nostre frustrazioni, i desideri, le cose strane e belle di tutti i giorni…”.

D.: Hai raccontato te stesso

Staino: “Esattamente. E’ chiaro che quella politica che ho messo fuori dalla porta, mi è rientrata automaticamente dalla finestra. Del resto, tutta la mia vita era una vita politica, qualunque riflessione che facevo c’era di mezzo la politica. Anzi: ho scoperto che la vera politica cominciavo a farla in quel momento. Queste strisce sono diventate delle forme di comunicazione e di riflessione politica; prima era il tempo dei manifesti, dei volantinaggi, le presenze stereotipate ai Congressi del Partito Comunista, il dire continuo: ‘Come dice Stalin…’, ‘Come dice Mao…’. Con le strisce sono arrivato alla vera politica”.

D.: Questo volume che ho in mano è uno dei primi che hai pubblicato…

Staino: “L’anno del sorpasso? Sì, nel 1984…”.

D.: C’era, come abbiamo detto, Oreste Del Buono; nella prefazione scrive: Bobo. Eccolo che vien fuori da un rotolo proveniente da Scandicci, si srotola sul tavolo della redazione di “Linus” e subito si impone all’attenzione e anche alla solidarietà, per non dire alla complicità, la causa del suo carattere inedito…” E poi: ‘Io, Oreste Del Buono, mi immedesimo con Molotov e mi ci trovo bene per non dire benissimo. È una bomba…’.

Staino: “Ho cominciato a insegnare il 10 ottobre, la prima vignetta era sul ’68. La fondamentale è stata la terza: c’è Bobo che si guarda intorno e dice: ‘Così quel cretino di Piero, dai dai, è entrato a Panorama, quell’imbecille di Filippo ha messo su la concessionaria della Volkswagen…’. Insomma, si capisce che sta guardando i suoi coetanei, i suoi amici, dove sono arrivati e lui è invece dov’è: si sono piazzati un po’ tutti, l’unico rimasto in mutande è lui. E chiude dicendo: ‘Proprio come il Gastone di Petrolini, solo che a lui lo avevano rovinato le donne, a me la Cina’… Ecco: scrivere apertamente e platealmente, nero su bianco, che la Cina è la maledetta persecuzione che mi aveva portato per dieci anni a seguire questo filone, che mi ha portato a due passi dal terrorismo, perché un sacco di miei compagni son finiti in quel tunnel… Ecco: mettere lì chiaramente: ‘Mi ha rovinato la Cina’, sono stato venti minuti buoni a dirmi: ‘Lo scrivo, non lo scrivo…’. Fortunatamente l’ho scritto. E così mi sono liberato.
Mi sono venute altre strisce, una cinquantina in meno di due settimane… Le facevo vedere ai miei amici, che ridevano come pazzi. Dicevano: ‘Non le puoi pubblicare, perché queste cose… Noi ridiamo perché noi abbiamo vissuto quello che hai vissuto te… Ma gli altri, la gente, cosa vuoi…’ Io ci provo, a mandarle a Del Buono. Faccio un pacchettino, scrivo due righe di accompagnamento, parlo degli anni dell’Albania, sperando in una risposta. Questo accade alla fine di ottobre; poi parto per Parigi, perché ci viveva un cugino di mia moglie che ci ospitava; ne approfittiamo per farci una piccola vacanza. A mia madre dico: ‘Se mi cercano, sono malatissimo, irraggiungibile; solo se chiamano da Linus digli che sono a Parigi, che fa figo, fa disegnatore vero…’. Una battuta, scherzavo…”.

D.: Naturalmente ti chiamano da Linus

Staino: “E’ il secondo giorno che siamo a Parigi, rientro da non so che giro, e il cugino di mia moglie mi dice che mamma mi aveva chiamato. Mi preoccupo da morire, mia madre, una contadina, che fa il prefisso internazionale…Penso a una disgrazia, a lei, a mia figlia che le avevo lasciato… Chiamo e lei tranquilla mi fa: ‘Ti ha chiamato Linus, uno che si chiama Del Buono…’. Sei sicura?, le chiedo. Non volevo crederci, le strisce le avevo mandate solo due o tre giorni prima…Le avevano avute, ed erano letteralmente impazziti dal ridere…”.

D.: Sbarchi a Milano

Staino: “Sono andato là, hanno fatto il contratto subito, mi han detto: “Guarda mi risolvi un bel problema, perché tutto il settore operaistico me lo copre Altan; ho bisogno della piccola borghesia intellettuale; tocca a te. E, infatti, è partita questa cosa e nel giro di poco tempo sono diventato molto conosciuto, famoso disegnatore.”

D.: Collabori regolarmente con “l’Unità”, quella di oggi; ma hai attraversato anche le altre stagioni de “l’Unità”. Quand’è che sei approdato a quel giornale?

Staino: “Ormai, lo ha detto lo stesso Renzi, ormai io sono un brand…”.

D.: Il tuo primo direttore?

Staino: “Il grande Emanuele Macaluso, che rimane, ancora, per me, una delle persone più intelligenti e più capaci di comprendere la situazione politica e le sue evoluzioni. Mi piacerebbe molto che scrivesse su l’Unità. Mi dispiace che sia così restio a farlo, perché le sue riflessioni quotidiane sul suo blog sono sempre utilissime. Devo a lui l’avermi spalancato le porte del giornale. Aveva capito che attraverso questa autoironia di Bobo verso la sinistra, c’era la chiave per far passare la laicizzazione del PCI. Lui voleva, come tutti i miglioristi d’altronde: i Giorgio Napolitano, i Paolo Bufalini, quelli che per tanto tempo consideravo miei ‘nemici’ (nel PCI ero ingraiano), avevano capito che portando Bobo su l’Unità, avrebbero preparato questo necessario superamento della “chiesa”, del Comintern, del gruppo di acciaio, per diventare un partito in cui ci si può confrontare tranquilli”.

D.: Tu sei stato anche direttore di Tango, un inserto satirico all’interno de l’Unità…

Staino: “Tango è stato un elemento fondamentale”.

D.: Ti hanno mai censurato una vignetta, da Macaluso, a oggi, D’Angelis?.

Staino: “No, mai…”

D.: Però c’è stata una polemica piuttosto forte, relativo al famoso ‘Nattango’. La vogliamo rievocare?

Staino: “Nattango…Un episodio divertente. Grazie a quella polemica Tango poi viene lanciato alla grande. Si può dire che ancora una volta, come spesso mi accade, è una storia di casualità. Lo dico anche per i giovani: che non si lascino abbattere dalle difficoltà che si incontrano nella vita, perché tante volte, poi, anche casualmente, certe difficoltà si trasformano in opportunità. Per tornare a ‘Nattango’ succede questo: Giorgio Forattini, verso il quale ho avuto sempre un antico rispetto: tendeva a essere l’unico autore satirico italiano, e questo fatto lo rendeva un po’ antipatico a molti altri disegnatori e autori di satira. Lui per molto tempo non mi considerava un autore satirico; in una intervista dice: ‘Staino non fa satira, fa propaganda politica e basta. Vedete, anche sul suo Tango non appare mai la caricatura di Natta, il segretario’… Io prendo al volo l’occasione di questa sua affermazione, e mi invento una lettera di Alessandro Natta a me; naturalmente la scrivo io, e praticamente a nome suo mi dico: ‘Caro Staino, ho letto Forattini. Forattini ha ragione. So che la satira la fate sulle persone importanti. Allora non mi giudichi importante. Perché non lo fai su di me. Devi farlo anche su di me.’ Io rispondo: ‘Caro segretario, il prossimo numero glielo dedichiamo tutto, dobbiamo riparare, è vero.’ Quindi nasce un numero programmaticamente, dichiaratamente, fatto per prendere in giro il segretario. Concepisco questo numero, con un disegno di un falso Forattini, per rendere la cosa ancora più divertente. Disegno Natta nudo che balla il tango al suono di Andreotti e di Craxi. La cosa viene presa malissimo. Da Natta per primo, che non aveva spirito di ironia…”.

D.: Diciamo pure che si incazza di brutto

Staino: “Sì, si incazza. Si incazza tantissimo. La cosa bella fu che Gerardo Chiaromonte, che era un principe di laicità, una delle figure più belle che ho conosciuto all’interno del partito, anche lui, in quel momento, è molto ingenuo nella sua visione quasi onirica del partito; lo dico perché mi hanno raccontato che la mattina, quando arriva al giornale, e tutti i giornalisti corrono a dirgli: ‘Direttore, hanno chiamato da Botteghe Oscure, sono incazzatissimi, questo numero di Tango…’. E lui, pacifico: ‘Ma come incazzati, ma non l’ha chiesto Natta di fargli la caricatura?…”. L’unico che aveva preso sul serio la lettera di Natta era stato Chiaromonte; quella lettera, è vero, era costruita bene, con belle frasi in latino”.

