In Conversando con

Conversando con il prof. Aldo Masullo

Intervista di Valter Vecellio
Napoli, 4 maggio 2015

Valter Vecellio intervista il professor Aldo Masullo, professore emerito di Filosofia morale dell’Università Federico II di Napoli.

L’intervista è stata registrata sabato 2 maggio 2015 alle ore 15:48.

Nel corso dell’intervista sono stati trattati i seguenti temi: Armi, Arte, Comunicazione, Croce, Cultura, Democrazia, Diritti Civili, Diritti Umani, Elezioni, Etica, Filosofia, Governo, Guerra, Informazione, Istituzioni, Italia, Legge Elettorale, Liberalismo, Lo Porto, Majorana, Mass Media, Onu, Pannella, Partito Radicale Nonviolento, Politica, Radicali Italiani, Renzi, Riforme, Sciascia, Scienza, Segreto, Senato, Sicurezza, Societa’, Stato, Storia, Tecnologia, Terrorismo Internazionale, Usa, Voto.

Fonte: Radio Radicale

Professore, per andare subito alla carne delle questioni che vorremmo affrontare con lei… Che tempi stiamo vivendo? Tecnicamente non viviamo oppressi da una dittatura, almeno non nel senso che solitamente viene intesa; tuttavia non possiamo neanche parlare di democrazia, se per democrazia si intende la possibilità di poter non solo partecipare, ma anche conoscere i processi decisionali, poterli in qualche modo controllare e sorvegliare…Dunque come definire il tempo che viviamo in questo Paese?

Aldo Masullo: “Non si può certamente dimenticare, che viviamo in un tempo in cui le società non possono non dirsi “società di massa”, vecchia categoria entrata nel discorso filosofico-politico negli anni tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale; e neppure possiamo ignorare che diventa sempre più pesante ‘leggere’ la realtà sociale: perché la massa, tutti noi, oggi, disponiamo di strumenti di comunicazione e di interazione, estremamente più potenti e sofisticati di un tempo. Oggi abbiamo i famosi social network e, certamente, questo è un elemento, insieme a tutto ciò che si collega con la tecnologia molto avanzata delle comunicazioni; ed è un problema politico: perché da un lato si tratta di conoscere meglio; dall’altro lato di non confondere l’informazione con la conoscenza.

Certamente, oggi, abbiamo una informazione di massa. Allora il primo problema è cercare di capire quanto corrisponda, all’informazione di massa, una conoscenza di massa. Questo credo sia un elemento di estrema problematicità. In una democrazia autentica non può esserci ‘solo’ informazione, che pure è un presupposto fondamentale; l’elemento vero è quello della conoscenza. Il vero problema della democrazia oggi è realizzare un potere che sia ad un tempo popolare, diffuso; non del semplice poter dire “sì” o “no”, cosa certamente importante, ma che sia un potere di diffusa intelligenza critica su ciò che avviene; per questo insisto: non solo di informazione, ma anche, soprattutto conoscenza”.

Lei, facendo riferimento ai social network e alle nuove tecnologie peraltro in costante e straordinaria evoluzione solleva una questione che già trent’anni fa, quando ancora questa tecnologia non c’era, è presente per esempio in un poderoso libro scritto da un intellettuale francese, Jean-François Revel… Il libro è stato tradotto anche in italiano, “La conoscenza inutile”; già allora Revel metteva in guardia dal fatto che si conosceva una quantità di cose, in realtà non si sapeva nulla; e si poneva il problema delle ‘fonti’ primarie di questa conoscenza, di chi controllava questa conoscenza, e la manipolazione delle notizie che poteva derivarne. Come se ne esce?

Aldo Masullo: “Innanzitutto, occorre richiamare il tono di un atteggiamento. In genere, quando si parla della difficoltà della conoscenza di massa, quando in qualche modo, si condannano i mezzi di comunicazione di massa del nostro tempo, lo si fa con l’atteggiamento di chi tendenzialmente vuole respingere tutto questo; è l’atteggiamento di considera tutto questo un pericolo da fermare, scongiurare. Credo che questo atteggiamento non porti da nessuna parte.

Piuttosto credo che l’atteggiamento da assumere sia quello non di condannare il mezzo, quanto di impegnarsi nell’assunzione della nostra capacità critica di porsi all’altezza dei nuovi mezzi; mi spiego: occorre che si formi una cultura che sia ‘cultura del governo’ di questi mezzi di informazione ormai così diffusi, e in grado di far ‘correre’ un’infinità di voci. Il problema è, appunto, quello di elaborare questo tipo di cultura. Penso che questa sia la vera questione della cultura, di quella che chiamiamo “cultura”: perché “cultura”, come si sa, è un termine polivalente, equivoco. È certamente cultura ogni formazione di mentalità; ma qui, il dilemma: la formazione di mentalità va lasciata a se stessa e alle proprie dinamiche spontanee o; in qualche modo, va guidata, va portata verso una critica di massa, e non una massa critica? Credo sia questo, oggi, il vero problema di cui si potrebbe investire una nuova “Società della Cultura”. La “Società dalla Cultura” del 1951 era ancora una “Società della Cultura” che si trovava di fronte a una realtà ben poco diffusa; una realtà in cui c’era soltanto una ignoranza di massa, una dispersione di posizioni e, di fronte a ciò, la “Società della Cultura” invocava la libertà. Libertà da cosa? Dall’unico nemico che allora sembrava esser tale: i regimi dittatoriali, le repressioni della libertà; quindi una difesa della libertà, della cultura contro la dittatura nei suoi vari modi di essere. Oggi la difesa della libertà della cultura è la difesa della cultura emergente, cultura di massa, cultura attraverso i mezzi di comunicazione informatica, che rischia di implodere. Allora il problema non è quello di opporsi a questa cultura, ma di riuscire, viceversa, a investirla di un potere critico; questa è la vera responsabilità di coloro che in qualche modo, per la loro posizione, esercitano una funzione che potremmo chiamare di ‘alta cultura’, e che io chiamerei più semplicemente di ‘cultura critica’”.

Lei ha fatto cenno alla prima Associazione per la Libertà della Cultura, quella di Benedetto Croce, Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte, Hannah Arendt, tanti altri… E sono gli stessi anni, più o meno, in cui Luigi Einaudi, nelle sue “Prediche inutili”, all’inizio parla di “conoscere per poter deliberare” e quindi la conoscenza come presupposto fondamentale della democrazia. Ecco: si può affermare che non c’è democrazia senza conoscenza?”

Aldo Masullo: “Certo! Non c’è democrazia senza conoscenza, e non c’è conoscenza senza appropriazione critica di ciò che si sa. Questo è il punto più delicato di tutta la questione”.

Assodato, dunque, che la conoscenza è il presupposto fondamentale per la democrazia, qui tocchiamo un nodo che mi pare sia ancora tutto da sciogliere: la conoscenza è un presupposto anche dello Stato di Diritto; e tuttavia c’è anche un Diritto dello Stato: non tutto può essere conosciuto, quantomeno non tutto deve essere conosciuto immediatamente; c’è una sfera di azioni, di comportamenti che è bene che lo Stato non faccia conoscere subito. E qui il confine diventa labile: fin dove ci si può spingere in questo diritto alla conoscenza, come si fa a conciliare il diritto alla conoscenza con il diritto dello Stato alla riservatezza? Come si conciliano questi due diritti?

Aldo Masullo: “Questa è una questione molto dura: il limite fra ciò che si può conoscere e ciò che non si deve conoscere in una visione di Stato organizzato, è un discrimine che deve essere oggetto della coscienza popolare; cerco di spiegarmi: non è che lo Stato può dire: “Beh ci sono delle questioni riservate, voi non potete conoscerle, punto e basta”. Si deve anche formare una coscienza collettiva, una coscienza di massa, che proprio in nome della libertà collettiva accetta che ci possano essere sfere e ‘luoghi’ riservati, e che lo possano essere per un determinato tempo… Se c’è questa consapevolezza non sei tanto, o solo, tu Stato che mi impedisci di conoscere; piuttosto sono io, soggetto collettivo, che acquisto tanta coscienza del potere della collettività, che mi rendo anche conto che ci sono momenti e situazioni che non si possono immediatamente mettere alla vetrina, aperta agli sguardi di chiunque.

