In Rassegna Stampa

Dagli scenari immaginati da Isaac Asimov alle paure di fronte a una minaccia alla sopravvivenza della specie: al Parlamento europeo si apre la discussione sul documento che contiene le norme di Diritto civile sulla robotica. Così gli uomini si preparano a una possibile supremazia delle macchine (sempre più intelligenti) sui creatori.

Tutto ciò, di cui il diritto comincia ad appropriarsi, cessa di essere un evento meramente naturale e acquista rilievo civile: non è più una semplice forza, che compete selvaggiamente con le altre, ma una funzione sociale, riconosciuta pubblicamente e regolata da norme. Il 12 gennaio la Commissione giuridica del Parlamento europeo ha approvato un complesso documento che verrà discusso dall’Assemblea plenaria il prossimo 13 febbraio.

Si tratta di una risoluzione, che «reca raccomandazioni concernenti norme di diritto civile sulla robotica». Vi si parla di «macchine intelligenti» e delle responsabilità di progettisti, produttori e utenti, che vanno definite a protezione dei diritti di terzi che dal funzionamento dei robot potrebbero esser violati. Si accenna pure al «possibile anche se non valutabile impatto per la dignità umana, se e quando i robot sostituiranno le cure e la compagnia umane».

Ma il documento si spinge ben oltre. Esso esplicitamente considera «la possibilità che nel giro di pochi decenni l’intelligenza artificiale giunga a superare la capacità intellettuale umana e, se non saremo preparati, possa mettere a repentaglio la capacità degli umani di controllare ciò che hanno creato e, per conseguenza, anche la loro capacità di essere responsabili del proprio destino e di garantire la sopravvivenza della specie».

Così nel discorso giuridico, e al fondo nel discorso etico, dunque nel pieno centro del mondo storico irrompe ufficialmente l’Altro, il soggetto non umano che oggettivamente si candida ad essere un giorno la seconda umanità, quando non addirittura l’unica, se la prima in un catastrofico scontro totale finisse per soccombere. Il discorso giuridico qui, movendo dalla normale problematica dell’allargamento della protezione del diritto in corrispondenza di nuove situazioni di fatto dell’organizzazione sociale, passando attraverso l’interpello avanzato dall’emergenza etica, perviene a toccare un’inaudita altezza di politica autentica.

Qui la «robosfera» non si presenta più come un genere letterario, la cosiddetta fantascienza, ma si propone alla nostra attenzione, e preoccupazione, come una realtà evolutiva che tende a diventare un fattore del divenire storico ed esige perciò di essere culturalmente istituzionalizzata, immessa nel discorso pubblico, mutata da selvaggia in civile.

Il salto paradossale dalla levità dell’invenzione letteraria alla pesantezza di un’effettività che s’approssima è il nocciolo nudo del documento. «Considerando che sino al momento in cui – se mai ciò si verificherà – i robot diverranno o saranno consapevoli di sé, le leggi di Asimov devono essere considerate come rivolte ai progettisti, ai fabbricanti e agli utilizzatori di robot, dal momento che tali leggi non possono essere convertite in codice macchina», cioè in mere trasmissioni d’impulsi elettronici. Insomma leggi morali proposte nella fantasia letteraria vengono assunte ad auspicati contenuti di norme giuridiche positive.

Nella fase avanzata della sua intensissima attività letteraria, il geniale Isaac Asimov era giunto a enfatizzare l’indistinguibilità dei più evoluti robot dagli esseri umani e a immaginarli responsabili dinanzi a leggi puramente razionali e perciò universali. Perciò la sua roboetica culmina con l’imperativo: «Un robot non può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l’umanità riceva danno». Ciò implica il riconoscimento che etica è non solo l’azione in cui liberamente, per una scelta puramente razionale, si limita un proprio potere, ma anche e soprattutto quella in cui, disponendo di un potere, non ci si astiene dall’esercitarlo a vantaggio dell’umanità.