D.: Hai giocato sul fatto che Natta era un notorio latinista

Staino: “Per questo avevo riempito la lettera di frasi in latino. Chiaromonte
l’aveva presa sul serio. La cosa fu bella perché allora uscì con l’errata corrige che, in realtà, correggeva in modo talmente enfatico che diventava un’altra…”.

D.: La toppa che rende più evidente il buco

Staino: “Infatti… Da lì, però, il ‘Nattango’ comincia a vendere. Grazie a noi l’Unità, vendeva anche trenta, quarantamila copie in più. C’era anche un aspetto economico importante… Ci volevano in tutte le feste de l’Unità… Allora tutta la satira disegnata, scritta, ma anche recitata era legata intorno a Tango. Con Natta si fa pace nel settembre dello stesso anno, andiamo a pranzo con Natta, Macaluso, Chiaromonte, a “La Rosetta” al Pantheon; offre Macaluso… E lì capisco due cose: quanto il PCI era avanti anni luce, rispetto ai partiti fratelli europei, da quello spagnolo a quello francese e tutti gli altri. C’era un grado di capacità politica e di laicità nel porsi nella vita della società che gli altri non avevano”.

D.: Molto avanti rispetto ai partiti fratelli, ma in materia di diritti civili, il PCI ha molto di che rimproverarsi, fin dai tempi del divorzio: i timori, le paure, le incapacità di capire…credevano,, a Botteghe Oscure, che l’elettorato di sinistra fosse molto più retrogrado e involuto e potesse cedere alle ‘sirene’ clerico-moderate; è accaduto esattamente il contrario, i presunti clerico-moderati hanno raggiunto il campo progressista.

Staino: “In questo senso, la presenza dei radicali… Ho tante, tante cose da litigare con Pannella, ma su questo terreno proprio no…”.

D.: Cominciamo, quali cose da litigare, sentiamo

Staino: “Per esempio l’incapacità di dialogare, di lavorare insieme ai sindacati…è la cosa che più mi ha pesato…”.

D.: I sindacati…Hanno fatto tante cose giuste, e c’è stato un momento in cui c’era un terreno di intesa tra radicali e sindacato, penso a Vittorio Foa, Elio Giovannini, Giorgio Benvenuto, ma anche Ottaviano Del Turco…Poi, certo le cose si sono fatte più difficili.

Staino: Se è per questo, ultimamente anch’io…Da quando c’è la Camusso…

D.: Ecco, di questi tempi difficile non criticare il sindacato

Staino: “Ora sì, ma all’epoca…insomma, ricorderai le questioni sull’articolo 18… avevate una posizione insopportabile”.

D.: Se certe scelte fossero state fatte allora, ci si sarebbe risparmiati tanti guai oggi…

Staino: “Comunque ricordati che a un certo punto, mi sono anche iscritto ai radicali…”.

D.: Quando è stato? Guarda che si va a controllare…

Staino: “Controlla pure, c’era anche una trasmissione televisiva in cui Pannella si presenta con un disegno di Bobo ingrandito. E anche un’altra volta in cui la Bonino grida: Staino, ma quando rinnovi la tessera al Partito Radicale?”.

D.: Ah, quindi eri iscritto moroso.

Staino: “Sì, poi son stato moroso.”

D.: Cos’è che ti aveva fatto scattare la molla, te lo ricordi?

Staino: “Credo dopo l’arresto di Adriano Sofri. Era legata a tutta l’infamia che è stata costruita dal PCI e dalla DC nei confronti di Sofri.”

D.: Una parte del PCI ha una grossa responsabilità su quella vicenda.”

Staino: “Certo, alcune persone del PCI. Io sono convintissimo che tutto sia nato, proprio a tavolino, per dare un colpo a Craxi. Lì si vedeva su un piatto di argento la possibilità di criminalizzare tutto il gruppo. E quindi un fatto appetitoso”.

D.: “Anche se bisogna dire che, nei confronti di Luigi Calabresi, all’epoca è stata fatta una campagna infame”.

Staino: “Lotta Continua e Sofri, da un punto di vista morale, vanno certamente condannati. Lo hanno riconosciuto anche loro”.

D.: “Non solo loro…Voglio dire, certi titoli de “l’Avanti”, per dire di un giornale tutto sommato moderato, per non dire degli altri, erano tutti pesanti a quel tempo”.

Staino: “Quanto a questo credo che Sofri abbia chiarito molto bene, questo, in una sua risposta a Indro Montanelli…”.

D.: Al di là di questo… Eravamo rimasti ai radicali… Cosa apprezzi e cosa non apprezzi di Pannella?

Staino: “Apprezzo tutto quello che riguarda la lotta per i diritti civili e la laicità della vita. Insomma, non c’è nulla che non condivida da questo punto di vista, anzi, credo che sia una forza enormemente positiva, e anche come qualità. Quando mi chiedono: ‘Perché appoggi Giachetti come sindaco di Roma?’, rispondo: “Appoggio Giachetti, prima cosa perché è radicale”.

D.: Scusami ripetiamola. Scandisci bene: “Appoggio Giachetti, innanzitutto perché è radicale”

Staino: “Innanzitutto perché è radicale. Perché in quella situazione lì è una garanzia, una garanzia di onestà, di laicità, in una città, in cui bene o male, al di là delle benevolenze di Papa Francesco, esiste ancora un ‘clero reazionario-maggioritario’ e quindi l’importanza di un laico radicale mi sembra estremamente bella, insomma. Era la stessa ragione per cui, all’epoca, ho appoggiato la Bonino”.

D.: Quando si presenta per la presidenza della Regione Lazio...

Staino: “Questo è l’elemento maggiore dei radicali, con cui lavoro, ascolto Radio Radicale, ascolto Massimo Bordin, e mi incazzo perché tre quarti delle parole non si capiscono, con quella cazzo di tosse… (ride)”.

D.: Ecco, adesso dobbiamo andare anche a lezioni di fonetica…

Staino: “Scherzo, dai. Non mi piacciono, e qui sono serio, certe scelte politiche che appaiono spregiudicate che, invece, non tengono conto di una prassi e di una strategia delicata. Ecco: quando tranquillamente si prende e si va a cena da Berlusconi come hanno fatto alcuni radicali…”.

D.: Pensa che uno di quei radicali, è chi ti parla… Non è stata una gran cena…, mi aspettavo di meglio.

Staino: “Per me sono errori gravissimi, si getta confusione…”.

D.: Guarda se Renzi ci invita a cena, ci si va anche da lui. ‘ che non ci invita…

Staino: “Ma a questo punto sareste delle grandi puttane se accettaste l’invito”.

D.: “Sai la scoperta. Il fatto è che manca il puttaniere”.

Staino: “Io non so se ci andrei a cena da Renzi.”

D.: Se paga lui, ci si può andare no?

Staino: “No, meglio se ci si prende un caffè e si chiacchiera”.

D.: Vada per il caffè, ma anche a quello non ci invita… È un po’ sordo da questo punto di vista, Renzi.

Staino: “Poi, naturalmente, mi divide molto un eccessivo amore verso Israele. e questa eccessiva, invece, disattenzione ai diritti dei palestinesi, a tutta la situazione nel Medio Oriente in cui si semplifica molto. E ci sono moltissime altre cose”.

D.: Si potrebbe discutere, a questo proposito, queste ultime cose che hai detto; mi sa che non ci ascolti molto a ‘Radio Radicale’… Però ora preferisco chiederti un’opinione sull’iniziativa per spingere il governo italiano a rendersi promotore del diritto umano civile alla conoscenza; e rendersi promotore di una campagna per la transizione verso un’autentica democrazia: sia per l’Italia, che per l’Europa, che per i Paesi arabo-musulmani; e aiutarli e aiutarci a conquistare quei valori di giustizia e libertà, e farli nostri…E in proposito: viviamo una situazione paradossale: abbiamo una quantità di informazioni e abbiamo pochissima conoscenza. Attualissimo il motto di Luigi Einaudi, conoscere per poter deliberare…