In fondo, anche qui è una delega che può essere data solo da chi conosce: non sei tu Stato che mi puoi bendare gli occhi, sono io collettività, io soggetto collettivo, proprio perché ho una conoscenza critica della realtà di cui faccio parte, mi rendo conto che c’è, nella funzionalità dello Stato, una zona che va tenuta riservata; una zona, un ‘luogo’ di cui si deve discutere dopo, e con calma; e che nell’immediato bisogna lasciar gestire da alcuni ai quali si dà fiducia. Ecco, la conoscenza non può essere limitata se non dalla conoscenza stessa.”

Qui c’è la questione, per andare sul concreto, del segreto di Stato. Ci possono essere senz’altro questioni che è bene che siano “celate” dal segreto di Stato, che viene revocato dopo un “X” di anni. Noi però viviamo, attualmente, una situazione dove non sappiamo neppure quanti sono i segreti di Stato. Quindi, sì il rapporto fiduciario, e questioni su cui è bene ci sia una riservatezza, un segreto, ma come impedire che il segreto sia posto anche in materie che non meritano di essere secretate e possono essere ‘semplicemente’ scomode per chi detiene il potere?”.

Aldo Masullo: “Certo… Ma, certamente, anche l’opposizione del segreto di Stato è un’opposizione che deve nascere da una consapevolezza critica e non da un atto di imperio dello Stato stesso. Io non so esattamente quali siamo le materie in cui lo Stato si riserva di mantenere il segreto. Chi lo dice? Chi le determina queste materie? Ecco, questo è un tema di discussione, un tema di dibattito democratico: la democrazia non deve negare la possibilità del segreto, ma deve, viceversa, dibattere, diventare consapevole di quali siano le condizioni per le quali uno Stato può invocare il segreto”.

Marco Pannella e i radicali, da tempo, lavorano perché il diritto umano alla conoscenza sia sancito anche nelle più alte sfere istituzionali come l’ONU, al pari del diritto alla vita del diritto alla libertà di opinione, di professare una religione e le libertà fondamentali. Lei è d’accordo che debba esserci questo diritto umano alla conoscenza, e se deve esserci, in che modo, poi dopo, immagina che debba essere regolamentato, governato?

Aldo Masullo: “Che sia necessario sancire un diritto umano alla conoscenza, credo sia un’esigenza fondamentale. La prima forma in cui si estrinseca la dignità umana è proprio la conoscenza. Come ci insegna Dante, “…Considerate la vostra semenza:/
fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza”…”. Dunque, l’essere umano è tale, cioè “essere umano”, in quanto conosce”.

Vecchia questione, quella conoscenza, si può anche finire male: nella Bibbia chi vuole conoscere viene si gioca il Paradiso...”

Aldo Masullo: “Però lì ci si riferiva alla conoscenza del divino…”.

Un segreto di Stato anche quello…”

Aldo Masullo: “E a noi quello deve interessare, non il divino; il segreto di Stato attiene all’umano. Dal Rinascimento in poi noi non contestiamo nulla di ciò che riguarda il divino, se la vedano coloro i quali si occupano di queste cose… Quello che noi contestiamo, noi uomini dell’età moderna, è la preclusione del conoscere che riguarda le cose umane, le cose che giorno per giorno dobbiamo gestire e realizzare, per essere noi stessi. La Bibbia, l’albero del bene del male, riguardano la conoscenza del divino. Siccome noi non siamo competenti in questa materia, non occupiamocene. Interessiamoci a come gestire l’umano, il ‘terreno’, le cose di questo mondo.”

“Per tornare alle cose di questo mondo, ovvio che non siano cose liquidabili in poche battute, questioni complesse…Lei, comunque da dove comincerebbe?

Aldo Masullo: “Comincerei dalle cose senza le quali l’uomo non si riconosce come uomo. L’uomo si riconosce come tale nel momento in cui si accorge che la sua stessa umanità, non dipende da lui come individuo naturalmente inteso. Quando si nasce, cosa siamo? Siamo individui di una specie di zoologia che noi chiamiamo “Homo Sapiens”, ma rimarrei puramente e semplicemente individui di una specie di zoologica, se non ci fosse qualcuno che mi accoglie nel mondo della cultura, cioè della società organizzata e capace di costruire regole secondo gesti che comunicano con i gesti degli altri. Se mia madre non mi avesse allevato, io non sarei entrato nella società umana, non sarei diventato parlante, non sarei diventato ragionante, quindi non sarei diventato uomo. Quindi il mio essere uomo non dipende né dalla natura fisica, né da una mia proprietà puramente individuale, ma dipende dal fatto che quando parlo, in me parlano tutti coloro che hanno avuto relazione con me e che mi hanno, quindi, in qualche modo modellato. Per cui io sono quello che sono, un soggetto capace di responsabilità-

Che significa “responsabilità”? Significa impegno a rispondere. Qui c’è un passo di San Paolo che potrei utilizzare, trasferendolo al nostro tema. Paolo nella lettera ai Romani dice che la fede è tale per coloro che hanno udito. Dunque, posso considerarmi “uomo”, prescindendo dall’aver udito la parola degli altri, e quindi prescindendo dal fatto che io sono coinvolto nel rispondere alla parola degli altri? È questa struttura plurale, propria dell’uomo diventato uomo, nel rapporto con gli altri, che sta alla base della cittadinanza. Essere cittadino non significa solo essere cittadino di uno Stato, “civis romanus sum”; significa essere membri di una comunità di persone che possono comunicare fra di loro, e questa comunità è illimitata: perché anche un cinese può comunicare con me, e io posso comunicare con lui, imparando ciascuno la lingua dell’altro, facendosi aiutare da un interprete, utilizzando una lingua che abbiamo in comune oltre quella nostra materna.

Quando un cinese mi dice (e io lo capisco):“Perché devo rispettare una regola del tuo Stato?”, io devo rispondere: “Devi rispettare una regola del mio stato se vieni nel territorio su cui questo Stato ha sovranità”.

“Questo io lo capisco”, mi dice il cinese – ma al di là dei confini del tuo Stato, come al di là dei confini del mio stato, ci sono regole che dobbiamo rispettare?”; e io dico: “Sì, ci sono regole che noi dobbiamo rispettare se vogliamo essere o vogliamo continuare a essere umani”. Essere umano significa essere membro di questa comunità che lo si riduce a quella di uno Stato. È una comunità universale, illimitata, che si può anche immaginare estendibile ad altri esseri ragionevoli che, eventualmente, si trovassero su un altro corpo celeste. Questo Giordano Bruno lo aveva ben intuito, quando parla di abitanti di “altri mondi”. I mondi sono infiniti. Chissà che tra questi mondi infiniti non ce ne siano alcuni abitati da individui con i quali noi riusciamo a stabilire una comunicazione. Quindi è la comunicazione che rende possibile la comunità.”

Torniamo un attimo alla questione del diritto umano, alla conoscenza. C’è un qualche modello, un qualche sistema da qualche parte che si avvicina a quello che lei si augura e prefigura?

Aldo Masullo: “Un modello è quello che non è già del tutto compiuto (perché poi i modelli compiuti sono modelli morti), ed è quello che è alla base originaria delle Nazioni Unite; non quello che sono, quello che si sognava potessero essere, con la dichiarazione dei Diritti Umani Universali. Quei diritti da chi sono stati proclamati? Certamente sono stati proclamati da una convenzione di Stati diversi, che convengono, si accordano nel riconoscere dei principi che devono valere in ciascuno degli Stati di loro che convengono, ma che vengono convenuti come diritti che potrebbero e dovrebbero essere riconosciuti via via che altri Stati entrino in questa concordia. Quindi sono diritti che si vanno riconoscendo… I diritti non sono mai riconosciuti una volta e per sempre, perché la storia umana è la storia forse del riconoscimento progressivo che l’uomo fa della sua umanità non limitata e quindi non riducibile a questo o a quel diritto, ma esposta a essere via via allargata, così come vengono allargati i riconoscimenti dei diritti.”

La sollecito su una questione che mi pare più che mai attuale, ed è quella della responsabilità dell’intellettuale, dell’uomo di cultura, lo scienziato, rispetto al potere.”