Nell’opera di Asimov l’etica robotica è l’allegoria dell’etica umana. Oggettivamente l’etica non è altro che la conseguenza della «responsabilità», del «non poter non rispondere» a una domanda o a una contestazione. Il semplice aver udito e capito una domanda, o una contestazione, rivoltaci nella nostra lingua o in una qualsiasi lingua traducibile nella nostra e perfino con significativi gesti, ci fa trovare al centro di una relazione, così come nel trovarci in altre innumerevoli relazioni dialogiche, stabili od occasionali, espresse o tacite, consiste il nostro quotidiano esistere. Perciò, se i robot giungessero un giorno a dialogare con noi, sarebbero soggetti etici, portatori di responsabilità.

Nella situazione etica sta la base del diritto. In questo il vincolo tra domanda e risposta non è più di semplice coinvolgimento comunicativo, ma viene assicurato e regolato da un potere sociale formalmente istituito e, nella civiltà moderna liberale, legittimato dal contratto costituzionale.

Il documento, che il Parlamento europeo si prepara a discutere, si muove evidentemente nell’ambito di due ordini di problemi, l’uno effettivo e l’altro ipotetico, però possibile o addirittura dotato di una certa non valutabile probabilità.

Il primo ordine riguarda il mondo storico nella sua attuale configurazione, in cui i soggetti sono gli uomini; il secondo lo riguarda nella sua possibile e non improbabile configurazione futura, in cui gli uomini si troverebbero a fare i conti con altri soggetti d’imprevedibile potenza, i robot, di cui essi stessi saranno stati deliberatamente o inavvedutamente i creatori. Il motore del passaggio dall’uno all’altro ordine è l’inarrestabile sviluppo della tecnologia.

Nel primo ordine di problemi, sul cui terreno il Parlamento dell’Unione europea muove il suo passo, si presentano questioni economiche e sociali, che mettono in gioco indirizzi politici di fondo, nazionali e planetari, «locali» e «globali». Secondo il documento infatti lo sviluppo inarrestabile dei dispositivi intelligenti costituisce, a lungo termine, «il potenziale per una prosperità virtualmente illimitata», ma «nel contempo può portare a far sì che gran parte del lavoro attualmente svolto dagli esseri umani sia svolto da robot, sollevando preoccupazioni quanto al futuro dell’occupazione e alla sostenibilità dei sistemi di previdenza sociale», e quanto alla «crescente disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e del potere».

La robotica da pratica tecnologica, apparentemente comoda per il benessere in genere e del tutto irrilevante per il sistema normativo degli Stati, viene così ufficialmente riconosciuta, anche agli occhi degl’incompetenti e dei distratti, carica di potenza disgregatrice ed eversiva della coesione sociale.

Il secondo ordine di problemi, a cui il documento comunitario s’interessa, appartiene all’ambito dei futuribili. Quando questi hanno un grado assai basso di probabilità, occuparsene è solo un gioco futile, una perdita di tempo. Ma, quando il grado di probabilità s’innalza, allora la ragionevolezza sollecita la razionalità ad occuparsene. Il pensiero pratico è chiamato a operare.

Paesi tecnologicamente avanzatissimi, come Stati Uniti, Giappone, Cina e Corea del Sud, hanno già iniziato a considerare la nuova complessa prospettiva e ad adottare misure giuridiche.

Comunque non ci s’illuda. Soltanto la politica autentica, animata dalla sempre più matura coscienza dei popoli, può indirizzare l’irresistibile sviluppo della «robosfera» verso la costruzione di un ordine umano sicuro e giusto.

Il dibattito aperto nel Parlamento europeo è, nel vecchio continente, il gesto inaugurale di questo lavoro politico di grande respiro. Speriamo che i molti «politici» alla Trump, i grossi e i piccoli, dovunque disseminati, non lo facciano rapidamente abortire.

Fonte: Il Mattino

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