Staino: “Sì devo dire che c’è una preoccupante superficialità che domina in tutta la cultura. Veramente molto preoccupante. Di questo, probabilmente, ne ha colpa anche Renzi, per averci abituato a una politica fatta di tweet di 140 caratteri. Questa incapacità di approfondire le cose, di comprendere le cose è “virale”, per usare un termine che oggi va di moda. Lo vedo in tutto: nella nostra sinistra del partito, per esempio. Le critiche che si fanno nei confronti di Renzi, a volte non tengono conto di cosa vuol dire far politica oggi, in che situazione siamo, come ci vogliamo muovere, quali sono i nostri alleati, quali sono i punti di riferimento principali da portare avanti… Sono tutte cose che non esistono nei Grillini, ma non esistono più nemmeno in noi. Le critiche che si fanno a Renzi sono sempre estemporanee, sulla singola cosa che propone; manca un disegno generale, per trovare un’alternativa all’interno della sinistra, allo stesso Renzi. C’è questa forma di appiattimento… L’altro giorno mi chiamano e mi chiedono per l’ennesima firma, per l’ennesimo Manifesto degli intellettuali italiani. In questo caso, si tratta di bloccare una legge fatta dalla Regione Toscana che autorizza l’abbattimento di una quantità enorme di cinghiali. Chiedo: perché devo firmare, scusa, l’abbattimento dei cinghiali? Ma ragazzi, venite in campagna, guardate come si lavora, la quantità enorme di cinghiali che sono aumentati a dismisura, arrivano nelle case, distruggono tutto… Ci sono aziende distrutte dall’incursione di questi cinghiali. Voglio dire: è un equilibrio ‘naturale’ che va rivisto, governato…mica si parla di farli sparire; si parla di dimezzarli… Così non firmo quell’appello. E obiettano: ha firmato Dacia Maraini, ha firmato Tizio, ha firmato Caio… In effetti c’erano tutti. Dico: ‘Ragazzi, ma quando si fanno le firme per non intervenire militarmente in Medio Oriente, avete la stessa qualità di conoscenza che avete sui cinghiali?’. Questa cosa mi preoccupa: la facilità con cui si mettono queste firme. Io, per esempio, l’intervento in certe zone del Medio Oriente, me lo son sempre augurato, l’ho appoggiato. Quando la gente viene ammazzata, sgozzata, quando c’è l’ISIS, e tu, in nome di un pacifismo astratto, mi dici di no, come in nome di un animalismo astratto mi dici no a poveri contadini di privarli dei loro mezzi…”.

D.: E come siamo arrivati a questo punto?

Staino: “Superficialità”.

D.: Superficialità

Staino: “Come siamo arrivati a questo punto, non lo so. Probabilmente ha contribuito tantissimo l’esplosione della televisione, internet, queste notizie che si leggono. Oggigiorno, non ho più un amico che legga e approfondisca un giornale, un sacco di amici miei guardano i titoli sul computer. E i titoli sono titoli. I titolisti… Quante volte si è letto un titolo e poi l’articolo aveva dentro mille sfumature molto più belle e profonde del titolo, addirittura contradditorie delle volte. Questo, a mio avviso… Delle personalità intellettuali della sinistra, a mio avviso, dovrebbero portare… Cioè, un Cuperlo non mi deve stare lì a bagnomaria, a non fare un cazzo all’interno di questo partito. Un Cuperlo deve avere la responsabilità, visto che non è d’accordo, di un discorso approfondito politico sulle ragioni di Renzi e sulle alternative che si possono costruire in forma più utile e più condivisibile, ecco. Invece, cosa fanno: prendono ed escono, prendono ed escono”.

D.: Il mio intuito mi dice che avendo tu citato almeno una decina di volte Cuperlo, fai riferimento a lui, idealmente, nell’ambito del partito.

Staino: “Per me è il compagno più intelligente che avevamo, il più preparato. È un cruccio enorme, una sconfitta per il PD, che lui, in questo momento, non faccia niente… Gli altri se ne sono addirittura andati. I Fassina, i Civati… E che ci servono più? Li vorrei dentro, invece… Sei molto più utile tu che fai un articolo su l’Unità, come hai fatto più volte, portando delle riflessioni utilissime, rispetto a questi altri che stanno là a dire “No e basta” a qualunque legge, a qualunque cosa fa il Governo, capito?”.

D.: Però a Cuperlo chi gli impedisce di fare l’articolo, di dare l’intervista, di fare quello che tu auspichi?

Staino: “Nessuno, nessuno… Non lo fanno perché son scemi.”

D.: E tu dai fiducia a uno scemo?

Staino: “Dico scemi nel senso che si comportano da scemi…
C’è una ferita, tu sai, siamo stati come fratelli. Cavolo, anzi, forse io come fratello maggiore”.

D.: Ho capito. Ma, ancora non ho capito per quale ragione…

Staino: “Non capirai molte cose amico mio, molte cose…”.

D.: Sì, questo temo che sia vero… Ma nel caso specifico, quando ti chiedo: ‘Scusa i radicali… Vai a cena con Berlusconi…’

Staino: “Ho ricordato la delusione… Avevamo appena lavorato assieme per una serie di cosa sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari con Antonietta Farina Coscioni… Poi, erano stati eletti dentro il PD, ed erano bravi, ero contento, finalmente, che c’erano dei radicali con la loro tessera dentro il PD e poi invece hanno votato non tenendo conto di votare secondo lo spirito di maggioranza, ma rimanendo… E cazzo, allora, dico ma come si fa…”.

D.: Se parliamo di cene il tuo partito di riferimento altro che cene che ha fatto eh?

Staino: “Sì, ma fai un gioco facile, ora mi puoi anche rinfacciare Verdini”.

D.: Non ti rinfaccio nulla…Non è solo questione di Verdini…ce ne sono sempre stati…

Staino: “Insomma gli elementi positivi superano gli altri, quindi… Va bene. Vuoi la tessera, pago la tessera?”.

D.: Sì, sarebbe opportuno che tu pagassi la tessera al Partito Radicale, siamo qui per questo. Possiamo considerarti “imbarcato” come Giachetti?

Staino: “Guarda tu hai la porta spalancata perché a me basta insistere un po’, poi sei buono…”.

D.: Guarda, consideralo già fatto se è per questo. Siamo anche capaci, se ci dai dieci disegni, di metterli in vendita a prezzi di usura, quindi… Come siamo andati a cena da Berlusconi e ha pagato lui, così siamo capaci di fare il resto, ecco. La nostra spregiudicatezza non ha limiti.

Staino: Ti regalerò un paio acquerelli allora…

D.: Però non ti sei espresso sul personaggio Pannella.

Staino: “Sul personaggio Pannella. cosa posso dire? È uno dei padri, uno dei punti di riferimento. Nel bene e nel male è stato utilissimo, e menomale che c’è stato lui, anche in tante scelte della sinistra in Italia… Per cominciare appunto dal divorzio. Per il resto ho quella deferenza che si ha verso un padre un po’ po’ rompicoglioni, ma però insomma, ben venga…”.

D.: Non avverti come una grande ingiustizia, non tanto nei confronti di Pannella, ma nei confronti tuoi, miei, del popolo italiano

Staino: “Che non sia stato fatto senatore…”

D.: No, no… Ingiustizia per il fatto che il popolo italiano non abbia la possibilità di giudicarlo. Cioè, tu accendi a qualunque ora la televisione, vedrai ospiti di tutti i programmi di approfondimento, qualunque personaggio, perfino i più impresentabili; e né tu né io abbiamo la possibilità di valutare, autonomamente quello che dice Pannella, quello che propone… se vuoi, anche di sapere perché un giorno va a cena da Berlusconi. La sua motivazione non l’abbiamo potuta conoscere. Io credo che questa sia una delle gravi ingiustizie, una delle gravi offese che fa questo Paese non solo a Pannella, non solo ai radicali, ma a tutti noi, perché veniamo privati di qualcosa.

Staino: “Sono d’accordissimo. Sottoscrivo. Facciamo appello agli intellettuali…”.

D.: Lo scrivi tu, perché se lo scriviamo noi, poi corri il rischio che firmi una cosa che non sai.

Staino: “No, sono d’accordo. E devo dire anche il pubblico, eh, perché son sicuro che se il pubblico vede Pannella gira, mentre se vede qualcun altro purtroppo rimane e questo mi dispiace molto”.

D.: Sei sicuro che se vedono Pannella ‘girano’?

Staino: “Sì.”

D.: Come mai hai acquisito questa certezza?

Staino: “Perché nell’immaginario collettivo è passata quest’immagine così, di un vecchio rompicoglioni… Anche a Radio Radicale, quando arrivi te che intervisti Pannella, subito si abbassa l’ascolto…”

D.: È colpa mia, probabilmente, non di Pannella.

Staino: “Eh certo… È così, conta l’immaginario.”

D.: Speriamo che tu abbia torto, invece. Ci vogliamo augurare e chiudere questa conversazione sperando che tu ti stia sbagliando, per quel che riguarda l’effetto Pannella un giorno che va in televisione.

Staino: “Certo che posso sbagliare. E’ una mia sensazione…Poi io faccio sempre tanti errori, soprattutto nello scegliere i candidati. Non voglio impaurire Giachetti, ma negli ultimi anni, tutti i candidati su cui ho puntato, da Bersani a Cuperlo, alla fine hanno perso… Solo Giuliano Pisapia…”.