Aldo Masullo: “Qui arriviamo al punto cruciale di tutta la questione: sapere e potere. Certo più si sa più si può, ma il potere nel suo costituirsi come potere sociale, non deriva puramente e semplicemente dal sapere. Quindi ci troviamo di fronte ad uno scontro: la famosa Società per la Libertà della Cultura è una denuncia di questo scontro; la Società per la Libertà della Cultura è una raccolta di uomini tutti consapevoli che occorre la libertà e tutti consapevoli però che questa libertà è minacciata dalla presenza reale, di fatto, effettiva dello Stato. Quindi il problema del rapporto tra il reale idealmente concepito e il reale come effettività della società costituita. La società costituita è effetto, effettuale, c’è, ha un potere. Questo potere spesso si scontra con l’ideale della cultura come libertà del sapere ed è in questo gioco che forse sta l’aspetto più profondo della politica. L’aspetto più profondo della politica sta nell’affrontare, in nome della libertà (non di una libertà vaporosa, ma una libertà ben definita), un potere che esso stesso non è vaporoso, ma è tanto definito da essere in grado anche di soffocare la voce della cultura libera. Qui è la politica…”

Lei certamente ha letto “La scomparsa di Majorana” di Leonardo Sciascia. Ora qui interessa poco se Majorana si sia tolto la vita, se abbia deciso di scomparire nascondendosi in un convento, come sia scomparso. La questione centrale di quel libro posta da Sciascia è che Majorana forse aveva intuito, aveva previsto la scoperta dell’atomica; viveva sotto il fascismo con il nazismo imperante, temeva l’uso che queste dittature avrebbero potuto fare di questo terribile ordigno; e si è posto la questione della sua responsabilità rispetto al potere che dominava nei Paesi in cui lui viveva. Scrive Sciascia, a un certo punto della sua riflessione: “…chi, sia pure sommariamente, conosce la storia dell’atomica, è in grado di fare questa semplice e penosa constatazione: che si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà. Furono liberi coloro che non la fecero. Schiavi coloro che la fecero…”. Non fecero o fecero la bomba, s’intende. Ecco, qui, in quel libro si dice lo scienziato non può invocare una neutralità. Lo scienziato è responsabile, o addirittura complice, di quello che lui scopre, di quello che lui realizza; e ha una responsabilità ben precisa, deve farci i conti. Mi pare questa l’essenza di quel che intende dire Sciascia in quel libro…”.

Aldo Masullo: “Sì… Qui si affaccia un problema molto sottile : il problema del rapporto tra la libertà della scienza, come per l’artista tra la libertà dell’arte e la responsabilità politica. Io scrissi, nel 1964, un libricino intitolato “La storia e la morte”. L’ho scritto sotto l’emozione per la morte di una mia sorella, ma c’era sullo sfondo anche la mia emozione di cittadino, di fronte allo scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica, quando si stavano per collocare i missili a Cuba, e ci fu un momento in cui il mondo fu sull’orlo della tragedia nucleare. Quello scontro mi fece ricordare quello che sostiene Benedetto Croce (ecco il problema della Libertà della Cultura), quando dice: “la storia non può morire”; perché Croce non escludeva potesse esserci un cataclisma cosmico, lo scontro con un corpo celeste per cui finiamo tutti… ma in quel caso dice: “la morte viene dall’esterno”, la storia non c’entra, la storia finché c’è, c’è. Se però viene schiacciata l’umanità non è la morte della storia, è la morte dell’umanità. Io osservo che questa tesi tutto sommato ottimistica, liberale, viene smentita dalla scomparsa dalla bomba atomica. Perché in questo caso noi ci troviamo alla possibilità che la morte venga non dall’esterno della storia, ma dalla storia stessa: il gesto di un uomo che preme un bottone e distrugge l’umanità; e distrugge anche la storia, un gesto che avviene nella storia. Quindi è la storia che continua ad essere storia, ed è storia però che decide la soppressione dalla storia stessa. E’ una prospettiva nuova, catastrofica non solo nel senso materiale, ma anche in senso morale: è la decisione assunta da un uomo, da un gruppo di uomini, la follia o la decisione fredda, razionale, di un gruppo di uomini di sopprimere la storia; questo mette a nudo quello che lei diceva prima, cioè la responsabilità dello scienziato. Ancora una volta, la distinzione che giunge alla sua maturazione nell’ambito della cultura moderna più raffinata la cultura liberale, la cultura crociana, la “distinzione”… Nel momento in cui faccio arte, faccio qualche cosa che è responsabile solo verso se stessa, cioè devo fare arte buona, arte bella, non devo curarmi se quello che faccio è o no piacevole dal punto di vista morale. Ecco, questo crolla. Io come artista continuo a essere libero, ma libero non è l’artista… Bisogna fare questa distinzione. L’arte in se stessa non può obbedire che alla sua esigenza di produrre il bello. Ma chi lo produce, chi fa l’arte? Ancora un essere umano, perché tale è l’artista. Allora, distinguiamo tra arte e artista: l’arte non è il cittadino, quindi è libera nel senso più assoluto della parola; ma chi fa l’arte è un cittadino che deve rispondere ad altri cittadini di ciò che egli fa, e comporta, come attacco e difesa, alla libertà di ciascuno.”

Per venire ai giorni nostri, ha un suo fondamento, dire che da una parte la libertà della cultura, in senso più ampio del termine, è tremendamente minacciata; e al tempo stesso di dovrebbe essere in prima fila, ‘responsabile’, è invece deresponsabilizzato, e in qualche modo viene meno alla sua funzione?

Aldo Masullo: “Ecco, qui si fa tremendamente acuto il problema del rapporto tra il sapere critico e la potenza tecnologica: quello che costituisce la vera minaccia non è la tecnologia in quanto tale, ma il fatto che il potere che la tecnologia dà, diventa il potere sociale; mi spiego: la tecnologia non è solo un insieme di conoscenze, è un insieme di conoscenze capaci di produrre effetti di potere, che non vengono messi a disposizione di tutti, democraticamente, ma lo sono di quei centri di ricerca, e soprattutto di quei centri di potere finanziario, che finiscono con l’essere potere sociale. Questo è l’elemento che oggi pone il problema della libertà della cultura, in termini completamente diversi da come se lo ponevano i nostri amici del 1951.”

Senta, una riflessione legata alla stretta attualità; e mi riferisco alla vicenda del povero Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano lungamente sequestrato dai terroristi, e morto vittima di un drone americano perché non sapevano che si trovava in quello che credevano fosse un covo. Noi in Italia ce ne siamo “accorti”, perché il caso riguarda un italiano, ma esempi di quel tipo se ne possono fare a decine. Qualcuno per esempio ha calcolato che per ogni terrorista ucciso in quel modo, una trentina di persone innocenti vengono ammazzate in modo analogo, “errori”; e c’è chi dice: “È il prezzo che si paga per la guerra al terrorismo”…E’ un discorso molto duro da digerire, è una frase tremenda: “E’ il prezzo da pagare per la guerra al terrorismo”, non crede?”.

Aldo Masullo: “Elegantemente parlano di ‘effetto collaterale’…”

Diciamo pure effetto collaterale: formula burocratica e anche molto cinica, come espressione. Davvero ci si deve rassegnare a pagare questo prezzo?”.

