È stata liquidata in poche righe, la visita del ministro della Giustizia Andrea Orlando e di una delegazione di detenuti del carcere di Rebibbia a Marco Pannella. Inevitabile, nei giorni drammatici dei fatti di Bruxelles; e comunque peccato. Perché non solo, probabilmente, tra tutte le “visite” che in questi giorni Pannella ha ricevuto, questa è stata tra le più gradite. Quella “visita”, quell’incontro è importante per il suo valore non solo simbolico, e per il suo significato.
Pannella da sempre fa sua l’affermazione attribuita a Paolo di Tarso: “Spes contra spem”, essere speranza, contro l’avere speranza, con tutto quello che questo comporta. E in particolare “spes contra spem” lo dice ai carcerati, e più in generale a tutta la comunità che vive negli istituti penitenziari. Ai detenuti, agli agenti di custodia che spesso cadono nella disperazione e decidono di farla finita, con tutto il fiato che ha in gola, Pannella dice loro che devono essere, incarnare speranza, più che nutrirla. Ed ora, in un momento delicato, sono loro, i detenuti e il ministro della Giustizia a essere andati da Pannella, per chiedere che continui anche lui a essere speranza: per tutti noi.
Speranza, Pannella lo è da sempre; non è azzardato accostarlo ai grandi campioni della nonviolenza, i Gandhi e i Tolstoi, i Martin Luther King e gli Aldo Capitini. Con un qualcosa in più, rispetto agli altri: da sempre coniuga metodo nonviolento con tenace, irriducibile, lotta per la difesa del diritto. È stato Indro Montanelli a riconoscere che si deve al nonviolento Pannella se tanti giovani, non hanno ceduto alla tentazione suicida e masochista, oltre che omicida e criminale, di abbracciare la lotta armata.
Amato o detestato, comunque non lascia mai indifferente, sempre ti costringe a dire: “Però…!”, anche quando ti sembra che dica cose scombiccherate che più non si può. Aveva visto giusto Giulio Andreotti. Cosa pensa di Pannella? La risposta è un epigramma: “Marco anche quando graffia, non lascia rancore”.
Un giorno potrebbe essere interessante redigere un catalogo delle persone che hanno incrociato Pannella e recuperarne i giudizi e le opinioni. Qui, ora, per chiudere, bastano due. Il primo è del poeta Eugenio Montale: “Dove il potere nega, in forme palesi, ma anche con mezzi occulti, la vera libertà, spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrej Sacharov e Pannella, che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore. Il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi”.
E ora Leonardo Sciascia: “Pannella è il solo uomo politico italiano che costantemente dimostri di avere il senso del diritto, della legge, della giustizia. Pannella e le non molte persone che pensano e sentono come lui (e con le quali mi onoro di stare), si trovano dunque ad assolvere un compito ben gravoso e difficoltoso: ricordare agli immemori l’esistenza del diritto e rivendicare la loro esistenza di fronte ai giochi di potere che appunto nel vuoto del diritto o nel suo stravolgimento, la politica italiana conduce”.
Almeno due cose, ci insegna Pannella: che il fine non giustifica i mezzi, questo è un machiavellismo d’accatto; piuttosto sono i mezzi a prefigurare e qualificare il fine. E ancora: mutuando Henry Bergson, che la durata è la forma delle cose. Alla luce di queste due “lezioni”, ecco che tutti i “difetti” di questo personaggio sono destinati a impallidire, come gli eventuali “errori” politici commessi, e gli “eccessi” che gli si rimproverano; perché è grazie a quel “matto” radicale se tutti noi ci possiamo permettere d’essere “saggi” e “ragionevoli”.