D.: Se hai questa proprietà diciamo che sostieni il movimento di Grillo…Peccato che non voti a Roma, che sei toscano e quindi votante…

Staino: “Ho mandato i cento euro di contributo… Ho fatto anche la vignetta…”.

D.: Cento euro, una vignetta e un voto sarebbe stato meglio, però, siccome sei residente altrove….

Staino: “Ho fatto anche la vignetta che dice: ‘I radicali? Come? A chi mandi i 100 euro?’ Vuoi fare Scandicci?… Magari gli mandavo pure di più se votavo a Roma…”

D.: Va bene, cento euro da Giachetti, speriamo seicento al Partito Radicale quanto prima…

Staino: “Tanto venderete gli acquerelli…”

D.: Tranquillo, noi vendiamo tutto. Siamo disposti a qualunque cosa. Spregiudicati. Andiamo a cena da Berlusconi, figurati…

(Trascrizione non rivista dall’autore)

+ VIDEO

Valter Vecellio intervista Sergio Staino, regista e vignettista.

Sono stati discussi i seguenti argomenti: Amministrative, Cina, Comuni, Comunismo, Cultura, Democrazia, Elezioni, Giachetti, Governo, Informazione, Istruzione, Italia, L’unita’, Lenin, Linus, Mao Tze Tung, Marx, Pannella, Partiti, Partito Democratico, Partito Radicale, Pci, Periodici, Politica, Primarie, Renzi, Riforme, Roma, Satira, Sinistra, Stalin, Storia, Tv, Urss.

Questa rubrica è disponibile anche nella sola versione audio.

Fonte: Radio Radicale

+ TESTO

D.: Sergio Staino…Lo presentiamo, ma non dovrebbe essercene bisogno…Disegnatore…vignettista…ma definirlo così mi sembra limitativo. Un artista completo, comunque. Intanto, conoscendoci da anni, sarebbe ipocrita il “lei” che si deve usare nelle interviste. Per una volta si deroga con il più colloquiale “tu”; e per quel che riguarda le tue vignette…Le ricordo da sempre, dai tempi di una gloriosa rivista di fumetti, “Linus”, pubblicata dalla gloriosa Milano Libri…Ma hai fatto anche tanto altro, per esempio ideatore e animatore. Direttore di “Tango”, il supplemento satirico e irriverente all’interno de “l’Unità”, che allora era il quotidiano ufficiale del Partito Comunista; e poi tante altre pubblicazioni, mostre… Il tuo famosissimo “Bobo”, ha fatto storia immagino gli abbiano dedicato una quantità di tesi di laurea, a quel personaggio e a quel microcosmo che rappresentava e descriveva un mondo in trasformazione, il militante eternamente pensoso e perplesso, pieno di dubbi e incertezze, praticamente il tuo alter ego e la tua famiglia, la moglie, i figli…una saga che a svolgerla credo spieghi molto dei tempi che viviamo, e anche le vicissitudini, i tormenti, le trasformazioni da PCI di Enrico Berlinguer a oggi, Partito Democratico di Matteo Renzi… Sergio, tu compari quotidianamente su l’Unità, che è una “l’Unità” ben diversa da quella che era solo vent’anni fa… Ma tu non nasci comunista, o meglio, non nasci PCI. Nella tua giovinezza c’è una militanza che forse i più anziani conoscono, ma non tutti, credo: in un piccolo Partito marxista-leninista, non so se in quello di linea rossa o linea nera…Cominciamo da qui, se non hai obiezioni…

Sergio Staino: “Ma sì, perché no? Era un Partito nato nel 1966, sull’onda, se così si può dire, del revisionismo da parte del PCI. Voglio dire: in realtà, il PCI da tempo aveva iniziato un progressivo allontanamento dai miti fondativi, l’idea della dittatura del proletariato per capirci; e dall’orbita dell’Unione Sovietica; e sempre più nei fatti, e nella sua elaborazione culturale, accettava il gioco democratico, la cosiddetta democrazia borghese, parlamentare. Una cosa che la parte estremista del PCI, se così la posso definire, ha sempre imputato a Togliatti; e non senza ragione. Togliatti, effettivamente, dalla svolta di Salerno in poi, sviluppa un’idea di democrazia che è quella che conosciamo, abbiamo vissuto. Non sopportando questa concezione, questa politica, a un certo punto, sfruttando i conflitti ideologici (e non solo ideologici) tra Unione Sovietica e soprattutto la Cina, ecco che viene fuori quel Partito marxista-leninista…”.

D.: Stiamo parlando della Cina di Mao.

Staino: “Sì, la Cina di Mao Tse-Tung, o di come lo chiamano ora; è la stessa Cina ha compiere la scelta di favorire e incentivare la formazione di partiti a lei vicini, alternativi a quelli ortodossi, ufficiali, filosovietici”.

D.: C’era anche uno staterello che si chiamava Albania

Staino: “Era il 1966 se non ricordo male… Per motivi poi storicamente legati alle contraddizioni all’interno del fronte dell’URSS, l’Albania si schiera con la Cina”.

D.: Per chi non c’era: si sta parlando dell’Albania di Enver Hoxha

Staino: “Sì, quella di Hoxha. L’Albania rompe con l’URSS (e rompere significa anche trovarsi in difficoltà dal punto di vista economico, perché l’Unione Sovietica aveva costituito, tramite il Comintern, un sistema di rapporti per cui le scelte economiche dei singoli paesi non erano autonome, erano legate a una visione centralizzata che partiva da Mosca) entra in crisi: praticamente manca tutto, il paese per quanto abituato alla povertà, chiuso com’è geograficamente, non ha alcun mezzo di sostentamento; ecco che la Cina si propone come elemento di sostegno; ovviamente l’Albania deve stare al gioco, non ha scelta…E’ un’opzione di disperazione, non di ideologica convinzione. Questo però io l’ho compreso dopo”.

D.: Comunque c’era quest’asse: Pechino-Tirana; e qui in Italia, in Toscana soprattutto, c’eravate voi.

Staino: “Qui in Toscana c’erano Manlio Dinucci, Livio Risaliti, Pietro La Gamba, altri, che fondano questo partito. Poi, nella migliore tradizione, cominciano a dividersi. Nascono altri micro-partiti: linea rossa, linea nera con Angiolo Gracci… Eravamo tanti gruppetti, settari all’inverosimile, una visione militarista della gestione del partito e della società”.

D.: Quanti anni avevi quando ti sei trovato in questo mondo?

Staino: “Sono entrato nel 1969, tre anni dopo la fondazione del partito, e dopo che era iniziata una certa delusione da parte delle aspettative del ’68… Il movimentismo del ’68 ci aveva entusiasmato, però non aveva gambe operative, il PCI ci aveva praticamente abbandonato, condannando il ‘movimentismo’, e allora, cominciarono a nascere delle alternative, o presunte tali. Tra queste c’era il Partito marxista-leninista, e poi tutti gli altri naturalmente. Tra gli altri anche Renato Curcio, in quegli anni lì era con noi, anche se poi se ne va, e dopo fonda le Brigate Rosse”.

D.: Parliamo delle tue esperienze ‘albanesi’

Staino: “Ero molto di questo piccolo staterello, più della Cina. La Cina la seguivo da tempo, ero abbonato alla rivista ufficiale della Repubblica Popolare Cinese, avevo letto molto di Mao, seguivo quello che ci raccontavano della Cina: situazioni bellissime, fantastiche dal punto di vista dell’organizzazione sociale, che poi si sono rivelate tutte bufale; per l’Albania è stata la stessa cosa…Però fra i due paesi scelgo la piccola Albania, forse perché ho sempre amato le minoranze, non so; e divento segretario dell’Associazione Italia-Albania, e sono andato spesso in delegazione o accompagnando gruppi. E’ stata un’esperienza che solo una fede cieca e la volontà, proprio sovraumana, di non ammettere che stavamo facendo una grande cazzata, che ci porta ad accettare delle cose, che uno col senno di poi: “Ma come può essere che?…”.

D.: Quand’eri così ‘accecato’, già disegnavi?

Staino: “Disegnare lo faccio da sempre, ho cominciato a tre anni; mio padre era in guerra. Con mia mamma vivevamo in un paesino, Piancastagnaio dove sono nato, molto isolati; mamma non aveva amicizie, era arrivata casualmente lì, passava molto tempo con me e, dopo avermi letto e raccontato le favole, aveva cominciato, come gioco, a ricopiare i disegni dei libri di favole. Io a tre anni cercavo di fare i cavalli, i cavalieri, le regine… Forse si può dire che ho sostituito il ventre materno con il disegno: le sicurezze, la tenerezza della mamma… da allora non sono più riuscito ad abbandonare il disegno. E’ diventato quasi un elemento di sopravvivenza. Da adolescente ho passato dei momenti in cui avevo crisi, momenti di paura, tensioni, malattie di parenti, esami… Dovevo disegnare…”.