Aldo Masullo: “E’ un prezzo che non dobbiamo pagare, che non dovremmo pagare, ma che pagheremo… Distinguiamo tra il dovere e il fare, il fatto. Pagheremo fin quando non riusciremo a risolvere il problema del rapporto tra il potere nella sua enfatizzazione tecnologica e la democrazia. In sostanza: chi controlla il potere tecnologico? Quali centri si costituiscono sulla base di un potere tecnologico che sfugge al controllo democratico? La questione stessa del terrorismo, è la questione di un potere che, magari, è anche un potere diciamo così, di rivendicazione di diritti e di libertà che noi occidentali abbiamo sistematicamente conculcate, ma che adesso dispone di un potere tecnologico che costituisce un pericolo. Allora noi abbiamo un potere tecnologico dell’Occidente, un poterete cnologico di altri gli altri popoli, di altre culture, di altri soggetti che si scontrano. Tutto ciò non è facilmente risolvibile. Significa che noi tutti dobbiamo intraprendere un cammino che finora non abbiamo voluto iniziare: il cammino di una progressiva conquista razionale e critica. È un potere, tanto per intenderci, che potremmo chiamare illuministico, e però che deve diventare non più solo di pochi, ma di molti, tendenzialmente di tutti. Il problema quindi diventa quello di una pedagogia illuministica universale, che ognuno di noi, ogni gruppo, ogni persona, nel suo ambito, deve cominciare a professare, a esercitare, altrimenti non se ne esce… Per tornare alla Bibbia, in sostanza dice: “A tutti voi… il Sapere lo dò io e solo io, Dio”… noi però non abbiamo un Dio a cui rivolgerci. Il Sapere ce lo dobbiamo costruire noi, pezzo per pezzo, con grande pazienza. E per quel che riguarda il terrorismo: non è che possiamo ignorare che c’è, e dire: “No, non esiste…”. C’è, eccome; e possiamo pensare di eliminarlo con i droni… con i droni possiamo difenderci o qualcuno si può difendere. Il problema però è cominciare la costruzione di una nuova visione democratica della realtà.”

Per restare in tema di terrorismo: il ragionamento, l’obiezione che si fa è più o meno questa: volete viaggiare tranquilli in aereo, senza correre il rischio di un ordigno che lo fa esplodere? Volete stare in un palazzo senza il rischio che ci sia qualcuno che lo fa saltare per aria? Non volete essere vittime di attentati?… Certe persone, in qualche modo, vanno neutralizzate, eliminate. Noi lo facciamo, abbiamo individuato una lista di personaggi da abbattere, con operazioni ‘coperte’, droni, e quant’altro. Da eliminare punto e basta, siamo giudici che emettono sentenza e la applicano, senza processo e possibilità di difesa. Un arbitrio, sia pure a fin di bene, il fine giustifica il mezzo, per far ricorso a un machiavellismo d’accatto. Non è una strada pericolosa, che rischia di produrre effetti incontrollabili e forse a volte peggiori del male che vuole curare?”.

Aldo Masullo: “Guardi, il problema è se noi ci decidiamo a riconoscere o no ad essere in stato di guerra…”

“La guerra la dichiara uno o più Stati a uno o più Stati…”.

Aldo Masullo: “Diciamo allora che il punto è questo: la guerra, da Grozio in poi, ha delle regole…e da questo punto di vista, certo, si può obiettare che non si tratta di guerra. Come la vogliamo chiamare? Ci sono dei terroristi che uccidono e delle forze di uno o più Stati che per difendersi, reagiscono facendo uso e ricorso alla violenza. Per convenzione tra noi e per capirci, chiamiamola guerra; che sulla base della nostra cultura, ha (o dovrebbe avere) delle regole. Solo che le regole, per essere tali devono essere riconosciute da tutte e due le parti in causa. Ma questa è una guerra che non ha un punto di partenza, è molto magmatica. Di fatto la guerra c’è, ci è caduta addosso. Stiamo anche combattendo, ne paghiamo dei prezzi dolorosi. Cosa possiamo fare? Possiamo dire: “Noi, in base alla coerenza con la nostra cultura, assumiamo delle regole. Se voi non le rispettate dimostrate di essere quello che siete. Ma noi dobbiamo fare delle regole…”. Quindi credo che la linea di condotta sia quella di rifiutare la cosiddetta ‘operazione di pulizia’. Dobbiamo riconoscere che siamo in guerra. Ma, in base alla nostra cultura, dobbiamo anche dire: “Noi facciamo la guerra rispettando determinate regole.”

Lo stiamo facendo?

 Aldo Masullo: “No, direi proprio di no”.

Senta, questioni più ‘domestiche’: le riforme che sta varando il governo Renzi, soprattutto quella elettorale e quella costituzionale; che giudizio ne dà?

Aldo Masullo: “Il giudizio non può essere facile, immediato: “Mi pongo pro o contro?”. Altrimenti non sarebbe un giudizio, ma una presa di posizione; e purtroppo nella nostra vita politica sono più le prese di posizione che i giudizi. Allora, cominciamo con il non utilizzare il linguaggio come ci fa comodo. Se assumiamo un ‘codice’, dobbiamo rispettarlo. Allora qual è il linguaggio che la politica democratica assume? E’ che bisogna decidere a maggioranza; formata la maggioranza, la minoranza deve seguire quello che si è deciso concordemente. Mi spiego: se dopo il dibattito, il confronto, la discussione, si decide di fare qualcosa, non è poi che ci si può lamentare se quel qualcosa lo si mette in atto…”.

Stiamo parlando della minoranza del Partito Democratico…”

 Aldo Masullo: “Per ora in generale…”

La maggioranza, sempre in generale, non può però schiacciare e prevaricare i diritti delle minoranze…”.

Aldo Masullo: “Certo che no, anche se poi all’interno dei partiti ognuno applica le regole che crede. Non è obbligatorio stare dentro il partito X o il partito Y… Ad ogni modo, il punto di partenza è la forma, la “forma” democratica… La procedura? La procedura democratica per eccellenza, anche dove non c’è democrazia, quando si deve decidere si deve fare a maggioranza e a minoranza. Quindi, se in un partito si è formata una maggioranza democraticamente, la minoranza, secondo me, si deve adattare. Punto secondo: se si deve realizzare qualche cosa in base a una decisione della maggioranza è ovvio che ci deve essere uno che dirige la esecuzione. Allora è inutile dire: “Noi siamo contro l’uno solo al potere!”. No, se il potere è democratico anche se è uno solo, quello deve realizzarlo. Lei affiderebbe l’automobile in cui viene trasportato a tre persone che guidano con tre volanti diversi e con tre sterzi diversi? Immagino di no. Con questo che cosa voglio dire?

Che dobbiamo essere coerenti nell’uso del linguaggio, perché solo se siamo coerenti nell’uso del linguaggio, cominciamo a intenderci anche sul piano politico. Per ora sto solo facendo un discorso di procedura: se si decide a maggioranza, la minoranza che ha giocato la sua partita e pur potendolo diventare, non è riuscita a essere maggioranza, allora deve starci e far buon viso a cattivo gioco…”.

Questo è chiaro…ma per entrare nel merito delle questioni? Se le riforme vanno in porto ci troveremo con un Senato svuotato espressione di Regioni che sono quello che sono e a molti fanno dire: “Meglio abolirle”; una Camera che sarà ancora, probabilmente, composta da ‘nominati’; strumenti di democrazia come il referendum e i progetti di legge di iniziativa popolare sempre meno accessibili perché viene alzato il numero delle firme, ma nel contempo non viene abolito il quorum. Come si fa a dare torto a chi deluso, amareggiato, reagisce dicendo: ‘Vedetevela voi, non vado più a votare a questo punto…’?”.

Aldo Masullo: “Certo… Bisognerebbe fare il partito del “voto bianco”, per dare un senso politico, perché è stupido non andare a votare… Io andrò a votare. Magari a volte penso di mettere nell’urna la scheda bianca, anche se mi rendo conto dell’inutilità del gesto. Sarebbe forse utile se si formasse un movimento di “voto bianco”. Il voto a scheda bianca (non l’astensione, dico di andare al seggio e lasciare la scheda ‘intonsa’) avrebbe un significato politico: sarebbe un giudizio di condanna nei riguardi di tutti coloro che chiamano al voto senza aver prodotto nulla che garantisca che quello che faranno, sarà coerente con i principi democratici astrattamente proclamati… Ecco questo è uno stare sui coltelli… Mi rendo conto della perplessità che può suscitare tale posizione… Però forse potrebbe essere una carta da giocare…Per esempio, il caso del Senato è un caso, secondo me, veramente clamoroso, perché o il Senato lo si abolisce, facciamo un’unica camera punto e basta; o fare, come avrebbe detto Croce, un ircocervo o anche peggio…è un qualcosa privo di coerenza…Non dico altro…”.

Napoli 4 maggio 2015

(trascrizione, non rivista dall’autore, di una intervista curata da Valter Vecellio e trasmessa da “Radio Radicale”)

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Valter Vecellio intervista il professor Aldo Masullo, professore emerito di Filosofia morale dell’Università Federico II di Napoli.

L’intervista è stata registrata sabato 2 maggio 2015 alle ore 15:48.

Nel corso dell’intervista sono stati trattati i seguenti temi: Armi, Arte, Comunicazione, Croce, Cultura, Democrazia, Diritti Civili, Diritti Umani, Elezioni, Etica, Filosofia, Governo, Guerra, Informazione, Istituzioni, Italia, Legge Elettorale, Liberalismo, Lo Porto, Majorana, Mass Media, Onu, Pannella, Partito Radicale Nonviolento, Politica, Radicali Italiani, Renzi, Riforme, Sciascia, Scienza, Segreto, Senato, Sicurezza, Societa’, Stato, Storia, Tecnologia, Terrorismo Internazionale, Usa, Voto.

Fonte: Radio Radicale

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Professore, per andare subito alla carne delle questioni che vorremmo affrontare con lei… Che tempi stiamo vivendo? Tecnicamente non viviamo oppressi da una dittatura, almeno non nel senso che solitamente viene intesa; tuttavia non possiamo neanche parlare di democrazia, se per democrazia si intende la possibilità di poter non solo partecipare, ma anche conoscere i processi decisionali, poterli in qualche modo controllare e sorvegliare…Dunque come definire il tempo che viviamo in questo Paese?

Aldo Masullo: “Non si può certamente dimenticare, che viviamo in un tempo in cui le società non possono non dirsi “società di massa”, vecchia categoria entrata nel discorso filosofico-politico negli anni tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale; e neppure possiamo ignorare che diventa sempre più pesante ‘leggere’ la realtà sociale: perché la massa, tutti noi, oggi, disponiamo di strumenti di comunicazione e di interazione, estremamente più potenti e sofisticati di un tempo. Oggi abbiamo i famosi social network e, certamente, questo è un elemento, insieme a tutto ciò che si collega con la tecnologia molto avanzata delle comunicazioni; ed è un problema politico: perché da un lato si tratta di conoscere meglio; dall’altro lato di non confondere l’informazione con la conoscenza.

Certamente, oggi, abbiamo una informazione di massa. Allora il primo problema è cercare di capire quanto corrisponda, all’informazione di massa, una conoscenza di massa. Questo credo sia un elemento di estrema problematicità. In una democrazia autentica non può esserci ‘solo’ informazione, che pure è un presupposto fondamentale; l’elemento vero è quello della conoscenza. Il vero problema della democrazia oggi è realizzare un potere che sia ad un tempo popolare, diffuso; non del semplice poter dire “sì” o “no”, cosa certamente importante, ma che sia un potere di diffusa intelligenza critica su ciò che avviene; per questo insisto: non solo di informazione, ma anche, soprattutto conoscenza”.

Lei, facendo riferimento ai social network e alle nuove tecnologie peraltro in costante e straordinaria evoluzione solleva una questione che già trent’anni fa, quando ancora questa tecnologia non c’era, è presente per esempio in un poderoso libro scritto da un intellettuale francese, Jean-François Revel… Il libro è stato tradotto anche in italiano, “La conoscenza inutile”; già allora Revel metteva in guardia dal fatto che si conosceva una quantità di cose, in realtà non si sapeva nulla; e si poneva il problema delle ‘fonti’ primarie di questa conoscenza, di chi controllava questa conoscenza, e la manipolazione delle notizie che poteva derivarne. Come se ne esce?

Aldo Masullo: “Innanzitutto, occorre richiamare il tono di un atteggiamento. In genere, quando si parla della difficoltà della conoscenza di massa, quando in qualche modo, si condannano i mezzi di comunicazione di massa del nostro tempo, lo si fa con l’atteggiamento di chi tendenzialmente vuole respingere tutto questo; è l’atteggiamento di considera tutto questo un pericolo da fermare, scongiurare. Credo che questo atteggiamento non porti da nessuna parte.

Piuttosto credo che l’atteggiamento da assumere sia quello non di condannare il mezzo, quanto di impegnarsi nell’assunzione della nostra capacità critica di porsi all’altezza dei nuovi mezzi; mi spiego: occorre che si formi una cultura che sia ‘cultura del governo’ di questi mezzi di informazione ormai così diffusi, e in grado di far ‘correre’ un’infinità di voci. Il problema è, appunto, quello di elaborare questo tipo di cultura. Penso che questa sia la vera questione della cultura, di quella che chiamiamo “cultura”: perché “cultura”, come si sa, è un termine polivalente, equivoco. È certamente cultura ogni formazione di mentalità; ma qui, il dilemma: la formazione di mentalità va lasciata a se stessa e alle proprie dinamiche spontanee o; in qualche modo, va guidata, va portata verso una critica di massa, e non una massa critica? Credo sia questo, oggi, il vero problema di cui si potrebbe investire una nuova “Società della Cultura”. La “Società dalla Cultura” del 1951 era ancora una “Società della Cultura” che si trovava di fronte a una realtà ben poco diffusa; una realtà in cui c’era soltanto una ignoranza di massa, una dispersione di posizioni e, di fronte a ciò, la “Società della Cultura” invocava la libertà. Libertà da cosa? Dall’unico nemico che allora sembrava esser tale: i regimi dittatoriali, le repressioni della libertà; quindi una difesa della libertà, della cultura contro la dittatura nei suoi vari modi di essere. Oggi la difesa della libertà della cultura è la difesa della cultura emergente, cultura di massa, cultura attraverso i mezzi di comunicazione informatica, che rischia di implodere. Allora il problema non è quello di opporsi a questa cultura, ma di riuscire, viceversa, a investirla di un potere critico; questa è la vera responsabilità di coloro che in qualche modo, per la loro posizione, esercitano una funzione che potremmo chiamare di ‘alta cultura’, e che io chiamerei più semplicemente di ‘cultura critica’”.

Lei ha fatto cenno alla prima Associazione per la Libertà della Cultura, quella di Benedetto Croce, Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte, Hannah Arendt, tanti altri… E sono gli stessi anni, più o meno, in cui Luigi Einaudi, nelle sue “Prediche inutili”, all’inizio parla di “conoscere per poter deliberare” e quindi la conoscenza come presupposto fondamentale della democrazia. Ecco: si può affermare che non c’è democrazia senza conoscenza?”

Aldo Masullo: “Certo! Non c’è democrazia senza conoscenza, e non c’è conoscenza senza appropriazione critica di ciò che si sa. Questo è il punto più delicato di tutta la questione”.

Assodato, dunque, che la conoscenza è il presupposto fondamentale per la democrazia, qui tocchiamo un nodo che mi pare sia ancora tutto da sciogliere: la conoscenza è un presupposto anche dello Stato di Diritto; e tuttavia c’è anche un Diritto dello Stato: non tutto può essere conosciuto, quantomeno non tutto deve essere conosciuto immediatamente; c’è una sfera di azioni, di comportamenti che è bene che lo Stato non faccia conoscere subito. E qui il confine diventa labile: fin dove ci si può spingere in questo diritto alla conoscenza, come si fa a conciliare il diritto alla conoscenza con il diritto dello Stato alla riservatezza? Come si conciliano questi due diritti?

Aldo Masullo: “Questa è una questione molto dura: il limite fra ciò che si può conoscere e ciò che non si deve conoscere in una visione di Stato organizzato, è un discrimine che deve essere oggetto della coscienza popolare; cerco di spiegarmi: non è che lo Stato può dire: “Beh ci sono delle questioni riservate, voi non potete conoscerle, punto e basta”. Si deve anche formare una coscienza collettiva, una coscienza di massa, che proprio in nome della libertà collettiva accetta che ci possano essere sfere e ‘luoghi’ riservati, e che lo possano essere per un determinato tempo… Se c’è questa consapevolezza non sei tanto, o solo, tu Stato che mi impedisci di conoscere; piuttosto sono io, soggetto collettivo, che acquisto tanta coscienza del potere della collettività, che mi rendo anche conto che ci sono momenti e situazioni che non si possono immediatamente mettere alla vetrina, aperta agli sguardi di chiunque.