D.: Il disegno come terapia?

Staino: “Già. Mi mettevo con una punta scrivente e un piano: la prima linea e…tutto che usciva…”.

D.: Stiamo parlando di disegni o di vignette?

Staino: “No, allora erano disegni”.

D.: Te lo chiedo perché qui ho sottomano uno dei tuoi primi lavori, pubblicato dalla “Milano Libri”: ci sono vignette molto divertenti, molto ironiche, molto autoironiche. Mi chiedevo: Sergio Staino, da una parte, ci ha detto che era accecato e voleva credere in quello che gli occhi gli dicevano non essere vero e, dall’altra, aveva invece questo spirito dissacrante e anche autodissacrante. Come riuscivano a convivere con queste due anime?

Staino: “Semplice: non convivevano. Soprattutto dovevo lottare molto con i miei compagni di partito, insomma. Ero messo sempre sotto accusa per questo mio atteggiamento che definivano piccolo-borghese. Già il fatto che avevo la barba era ritenuto un atteggiamento degenerativo. Quando andavamo in Albania, per esempio, bisognava tagliarsi la barba…”.

D.: Questa mi manca

Staino: “In Albania, avevano costruito lo stereotipo preciso di come era il giovane debosciato, borghese, traditore della rivoluzione. Avevano anche fatto dei grandi manifesti affissi ovunque, che mostravano questo giovane, maschio, con i capelli lunghi, la barba, i pantaloni a zampa di elefante, le scarpe con il tacco; o un sassofono in una mano o una pistola nell’altra mano… Questo era il tipico degenerato. Chiunque aveva uno di quegli elementi lì, era considerato controrivoluzionario…”.

D.: Per sapere: come la mettevano con Fidel Castro ed Ernesto Che Guevara?

Staino: “Non ne parliamo! Assolutamente…Degeneri, traditori… Non solo: avevano anche teorizzato (ora faccio un po’ ridere, probabilmente), un progressivo sviluppo del marxismo-leninismo che andava, in senso proprio opposto alla perdita di pelo da parte suoi dirigenti. Si partiva con Marx ed Engels che erano tutto un pelo (capelli di una certa lunghezza, tutte barbe e compagnia bella)…”.

D.: Scusa. Ecco come la mettevano con Marx?

Staino: “L’inizio. Poi però c’era l’evoluzione del marxismo. Già Lenin aveva solo un pizzettino. Stalin ancora un’evoluzione: i baffi. Dopodiché Hoxha e Mao senza quasi più peli… Quindi c’era un rapporto fra sviluppo del marxismo-leninismo e la quantità di peluria nella faccia del dirigente di turno…”.

D.: Senza capelli, senza barba e senza baffi, il compagno perfetto

Staino: “Pensa che era difficile andare in Albania. Quando andavamo, dovevamo selezionare bene e preparare i compagni: dovevamo convincerli che andavano a visitare il più bel paese del mondo, dove il socialismo si stava realizzando. Alla frontiera, ci aspettavano due militari, uno barbiere, l’altro sarto. Il militare barbiere aveva il compito di tagliare capelli e barba a chiunque, compreso un vecchio partigiano di Napoli che aveva lottato in Albania, e veniva per la prima volta a rivedere i luoghi del suo martirio…”.

D.: Tu andavi con la barba e te la tagliavano

Staino: “Io me la tagliavo prima… Quando arrivavano non tanto noi, quanto le delegazioni dei partiti tedeschi o finlandesi o norvegesi, che avevano una visione molto fricchettona della rivoluzione, e per questo arrivavano con capelli e barbe lunghissime, con vestiti a fiori, li distruggevano: tagliavano barbe, capelli, li rivestivano, le zampe di elefante dei pantaloni venivano tagliate e ricucite dal sarto, le minigonne allungate con pezzi di stoffa che avevano lì apposta per questo…”.

D.: Un mondo da incubo, scusa

Staino: “Ma te ne potrei raccontare tantissime… L’unica cosa che posso dire, che sono stati anni di un settarismo talmente cieco che, probabilmente, mi hanno vaccinato per sempre. Così ora quando vedo certi compagni, tipo Civati, Fassina, rivedo in loro le cazzate nostre di quegli anni… Mi dico: ‘Ma come è possibile che, a tanti anni di distanza, si ripetano queste forme così elementari, così ingenue…insomma, come mai si autocastrano in questo modo…”.

D.: Vizio antico della sinistra, questo, ieri, oggi

Staino: “Vero. Nel 1979 esco finalmente dai marxisti-leninisti. Ci sono stato una decina d’anni, che sono tantissimi, una vita. Non so come ho fatto veramente ad essere così stupido da starci tanto tempo. Ma per venire a tempi a noi più vicini. Per dire: penso che Cuperlo rinunciando a fare il direttore de “l’Unità” abbia commesso una sciocchezza, per me avrebbe dovuto accettare, è una persona per bene, intelligente…Il guaio è che si trova dentro a una specie di setta anche lui, un gruppetto di persone, Massimo D’Alema e gli altri che gli hanno impedito di fare una scelta. Parlo di logiche, ovviamente; e le conosco bene…In quel partitino marxista-leninista ci vedevamo fra noi, i migliori amici erano lì, le nostre amanti erano lì, il punto di riferimento era lì, il pranzo e la cena erano lì… Se ti scappava da dire: ‘Ragazzi, non son d’accordo…’, ecco: ‘Sei un traditore, da fucilare’…”.

D.: Se può essere di qualche consolazione, non è solo un vizio di quel gruppo di marxisti-leninisti o della “sinistra dem” di oggi. E’ piuttosto diffuso, anche in altre organizzazioni politiche. Compagnia numerosa, insomma.

Staino: “Non consola, questo. Tutt’altro. Comunque quando ho lasciato i marxisti-leninisti mi sono sentito molto libero: una gran voglia di libertà, di fare; dall’altro, molto bruciato sul fronte della politica. Tieni conto che ero arrivato alle soglie dei quarant’anni, senza poi nulla di fatto in mano: insegnavo educazione tecnica alle scuole medie, ma insegnavo perché il partito mi aveva detto che non potevo fare l’attività di architetto. Per essere un militante marxista-leninista, dovevo avere un lavoro che mi desse uno stipendio fisso e mi lasciasse parecchio tempo libero da dedicare al partito. Invece mi son trovato con un problema grave agli occhi, un grosso problema anche per guidare e compagnia bella… a scuola c’era una legge che prevedeva il dimezzamento degli insegnanti di educazione tecnica e io rischiavo molto ed eravamo in questa situazione; avevo una moglie che amavo enormemente, la mia compagna attuale, una bambina che bisognava comunque sfamare…Insomma dovevo arrivare alla fine del mese… Ho detto a mia moglie: ‘L’unica cosa che posso fare è tentare di arrotondare lo stipendio, vediamo se riesco a vendere delle strisce, mi piacevano tantissimo i fumetti, era uscito Linus da alcuni anni…”.

D.: Il direttore era il mitico Oreste Del BuonoE’ vero che a un giorno infili delle vignette in una busta, le spedisci e così nasce il Sergio Staino che conosciamo?

Staino: “Sì, direttore era Oreste Del Buono. La mia fortuna è stata lui”.

D.: Grande talent scout e appassionato, Del Buono

Staino: “E anche grande amico. Me lo ricordo: era il 10 ottobre del 1979: mi metto al tavolino, con l’idea di fare una striscia, ma non politica. In quel momento, da quando ero uscito dal Partito marxista-leninista, nel maggio dello stesso anno, avevo detto addio alla politica. Mi ero detto: ‘Se c’è una cosa che non so fare è la politica. Quindi non ne voglio più parlare. Faccio una striscia satirica, in cui la politica non c’entra nulla’. Ho pensato di fare me stesso (ed è stata una grande intuizione, casuale, ma una grande intuizione): me stesso, la mia auto-caricatura, e con me mia moglie, i miei bambini, gli amici, e raccontare le nostre situazioni, le nostre frustrazioni, i desideri, le cose strane e belle di tutti i giorni…”.

D.: Hai raccontato te stesso

Staino: “Esattamente. E’ chiaro che quella politica che ho messo fuori dalla porta, mi è rientrata automaticamente dalla finestra. Del resto, tutta la mia vita era una vita politica, qualunque riflessione che facevo c’era di mezzo la politica. Anzi: ho scoperto che la vera politica cominciavo a farla in quel momento. Queste strisce sono diventate delle forme di comunicazione e di riflessione politica; prima era il tempo dei manifesti, dei volantinaggi, le presenze stereotipate ai Congressi del Partito Comunista, il dire continuo: ‘Come dice Stalin…’, ‘Come dice Mao…’. Con le strisce sono arrivato alla vera politica”.

D.: Questo volume che ho in mano è uno dei primi che hai pubblicato…

Staino: “L’anno del sorpasso? Sì, nel 1984…”.