In fondo, anche qui è una delega che può essere data solo da chi conosce: non sei tu Stato che mi puoi bendare gli occhi, sono io collettività, io soggetto collettivo, proprio perché ho una conoscenza critica della realtà di cui faccio parte, mi rendo conto che c’è, nella funzionalità dello Stato, una zona che va tenuta riservata; una zona, un ‘luogo’ di cui si deve discutere dopo, e con calma; e che nell’immediato bisogna lasciar gestire da alcuni ai quali si dà fiducia. Ecco, la conoscenza non può essere limitata se non dalla conoscenza stessa.”

Qui c’è la questione, per andare sul concreto, del segreto di Stato. Ci possono essere senz’altro questioni che è bene che siano “celate” dal segreto di Stato, che viene revocato dopo un “X” di anni. Noi però viviamo, attualmente, una situazione dove non sappiamo neppure quanti sono i segreti di Stato. Quindi, sì il rapporto fiduciario, e questioni su cui è bene ci sia una riservatezza, un segreto, ma come impedire che il segreto sia posto anche in materie che non meritano di essere secretate e possono essere ‘semplicemente’ scomode per chi detiene il potere?”.

Aldo Masullo: “Certo… Ma, certamente, anche l’opposizione del segreto di Stato è un’opposizione che deve nascere da una consapevolezza critica e non da un atto di imperio dello Stato stesso. Io non so esattamente quali siamo le materie in cui lo Stato si riserva di mantenere il segreto. Chi lo dice? Chi le determina queste materie? Ecco, questo è un tema di discussione, un tema di dibattito democratico: la democrazia non deve negare la possibilità del segreto, ma deve, viceversa, dibattere, diventare consapevole di quali siano le condizioni per le quali uno Stato può invocare il segreto”.

Marco Pannella e i radicali, da tempo, lavorano perché il diritto umano alla conoscenza sia sancito anche nelle più alte sfere istituzionali come l’ONU, al pari del diritto alla vita del diritto alla libertà di opinione, di professare una religione e le libertà fondamentali. Lei è d’accordo che debba esserci questo diritto umano alla conoscenza, e se deve esserci, in che modo, poi dopo, immagina che debba essere regolamentato, governato?

Aldo Masullo: “Che sia necessario sancire un diritto umano alla conoscenza, credo sia un’esigenza fondamentale. La prima forma in cui si estrinseca la dignità umana è proprio la conoscenza. Come ci insegna Dante, “…Considerate la vostra semenza:/
fatti non foste a viver come bruti,/ ma per seguir virtute e canoscenza”…”. Dunque, l’essere umano è tale, cioè “essere umano”, in quanto conosce”.

Vecchia questione, quella conoscenza, si può anche finire male: nella Bibbia chi vuole conoscere viene si gioca il Paradiso...”

Aldo Masullo: “Però lì ci si riferiva alla conoscenza del divino…”.

Un segreto di Stato anche quello…”

Aldo Masullo: “E a noi quello deve interessare, non il divino; il segreto di Stato attiene all’umano. Dal Rinascimento in poi noi non contestiamo nulla di ciò che riguarda il divino, se la vedano coloro i quali si occupano di queste cose… Quello che noi contestiamo, noi uomini dell’età moderna, è la preclusione del conoscere che riguarda le cose umane, le cose che giorno per giorno dobbiamo gestire e realizzare, per essere noi stessi. La Bibbia, l’albero del bene del male, riguardano la conoscenza del divino. Siccome noi non siamo competenti in questa materia, non occupiamocene. Interessiamoci a come gestire l’umano, il ‘terreno’, le cose di questo mondo.”

“Per tornare alle cose di questo mondo, ovvio che non siano cose liquidabili in poche battute, questioni complesse…Lei, comunque da dove comincerebbe?

Aldo Masullo: “Comincerei dalle cose senza le quali l’uomo non si riconosce come uomo. L’uomo si riconosce come tale nel momento in cui si accorge che la sua stessa umanità, non dipende da lui come individuo naturalmente inteso. Quando si nasce, cosa siamo? Siamo individui di una specie di zoologia che noi chiamiamo “Homo Sapiens”, ma rimarrei puramente e semplicemente individui di una specie di zoologica, se non ci fosse qualcuno che mi accoglie nel mondo della cultura, cioè della società organizzata e capace di costruire regole secondo gesti che comunicano con i gesti degli altri. Se mia madre non mi avesse allevato, io non sarei entrato nella società umana, non sarei diventato parlante, non sarei diventato ragionante, quindi non sarei diventato uomo. Quindi il mio essere uomo non dipende né dalla natura fisica, né da una mia proprietà puramente individuale, ma dipende dal fatto che quando parlo, in me parlano tutti coloro che hanno avuto relazione con me e che mi hanno, quindi, in qualche modo modellato. Per cui io sono quello che sono, un soggetto capace di responsabilità-

Che significa “responsabilità”? Significa impegno a rispondere. Qui c’è un passo di San Paolo che potrei utilizzare, trasferendolo al nostro tema. Paolo nella lettera ai Romani dice che la fede è tale per coloro che hanno udito. Dunque, posso considerarmi “uomo”, prescindendo dall’aver udito la parola degli altri, e quindi prescindendo dal fatto che io sono coinvolto nel rispondere alla parola degli altri? È questa struttura plurale, propria dell’uomo diventato uomo, nel rapporto con gli altri, che sta alla base della cittadinanza. Essere cittadino non significa solo essere cittadino di uno Stato, “civis romanus sum”; significa essere membri di una comunità di persone che possono comunicare fra di loro, e questa comunità è illimitata: perché anche un cinese può comunicare con me, e io posso comunicare con lui, imparando ciascuno la lingua dell’altro, facendosi aiutare da un interprete, utilizzando una lingua che abbiamo in comune oltre quella nostra materna.

Quando un cinese mi dice (e io lo capisco):“Perché devo rispettare una regola del tuo Stato?”, io devo rispondere: “Devi rispettare una regola del mio stato se vieni nel territorio su cui questo Stato ha sovranità”.

“Questo io lo capisco”, mi dice il cinese – ma al di là dei confini del tuo Stato, come al di là dei confini del mio stato, ci sono regole che dobbiamo rispettare?”; e io dico: “Sì, ci sono regole che noi dobbiamo rispettare se vogliamo essere o vogliamo continuare a essere umani”. Essere umano significa essere membro di questa comunità che lo si riduce a quella di uno Stato. È una comunità universale, illimitata, che si può anche immaginare estendibile ad altri esseri ragionevoli che, eventualmente, si trovassero su un altro corpo celeste. Questo Giordano Bruno lo aveva ben intuito, quando parla di abitanti di “altri mondi”. I mondi sono infiniti. Chissà che tra questi mondi infiniti non ce ne siano alcuni abitati da individui con i quali noi riusciamo a stabilire una comunicazione. Quindi è la comunicazione che rende possibile la comunità.”

Torniamo un attimo alla questione del diritto umano, alla conoscenza. C’è un qualche modello, un qualche sistema da qualche parte che si avvicina a quello che lei si augura e prefigura?

Aldo Masullo: “Un modello è quello che non è già del tutto compiuto (perché poi i modelli compiuti sono modelli morti), ed è quello che è alla base originaria delle Nazioni Unite; non quello che sono, quello che si sognava potessero essere, con la dichiarazione dei Diritti Umani Universali. Quei diritti da chi sono stati proclamati? Certamente sono stati proclamati da una convenzione di Stati diversi, che convengono, si accordano nel riconoscere dei principi che devono valere in ciascuno degli Stati di loro che convengono, ma che vengono convenuti come diritti che potrebbero e dovrebbero essere riconosciuti via via che altri Stati entrino in questa concordia. Quindi sono diritti che si vanno riconoscendo… I diritti non sono mai riconosciuti una volta e per sempre, perché la storia umana è la storia forse del riconoscimento progressivo che l’uomo fa della sua umanità non limitata e quindi non riducibile a questo o a quel diritto, ma esposta a essere via via allargata, così come vengono allargati i riconoscimenti dei diritti.”

La sollecito su una questione che mi pare più che mai attuale, ed è quella della responsabilità dell’intellettuale, dell’uomo di cultura, lo scienziato, rispetto al potere.”

Aldo Masullo: “Qui arriviamo al punto cruciale di tutta la questione: sapere e potere. Certo più si sa più si può, ma il potere nel suo costituirsi come potere sociale, non deriva puramente e semplicemente dal sapere. Quindi ci troviamo di fronte ad uno scontro: la famosa Società per la Libertà della Cultura è una denuncia di questo scontro; la Società per la Libertà della Cultura è una raccolta di uomini tutti consapevoli che occorre la libertà e tutti consapevoli però che questa libertà è minacciata dalla presenza reale, di fatto, effettiva dello Stato. Quindi il problema del rapporto tra il reale idealmente concepito e il reale come effettività della società costituita. La società costituita è effetto, effettuale, c’è, ha un potere. Questo potere spesso si scontra con l’ideale della cultura come libertà del sapere ed è in questo gioco che forse sta l’aspetto più profondo della politica. L’aspetto più profondo della politica sta nell’affrontare, in nome della libertà (non di una libertà vaporosa, ma una libertà ben definita), un potere che esso stesso non è vaporoso, ma è tanto definito da essere in grado anche di soffocare la voce della cultura libera. Qui è la politica…”

Lei certamente ha letto “La scomparsa di Majorana” di Leonardo Sciascia. Ora qui interessa poco se Majorana si sia tolto la vita, se abbia deciso di scomparire nascondendosi in un convento, come sia scomparso. La questione centrale di quel libro posta da Sciascia è che Majorana forse aveva intuito, aveva previsto la scoperta dell’atomica; viveva sotto il fascismo con il nazismo imperante, temeva l’uso che queste dittature avrebbero potuto fare di questo terribile ordigno; e si è posto la questione della sua responsabilità rispetto al potere che dominava nei Paesi in cui lui viveva. Scrive Sciascia, a un certo punto della sua riflessione: “…chi, sia pure sommariamente, conosce la storia dell’atomica, è in grado di fare questa semplice e penosa constatazione: che si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà. Furono liberi coloro che non la fecero. Schiavi coloro che la fecero…”. Non fecero o fecero la bomba, s’intende. Ecco, qui, in quel libro si dice lo scienziato non può invocare una neutralità. Lo scienziato è responsabile, o addirittura complice, di quello che lui scopre, di quello che lui realizza; e ha una responsabilità ben precisa, deve farci i conti. Mi pare questa l’essenza di quel che intende dire Sciascia in quel libro…”.

Aldo Masullo: “Sì… Qui si affaccia un problema molto sottile : il problema del rapporto tra la libertà della scienza, come per l’artista tra la libertà dell’arte e la responsabilità politica. Io scrissi, nel 1964, un libricino intitolato “La storia e la morte”. L’ho scritto sotto l’emozione per la morte di una mia sorella, ma c’era sullo sfondo anche la mia emozione di cittadino, di fronte allo scontro tra Stati Uniti e Unione Sovietica, quando si stavano per collocare i missili a Cuba, e ci fu un momento in cui il mondo fu sull’orlo della tragedia nucleare. Quello scontro mi fece ricordare quello che sostiene Benedetto Croce (ecco il problema della Libertà della Cultura), quando dice: “la storia non può morire”; perché Croce non escludeva potesse esserci un cataclisma cosmico, lo scontro con un corpo celeste per cui finiamo tutti… ma in quel caso dice: “la morte viene dall’esterno”, la storia non c’entra, la storia finché c’è, c’è. Se però viene schiacciata l’umanità non è la morte della storia, è la morte dell’umanità. Io osservo che questa tesi tutto sommato ottimistica, liberale, viene smentita dalla scomparsa dalla bomba atomica. Perché in questo caso noi ci troviamo alla possibilità che la morte venga non dall’esterno della storia, ma dalla storia stessa: il gesto di un uomo che preme un bottone e distrugge l’umanità; e distrugge anche la storia, un gesto che avviene nella storia. Quindi è la storia che continua ad essere storia, ed è storia però che decide la soppressione dalla storia stessa. E’ una prospettiva nuova, catastrofica non solo nel senso materiale, ma anche in senso morale: è la decisione assunta da un uomo, da un gruppo di uomini, la follia o la decisione fredda, razionale, di un gruppo di uomini di sopprimere la storia; questo mette a nudo quello che lei diceva prima, cioè la responsabilità dello scienziato. Ancora una volta, la distinzione che giunge alla sua maturazione nell’ambito della cultura moderna più raffinata la cultura liberale, la cultura crociana, la “distinzione”… Nel momento in cui faccio arte, faccio qualche cosa che è responsabile solo verso se stessa, cioè devo fare arte buona, arte bella, non devo curarmi se quello che faccio è o no piacevole dal punto di vista morale. Ecco, questo crolla. Io come artista continuo a essere libero, ma libero non è l’artista… Bisogna fare questa distinzione. L’arte in se stessa non può obbedire che alla sua esigenza di produrre il bello. Ma chi lo produce, chi fa l’arte? Ancora un essere umano, perché tale è l’artista. Allora, distinguiamo tra arte e artista: l’arte non è il cittadino, quindi è libera nel senso più assoluto della parola; ma chi fa l’arte è un cittadino che deve rispondere ad altri cittadini di ciò che egli fa, e comporta, come attacco e difesa, alla libertà di ciascuno.”

Per venire ai giorni nostri, ha un suo fondamento, dire che da una parte la libertà della cultura, in senso più ampio del termine, è tremendamente minacciata; e al tempo stesso di dovrebbe essere in prima fila, ‘responsabile’, è invece deresponsabilizzato, e in qualche modo viene meno alla sua funzione?

Aldo Masullo: “Ecco, qui si fa tremendamente acuto il problema del rapporto tra il sapere critico e la potenza tecnologica: quello che costituisce la vera minaccia non è la tecnologia in quanto tale, ma il fatto che il potere che la tecnologia dà, diventa il potere sociale; mi spiego: la tecnologia non è solo un insieme di conoscenze, è un insieme di conoscenze capaci di produrre effetti di potere, che non vengono messi a disposizione di tutti, democraticamente, ma lo sono di quei centri di ricerca, e soprattutto di quei centri di potere finanziario, che finiscono con l’essere potere sociale. Questo è l’elemento che oggi pone il problema della libertà della cultura, in termini completamente diversi da come se lo ponevano i nostri amici del 1951.”

Senta, una riflessione legata alla stretta attualità; e mi riferisco alla vicenda del povero Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano lungamente sequestrato dai terroristi, e morto vittima di un drone americano perché non sapevano che si trovava in quello che credevano fosse un covo. Noi in Italia ce ne siamo “accorti”, perché il caso riguarda un italiano, ma esempi di quel tipo se ne possono fare a decine. Qualcuno per esempio ha calcolato che per ogni terrorista ucciso in quel modo, una trentina di persone innocenti vengono ammazzate in modo analogo, “errori”; e c’è chi dice: “È il prezzo che si paga per la guerra al terrorismo”…E’ un discorso molto duro da digerire, è una frase tremenda: “E’ il prezzo da pagare per la guerra al terrorismo”, non crede?”.

Aldo Masullo: “Elegantemente parlano di ‘effetto collaterale’…”

Diciamo pure effetto collaterale: formula burocratica e anche molto cinica, come espressione. Davvero ci si deve rassegnare a pagare questo prezzo?”.