D.: C’era, come abbiamo detto, Oreste Del Buono; nella prefazione scrive: Bobo. Eccolo che vien fuori da un rotolo proveniente da Scandicci, si srotola sul tavolo della redazione di “Linus” e subito si impone all’attenzione e anche alla solidarietà, per non dire alla complicità, la causa del suo carattere inedito…” E poi: ‘Io, Oreste Del Buono, mi immedesimo con Molotov e mi ci trovo bene per non dire benissimo. È una bomba…’.

Staino: “Ho cominciato a insegnare il 10 ottobre, la prima vignetta era sul ’68. La fondamentale è stata la terza: c’è Bobo che si guarda intorno e dice: ‘Così quel cretino di Piero, dai dai, è entrato a Panorama, quell’imbecille di Filippo ha messo su la concessionaria della Volkswagen…’. Insomma, si capisce che sta guardando i suoi coetanei, i suoi amici, dove sono arrivati e lui è invece dov’è: si sono piazzati un po’ tutti, l’unico rimasto in mutande è lui. E chiude dicendo: ‘Proprio come il Gastone di Petrolini, solo che a lui lo avevano rovinato le donne, a me la Cina’… Ecco: scrivere apertamente e platealmente, nero su bianco, che la Cina è la maledetta persecuzione che mi aveva portato per dieci anni a seguire questo filone, che mi ha portato a due passi dal terrorismo, perché un sacco di miei compagni son finiti in quel tunnel… Ecco: mettere lì chiaramente: ‘Mi ha rovinato la Cina’, sono stato venti minuti buoni a dirmi: ‘Lo scrivo, non lo scrivo…’. Fortunatamente l’ho scritto. E così mi sono liberato.
Mi sono venute altre strisce, una cinquantina in meno di due settimane… Le facevo vedere ai miei amici, che ridevano come pazzi. Dicevano: ‘Non le puoi pubblicare, perché queste cose… Noi ridiamo perché noi abbiamo vissuto quello che hai vissuto te… Ma gli altri, la gente, cosa vuoi…’ Io ci provo, a mandarle a Del Buono. Faccio un pacchettino, scrivo due righe di accompagnamento, parlo degli anni dell’Albania, sperando in una risposta. Questo accade alla fine di ottobre; poi parto per Parigi, perché ci viveva un cugino di mia moglie che ci ospitava; ne approfittiamo per farci una piccola vacanza. A mia madre dico: ‘Se mi cercano, sono malatissimo, irraggiungibile; solo se chiamano da Linus digli che sono a Parigi, che fa figo, fa disegnatore vero…’. Una battuta, scherzavo…”.

D.: Naturalmente ti chiamano da Linus

Staino: “E’ il secondo giorno che siamo a Parigi, rientro da non so che giro, e il cugino di mia moglie mi dice che mamma mi aveva chiamato. Mi preoccupo da morire, mia madre, una contadina, che fa il prefisso internazionale…Penso a una disgrazia, a lei, a mia figlia che le avevo lasciato… Chiamo e lei tranquilla mi fa: ‘Ti ha chiamato Linus, uno che si chiama Del Buono…’. Sei sicura?, le chiedo. Non volevo crederci, le strisce le avevo mandate solo due o tre giorni prima…Le avevano avute, ed erano letteralmente impazziti dal ridere…”.

D.: Sbarchi a Milano

Staino: “Sono andato là, hanno fatto il contratto subito, mi han detto: “Guarda mi risolvi un bel problema, perché tutto il settore operaistico me lo copre Altan; ho bisogno della piccola borghesia intellettuale; tocca a te. E, infatti, è partita questa cosa e nel giro di poco tempo sono diventato molto conosciuto, famoso disegnatore.”

D.: Collabori regolarmente con “l’Unità”, quella di oggi; ma hai attraversato anche le altre stagioni de “l’Unità”. Quand’è che sei approdato a quel giornale?

Staino: “Ormai, lo ha detto lo stesso Renzi, ormai io sono un brand…”.

D.: Il tuo primo direttore?

Staino: “Il grande Emanuele Macaluso, che rimane, ancora, per me, una delle persone più intelligenti e più capaci di comprendere la situazione politica e le sue evoluzioni. Mi piacerebbe molto che scrivesse su l’Unità. Mi dispiace che sia così restio a farlo, perché le sue riflessioni quotidiane sul suo blog sono sempre utilissime. Devo a lui l’avermi spalancato le porte del giornale. Aveva capito che attraverso questa autoironia di Bobo verso la sinistra, c’era la chiave per far passare la laicizzazione del PCI. Lui voleva, come tutti i miglioristi d’altronde: i Giorgio Napolitano, i Paolo Bufalini, quelli che per tanto tempo consideravo miei ‘nemici’ (nel PCI ero ingraiano), avevano capito che portando Bobo su l’Unità, avrebbero preparato questo necessario superamento della “chiesa”, del Comintern, del gruppo di acciaio, per diventare un partito in cui ci si può confrontare tranquilli”.

D.: Tu sei stato anche direttore di Tango, un inserto satirico all’interno de l’Unità…

Staino: “Tango è stato un elemento fondamentale”.

D.: Ti hanno mai censurato una vignetta, da Macaluso, a oggi, D’Angelis?.

Staino: “No, mai…”

D.: Però c’è stata una polemica piuttosto forte, relativo al famoso ‘Nattango’. La vogliamo rievocare?

Staino: “Nattango…Un episodio divertente. Grazie a quella polemica Tango poi viene lanciato alla grande. Si può dire che ancora una volta, come spesso mi accade, è una storia di casualità. Lo dico anche per i giovani: che non si lascino abbattere dalle difficoltà che si incontrano nella vita, perché tante volte, poi, anche casualmente, certe difficoltà si trasformano in opportunità. Per tornare a ‘Nattango’ succede questo: Giorgio Forattini, verso il quale ho avuto sempre un antico rispetto: tendeva a essere l’unico autore satirico italiano, e questo fatto lo rendeva un po’ antipatico a molti altri disegnatori e autori di satira. Lui per molto tempo non mi considerava un autore satirico; in una intervista dice: ‘Staino non fa satira, fa propaganda politica e basta. Vedete, anche sul suo Tango non appare mai la caricatura di Natta, il segretario’… Io prendo al volo l’occasione di questa sua affermazione, e mi invento una lettera di Alessandro Natta a me; naturalmente la scrivo io, e praticamente a nome suo mi dico: ‘Caro Staino, ho letto Forattini. Forattini ha ragione. So che la satira la fate sulle persone importanti. Allora non mi giudichi importante. Perché non lo fai su di me. Devi farlo anche su di me.’ Io rispondo: ‘Caro segretario, il prossimo numero glielo dedichiamo tutto, dobbiamo riparare, è vero.’ Quindi nasce un numero programmaticamente, dichiaratamente, fatto per prendere in giro il segretario. Concepisco questo numero, con un disegno di un falso Forattini, per rendere la cosa ancora più divertente. Disegno Natta nudo che balla il tango al suono di Andreotti e di Craxi. La cosa viene presa malissimo. Da Natta per primo, che non aveva spirito di ironia…”.

D.: Diciamo pure che si incazza di brutto

Staino: “Sì, si incazza. Si incazza tantissimo. La cosa bella fu che Gerardo Chiaromonte, che era un principe di laicità, una delle figure più belle che ho conosciuto all’interno del partito, anche lui, in quel momento, è molto ingenuo nella sua visione quasi onirica del partito; lo dico perché mi hanno raccontato che la mattina, quando arriva al giornale, e tutti i giornalisti corrono a dirgli: ‘Direttore, hanno chiamato da Botteghe Oscure, sono incazzatissimi, questo numero di Tango…’. E lui, pacifico: ‘Ma come incazzati, ma non l’ha chiesto Natta di fargli la caricatura?…”. L’unico che aveva preso sul serio la lettera di Natta era stato Chiaromonte; quella lettera, è vero, era costruita bene, con belle frasi in latino”.

D.: Hai giocato sul fatto che Natta era un notorio latinista

Staino: “Per questo avevo riempito la lettera di frasi in latino. Chiaromonte
l’aveva presa sul serio. La cosa fu bella perché allora uscì con l’errata corrige che, in realtà, correggeva in modo talmente enfatico che diventava un’altra…”.

D.: La toppa che rende più evidente il buco

Staino: “Infatti… Da lì, però, il ‘Nattango’ comincia a vendere. Grazie a noi l’Unità, vendeva anche trenta, quarantamila copie in più. C’era anche un aspetto economico importante… Ci volevano in tutte le feste de l’Unità… Allora tutta la satira disegnata, scritta, ma anche recitata era legata intorno a Tango. Con Natta si fa pace nel settembre dello stesso anno, andiamo a pranzo con Natta, Macaluso, Chiaromonte, a “La Rosetta” al Pantheon; offre Macaluso… E lì capisco due cose: quanto il PCI era avanti anni luce, rispetto ai partiti fratelli europei, da quello spagnolo a quello francese e tutti gli altri. C’era un grado di capacità politica e di laicità nel porsi nella vita della società che gli altri non avevano”.

D.: Molto avanti rispetto ai partiti fratelli, ma in materia di diritti civili, il PCI ha molto di che rimproverarsi, fin dai tempi del divorzio: i timori, le paure, le incapacità di capire…credevano,, a Botteghe Oscure, che l’elettorato di sinistra fosse molto più retrogrado e involuto e potesse cedere alle ‘sirene’ clerico-moderate; è accaduto esattamente il contrario, i presunti clerico-moderati hanno raggiunto il campo progressista.

Staino: “In questo senso, la presenza dei radicali… Ho tante, tante cose da litigare con Pannella, ma su questo terreno proprio no…”.

D.: Cominciamo, quali cose da litigare, sentiamo

Staino: “Per esempio l’incapacità di dialogare, di lavorare insieme ai sindacati…è la cosa che più mi ha pesato…”.

D.: I sindacati…Hanno fatto tante cose giuste, e c’è stato un momento in cui c’era un terreno di intesa tra radicali e sindacato, penso a Vittorio Foa, Elio Giovannini, Giorgio Benvenuto, ma anche Ottaviano Del Turco…Poi, certo le cose si sono fatte più difficili.

Staino: Se è per questo, ultimamente anch’io…Da quando c’è la Camusso…

D.: Ecco, di questi tempi difficile non criticare il sindacato

Staino: “Ora sì, ma all’epoca…insomma, ricorderai le questioni sull’articolo 18… avevate una posizione insopportabile”.

D.: Se certe scelte fossero state fatte allora, ci si sarebbe risparmiati tanti guai oggi…

Staino: “Comunque ricordati che a un certo punto, mi sono anche iscritto ai radicali…”.

D.: Quando è stato? Guarda che si va a controllare…

Staino: “Controlla pure, c’era anche una trasmissione televisiva in cui Pannella si presenta con un disegno di Bobo ingrandito. E anche un’altra volta in cui la Bonino grida: Staino, ma quando rinnovi la tessera al Partito Radicale?”.

D.: Ah, quindi eri iscritto moroso.

Staino: “Sì, poi son stato moroso.”

D.: Cos’è che ti aveva fatto scattare la molla, te lo ricordi?

Staino: “Credo dopo l’arresto di Adriano Sofri. Era legata a tutta l’infamia che è stata costruita dal PCI e dalla DC nei confronti di Sofri.”

D.: Una parte del PCI ha una grossa responsabilità su quella vicenda.”

Staino: “Certo, alcune persone del PCI. Io sono convintissimo che tutto sia nato, proprio a tavolino, per dare un colpo a Craxi. Lì si vedeva su un piatto di argento la possibilità di criminalizzare tutto il gruppo. E quindi un fatto appetitoso”.

D.: “Anche se bisogna dire che, nei confronti di Luigi Calabresi, all’epoca è stata fatta una campagna infame”.

Staino: “Lotta Continua e Sofri, da un punto di vista morale, vanno certamente condannati. Lo hanno riconosciuto anche loro”.

D.: “Non solo loro…Voglio dire, certi titoli de “l’Avanti”, per dire di un giornale tutto sommato moderato, per non dire degli altri, erano tutti pesanti a quel tempo”.

Staino: “Quanto a questo credo che Sofri abbia chiarito molto bene, questo, in una sua risposta a Indro Montanelli…”.

D.: Al di là di questo… Eravamo rimasti ai radicali… Cosa apprezzi e cosa non apprezzi di Pannella?

Staino: “Apprezzo tutto quello che riguarda la lotta per i diritti civili e la laicità della vita. Insomma, non c’è nulla che non condivida da questo punto di vista, anzi, credo che sia una forza enormemente positiva, e anche come qualità. Quando mi chiedono: ‘Perché appoggi Giachetti come sindaco di Roma?’, rispondo: “Appoggio Giachetti, prima cosa perché è radicale”.

D.: Scusami ripetiamola. Scandisci bene: “Appoggio Giachetti, innanzitutto perché è radicale”

Staino: “Innanzitutto perché è radicale. Perché in quella situazione lì è una garanzia, una garanzia di onestà, di laicità, in una città, in cui bene o male, al di là delle benevolenze di Papa Francesco, esiste ancora un ‘clero reazionario-maggioritario’ e quindi l’importanza di un laico radicale mi sembra estremamente bella, insomma. Era la stessa ragione per cui, all’epoca, ho appoggiato la Bonino”.

D.: Quando si presenta per la presidenza della Regione Lazio...

Staino: “Questo è l’elemento maggiore dei radicali, con cui lavoro, ascolto Radio Radicale, ascolto Massimo Bordin, e mi incazzo perché tre quarti delle parole non si capiscono, con quella cazzo di tosse… (ride)”.

D.: Ecco, adesso dobbiamo andare anche a lezioni di fonetica…

Staino: “Scherzo, dai. Non mi piacciono, e qui sono serio, certe scelte politiche che appaiono spregiudicate che, invece, non tengono conto di una prassi e di una strategia delicata. Ecco: quando tranquillamente si prende e si va a cena da Berlusconi come hanno fatto alcuni radicali…”.

D.: Pensa che uno di quei radicali, è chi ti parla… Non è stata una gran cena…, mi aspettavo di meglio.

Staino: “Per me sono errori gravissimi, si getta confusione…”.

D.: Guarda se Renzi ci invita a cena, ci si va anche da lui. ‘ che non ci invita…

Staino: “Ma a questo punto sareste delle grandi puttane se accettaste l’invito”.

D.: “Sai la scoperta. Il fatto è che manca il puttaniere”.

Staino: “Io non so se ci andrei a cena da Renzi.”

D.: Se paga lui, ci si può andare no?

Staino: “No, meglio se ci si prende un caffè e si chiacchiera”.

D.: Vada per il caffè, ma anche a quello non ci invita… È un po’ sordo da questo punto di vista, Renzi.

Staino: “Poi, naturalmente, mi divide molto un eccessivo amore verso Israele. e questa eccessiva, invece, disattenzione ai diritti dei palestinesi, a tutta la situazione nel Medio Oriente in cui si semplifica molto. E ci sono moltissime altre cose”.

D.: Si potrebbe discutere, a questo proposito, queste ultime cose che hai detto; mi sa che non ci ascolti molto a ‘Radio Radicale’… Però ora preferisco chiederti un’opinione sull’iniziativa per spingere il governo italiano a rendersi promotore del diritto umano civile alla conoscenza; e rendersi promotore di una campagna per la transizione verso un’autentica democrazia: sia per l’Italia, che per l’Europa, che per i Paesi arabo-musulmani; e aiutarli e aiutarci a conquistare quei valori di giustizia e libertà, e farli nostri…E in proposito: viviamo una situazione paradossale: abbiamo una quantità di informazioni e abbiamo pochissima conoscenza. Attualissimo il motto di Luigi Einaudi, conoscere per poter deliberare…

Staino: “Sì devo dire che c’è una preoccupante superficialità che domina in tutta la cultura. Veramente molto preoccupante. Di questo, probabilmente, ne ha colpa anche Renzi, per averci abituato a una politica fatta di tweet di 140 caratteri. Questa incapacità di approfondire le cose, di comprendere le cose è “virale”, per usare un termine che oggi va di moda. Lo vedo in tutto: nella nostra sinistra del partito, per esempio. Le critiche che si fanno nei confronti di Renzi, a volte non tengono conto di cosa vuol dire far politica oggi, in che situazione siamo, come ci vogliamo muovere, quali sono i nostri alleati, quali sono i punti di riferimento principali da portare avanti… Sono tutte cose che non esistono nei Grillini, ma non esistono più nemmeno in noi. Le critiche che si fanno a Renzi sono sempre estemporanee, sulla singola cosa che propone; manca un disegno generale, per trovare un’alternativa all’interno della sinistra, allo stesso Renzi. C’è questa forma di appiattimento… L’altro giorno mi chiamano e mi chiedono per l’ennesima firma, per l’ennesimo Manifesto degli intellettuali italiani. In questo caso, si tratta di bloccare una legge fatta dalla Regione Toscana che autorizza l’abbattimento di una quantità enorme di cinghiali. Chiedo: perché devo firmare, scusa, l’abbattimento dei cinghiali? Ma ragazzi, venite in campagna, guardate come si lavora, la quantità enorme di cinghiali che sono aumentati a dismisura, arrivano nelle case, distruggono tutto… Ci sono aziende distrutte dall’incursione di questi cinghiali. Voglio dire: è un equilibrio ‘naturale’ che va rivisto, governato…mica si parla di farli sparire; si parla di dimezzarli… Così non firmo quell’appello. E obiettano: ha firmato Dacia Maraini, ha firmato Tizio, ha firmato Caio… In effetti c’erano tutti. Dico: ‘Ragazzi, ma quando si fanno le firme per non intervenire militarmente in Medio Oriente, avete la stessa qualità di conoscenza che avete sui cinghiali?’. Questa cosa mi preoccupa: la facilità con cui si mettono queste firme. Io, per esempio, l’intervento in certe zone del Medio Oriente, me lo son sempre augurato, l’ho appoggiato. Quando la gente viene ammazzata, sgozzata, quando c’è l’ISIS, e tu, in nome di un pacifismo astratto, mi dici di no, come in nome di un animalismo astratto mi dici no a poveri contadini di privarli dei loro mezzi…”.