Aldo Masullo: “E’ un prezzo che non dobbiamo pagare, che non dovremmo pagare, ma che pagheremo… Distinguiamo tra il dovere e il fare, il fatto. Pagheremo fin quando non riusciremo a risolvere il problema del rapporto tra il potere nella sua enfatizzazione tecnologica e la democrazia. In sostanza: chi controlla il potere tecnologico? Quali centri si costituiscono sulla base di un potere tecnologico che sfugge al controllo democratico? La questione stessa del terrorismo, è la questione di un potere che, magari, è anche un potere diciamo così, di rivendicazione di diritti e di libertà che noi occidentali abbiamo sistematicamente conculcate, ma che adesso dispone di un potere tecnologico che costituisce un pericolo. Allora noi abbiamo un potere tecnologico dell’Occidente, un poterete cnologico di altri gli altri popoli, di altre culture, di altri soggetti che si scontrano. Tutto ciò non è facilmente risolvibile. Significa che noi tutti dobbiamo intraprendere un cammino che finora non abbiamo voluto iniziare: il cammino di una progressiva conquista razionale e critica. È un potere, tanto per intenderci, che potremmo chiamare illuministico, e però che deve diventare non più solo di pochi, ma di molti, tendenzialmente di tutti. Il problema quindi diventa quello di una pedagogia illuministica universale, che ognuno di noi, ogni gruppo, ogni persona, nel suo ambito, deve cominciare a professare, a esercitare, altrimenti non se ne esce… Per tornare alla Bibbia, in sostanza dice: “A tutti voi… il Sapere lo dò io e solo io, Dio”… noi però non abbiamo un Dio a cui rivolgerci. Il Sapere ce lo dobbiamo costruire noi, pezzo per pezzo, con grande pazienza. E per quel che riguarda il terrorismo: non è che possiamo ignorare che c’è, e dire: “No, non esiste…”. C’è, eccome; e possiamo pensare di eliminarlo con i droni… con i droni possiamo difenderci o qualcuno si può difendere. Il problema però è cominciare la costruzione di una nuova visione democratica della realtà.”

Per restare in tema di terrorismo: il ragionamento, l’obiezione che si fa è più o meno questa: volete viaggiare tranquilli in aereo, senza correre il rischio di un ordigno che lo fa esplodere? Volete stare in un palazzo senza il rischio che ci sia qualcuno che lo fa saltare per aria? Non volete essere vittime di attentati?… Certe persone, in qualche modo, vanno neutralizzate, eliminate. Noi lo facciamo, abbiamo individuato una lista di personaggi da abbattere, con operazioni ‘coperte’, droni, e quant’altro. Da eliminare punto e basta, siamo giudici che emettono sentenza e la applicano, senza processo e possibilità di difesa. Un arbitrio, sia pure a fin di bene, il fine giustifica il mezzo, per far ricorso a un machiavellismo d’accatto. Non è una strada pericolosa, che rischia di produrre effetti incontrollabili e forse a volte peggiori del male che vuole curare?”.

Aldo Masullo: “Guardi, il problema è se noi ci decidiamo a riconoscere o no ad essere in stato di guerra…”

“La guerra la dichiara uno o più Stati a uno o più Stati…”.

Aldo Masullo: “Diciamo allora che il punto è questo: la guerra, da Grozio in poi, ha delle regole…e da questo punto di vista, certo, si può obiettare che non si tratta di guerra. Come la vogliamo chiamare? Ci sono dei terroristi che uccidono e delle forze di uno o più Stati che per difendersi, reagiscono facendo uso e ricorso alla violenza. Per convenzione tra noi e per capirci, chiamiamola guerra; che sulla base della nostra cultura, ha (o dovrebbe avere) delle regole. Solo che le regole, per essere tali devono essere riconosciute da tutte e due le parti in causa. Ma questa è una guerra che non ha un punto di partenza, è molto magmatica. Di fatto la guerra c’è, ci è caduta addosso. Stiamo anche combattendo, ne paghiamo dei prezzi dolorosi. Cosa possiamo fare? Possiamo dire: “Noi, in base alla coerenza con la nostra cultura, assumiamo delle regole. Se voi non le rispettate dimostrate di essere quello che siete. Ma noi dobbiamo fare delle regole…”. Quindi credo che la linea di condotta sia quella di rifiutare la cosiddetta ‘operazione di pulizia’. Dobbiamo riconoscere che siamo in guerra. Ma, in base alla nostra cultura, dobbiamo anche dire: “Noi facciamo la guerra rispettando determinate regole.”

Lo stiamo facendo?

 Aldo Masullo: “No, direi proprio di no”.

Senta, questioni più ‘domestiche’: le riforme che sta varando il governo Renzi, soprattutto quella elettorale e quella costituzionale; che giudizio ne dà?

Aldo Masullo: “Il giudizio non può essere facile, immediato: “Mi pongo pro o contro?”. Altrimenti non sarebbe un giudizio, ma una presa di posizione; e purtroppo nella nostra vita politica sono più le prese di posizione che i giudizi. Allora, cominciamo con il non utilizzare il linguaggio come ci fa comodo. Se assumiamo un ‘codice’, dobbiamo rispettarlo. Allora qual è il linguaggio che la politica democratica assume? E’ che bisogna decidere a maggioranza; formata la maggioranza, la minoranza deve seguire quello che si è deciso concordemente. Mi spiego: se dopo il dibattito, il confronto, la discussione, si decide di fare qualcosa, non è poi che ci si può lamentare se quel qualcosa lo si mette in atto…”.

Stiamo parlando della minoranza del Partito Democratico…”

 Aldo Masullo: “Per ora in generale…”

La maggioranza, sempre in generale, non può però schiacciare e prevaricare i diritti delle minoranze…”.

Aldo Masullo: “Certo che no, anche se poi all’interno dei partiti ognuno applica le regole che crede. Non è obbligatorio stare dentro il partito X o il partito Y… Ad ogni modo, il punto di partenza è la forma, la “forma” democratica… La procedura? La procedura democratica per eccellenza, anche dove non c’è democrazia, quando si deve decidere si deve fare a maggioranza e a minoranza. Quindi, se in un partito si è formata una maggioranza democraticamente, la minoranza, secondo me, si deve adattare. Punto secondo: se si deve realizzare qualche cosa in base a una decisione della maggioranza è ovvio che ci deve essere uno che dirige la esecuzione. Allora è inutile dire: “Noi siamo contro l’uno solo al potere!”. No, se il potere è democratico anche se è uno solo, quello deve realizzarlo. Lei affiderebbe l’automobile in cui viene trasportato a tre persone che guidano con tre volanti diversi e con tre sterzi diversi? Immagino di no. Con questo che cosa voglio dire?

Che dobbiamo essere coerenti nell’uso del linguaggio, perché solo se siamo coerenti nell’uso del linguaggio, cominciamo a intenderci anche sul piano politico. Per ora sto solo facendo un discorso di procedura: se si decide a maggioranza, la minoranza che ha giocato la sua partita e pur potendolo diventare, non è riuscita a essere maggioranza, allora deve starci e far buon viso a cattivo gioco…”.

Questo è chiaro…ma per entrare nel merito delle questioni? Se le riforme vanno in porto ci troveremo con un Senato svuotato espressione di Regioni che sono quello che sono e a molti fanno dire: “Meglio abolirle”; una Camera che sarà ancora, probabilmente, composta da ‘nominati’; strumenti di democrazia come il referendum e i progetti di legge di iniziativa popolare sempre meno accessibili perché viene alzato il numero delle firme, ma nel contempo non viene abolito il quorum. Come si fa a dare torto a chi deluso, amareggiato, reagisce dicendo: ‘Vedetevela voi, non vado più a votare a questo punto…’?”.

Aldo Masullo: “Certo… Bisognerebbe fare il partito del “voto bianco”, per dare un senso politico, perché è stupido non andare a votare… Io andrò a votare. Magari a volte penso di mettere nell’urna la scheda bianca, anche se mi rendo conto dell’inutilità del gesto. Sarebbe forse utile se si formasse un movimento di “voto bianco”. Il voto a scheda bianca (non l’astensione, dico di andare al seggio e lasciare la scheda ‘intonsa’) avrebbe un significato politico: sarebbe un giudizio di condanna nei riguardi di tutti coloro che chiamano al voto senza aver prodotto nulla che garantisca che quello che faranno, sarà coerente con i principi democratici astrattamente proclamati… Ecco questo è uno stare sui coltelli… Mi rendo conto della perplessità che può suscitare tale posizione… Però forse potrebbe essere una carta da giocare…Per esempio, il caso del Senato è un caso, secondo me, veramente clamoroso, perché o il Senato lo si abolisce, facciamo un’unica camera punto e basta; o fare, come avrebbe detto Croce, un ircocervo o anche peggio…è un qualcosa privo di coerenza…Non dico altro…”.

Napoli 4 maggio 2015

(trascrizione, non rivista dall’autore, di una intervista curata da Valter Vecellio e trasmessa da “Radio Radicale”)

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