D.: E come siamo arrivati a questo punto?

Staino: “Superficialità”.

D.: Superficialità

Staino: “Come siamo arrivati a questo punto, non lo so. Probabilmente ha contribuito tantissimo l’esplosione della televisione, internet, queste notizie che si leggono. Oggigiorno, non ho più un amico che legga e approfondisca un giornale, un sacco di amici miei guardano i titoli sul computer. E i titoli sono titoli. I titolisti… Quante volte si è letto un titolo e poi l’articolo aveva dentro mille sfumature molto più belle e profonde del titolo, addirittura contradditorie delle volte. Questo, a mio avviso… Delle personalità intellettuali della sinistra, a mio avviso, dovrebbero portare… Cioè, un Cuperlo non mi deve stare lì a bagnomaria, a non fare un cazzo all’interno di questo partito. Un Cuperlo deve avere la responsabilità, visto che non è d’accordo, di un discorso approfondito politico sulle ragioni di Renzi e sulle alternative che si possono costruire in forma più utile e più condivisibile, ecco. Invece, cosa fanno: prendono ed escono, prendono ed escono”.

D.: Il mio intuito mi dice che avendo tu citato almeno una decina di volte Cuperlo, fai riferimento a lui, idealmente, nell’ambito del partito.

Staino: “Per me è il compagno più intelligente che avevamo, il più preparato. È un cruccio enorme, una sconfitta per il PD, che lui, in questo momento, non faccia niente… Gli altri se ne sono addirittura andati. I Fassina, i Civati… E che ci servono più? Li vorrei dentro, invece… Sei molto più utile tu che fai un articolo su l’Unità, come hai fatto più volte, portando delle riflessioni utilissime, rispetto a questi altri che stanno là a dire “No e basta” a qualunque legge, a qualunque cosa fa il Governo, capito?”.

D.: Però a Cuperlo chi gli impedisce di fare l’articolo, di dare l’intervista, di fare quello che tu auspichi?

Staino: “Nessuno, nessuno… Non lo fanno perché son scemi.”

D.: E tu dai fiducia a uno scemo?

Staino: “Dico scemi nel senso che si comportano da scemi…
C’è una ferita, tu sai, siamo stati come fratelli. Cavolo, anzi, forse io come fratello maggiore”.

D.: Ho capito. Ma, ancora non ho capito per quale ragione…

Staino: “Non capirai molte cose amico mio, molte cose…”.

D.: Sì, questo temo che sia vero… Ma nel caso specifico, quando ti chiedo: ‘Scusa i radicali… Vai a cena con Berlusconi…’

Staino: “Ho ricordato la delusione… Avevamo appena lavorato assieme per una serie di cosa sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari con Antonietta Farina Coscioni… Poi, erano stati eletti dentro il PD, ed erano bravi, ero contento, finalmente, che c’erano dei radicali con la loro tessera dentro il PD e poi invece hanno votato non tenendo conto di votare secondo lo spirito di maggioranza, ma rimanendo… E cazzo, allora, dico ma come si fa…”.

D.: Se parliamo di cene il tuo partito di riferimento altro che cene che ha fatto eh?

Staino: “Sì, ma fai un gioco facile, ora mi puoi anche rinfacciare Verdini”.

D.: Non ti rinfaccio nulla…Non è solo questione di Verdini…ce ne sono sempre stati…

Staino: “Insomma gli elementi positivi superano gli altri, quindi… Va bene. Vuoi la tessera, pago la tessera?”.

D.: Sì, sarebbe opportuno che tu pagassi la tessera al Partito Radicale, siamo qui per questo. Possiamo considerarti “imbarcato” come Giachetti?

Staino: “Guarda tu hai la porta spalancata perché a me basta insistere un po’, poi sei buono…”.

D.: Guarda, consideralo già fatto se è per questo. Siamo anche capaci, se ci dai dieci disegni, di metterli in vendita a prezzi di usura, quindi… Come siamo andati a cena da Berlusconi e ha pagato lui, così siamo capaci di fare il resto, ecco. La nostra spregiudicatezza non ha limiti.

Staino: Ti regalerò un paio acquerelli allora…

D.: Però non ti sei espresso sul personaggio Pannella.

Staino: “Sul personaggio Pannella. cosa posso dire? È uno dei padri, uno dei punti di riferimento. Nel bene e nel male è stato utilissimo, e menomale che c’è stato lui, anche in tante scelte della sinistra in Italia… Per cominciare appunto dal divorzio. Per il resto ho quella deferenza che si ha verso un padre un po’ po’ rompicoglioni, ma però insomma, ben venga…”.

D.: Non avverti come una grande ingiustizia, non tanto nei confronti di Pannella, ma nei confronti tuoi, miei, del popolo italiano

Staino: “Che non sia stato fatto senatore…”

D.: No, no… Ingiustizia per il fatto che il popolo italiano non abbia la possibilità di giudicarlo. Cioè, tu accendi a qualunque ora la televisione, vedrai ospiti di tutti i programmi di approfondimento, qualunque personaggio, perfino i più impresentabili; e né tu né io abbiamo la possibilità di valutare, autonomamente quello che dice Pannella, quello che propone… se vuoi, anche di sapere perché un giorno va a cena da Berlusconi. La sua motivazione non l’abbiamo potuta conoscere. Io credo che questa sia una delle gravi ingiustizie, una delle gravi offese che fa questo Paese non solo a Pannella, non solo ai radicali, ma a tutti noi, perché veniamo privati di qualcosa.

Staino: “Sono d’accordissimo. Sottoscrivo. Facciamo appello agli intellettuali…”.

D.: Lo scrivi tu, perché se lo scriviamo noi, poi corri il rischio che firmi una cosa che non sai.

Staino: “No, sono d’accordo. E devo dire anche il pubblico, eh, perché son sicuro che se il pubblico vede Pannella gira, mentre se vede qualcun altro purtroppo rimane e questo mi dispiace molto”.

D.: Sei sicuro che se vedono Pannella ‘girano’?

Staino: “Sì.”

D.: Come mai hai acquisito questa certezza?

Staino: “Perché nell’immaginario collettivo è passata quest’immagine così, di un vecchio rompicoglioni… Anche a Radio Radicale, quando arrivi te che intervisti Pannella, subito si abbassa l’ascolto…”

D.: È colpa mia, probabilmente, non di Pannella.

Staino: “Eh certo… È così, conta l’immaginario.”

D.: Speriamo che tu abbia torto, invece. Ci vogliamo augurare e chiudere questa conversazione sperando che tu ti stia sbagliando, per quel che riguarda l’effetto Pannella un giorno che va in televisione.

Staino: “Certo che posso sbagliare. E’ una mia sensazione…Poi io faccio sempre tanti errori, soprattutto nello scegliere i candidati. Non voglio impaurire Giachetti, ma negli ultimi anni, tutti i candidati su cui ho puntato, da Bersani a Cuperlo, alla fine hanno perso… Solo Giuliano Pisapia…”.

D.: Se hai questa proprietà diciamo che sostieni il movimento di Grillo…Peccato che non voti a Roma, che sei toscano e quindi votante…

Staino: “Ho mandato i cento euro di contributo… Ho fatto anche la vignetta…”.

D.: Cento euro, una vignetta e un voto sarebbe stato meglio, però, siccome sei residente altrove….

Staino: “Ho fatto anche la vignetta che dice: ‘I radicali? Come? A chi mandi i 100 euro?’ Vuoi fare Scandicci?… Magari gli mandavo pure di più se votavo a Roma…”

D.: Va bene, cento euro da Giachetti, speriamo seicento al Partito Radicale quanto prima…

Staino: “Tanto venderete gli acquerelli…”

D.: Tranquillo, noi vendiamo tutto. Siamo disposti a qualunque cosa. Spregiudicati. Andiamo a cena da Berlusconi, figurati…

(Trascrizione non rivista dall’autore)

+ PDF
Articoli suggeriti

Start typing and press Enter to search