In Conversando con

Conversando con Furio Colombo

Intervista di Valter Vecellio
Roma, 16 maggio 2015

Valter Vecellio intervista Furio Colombo, giornalista, scrittore, ex parlamentare ed editorialista de “Il Fatto Quotidiano”.

L’intervista è stata registrata giovedì 17 maggio 2015 alle ore 11:00.

Nel corso dell’intervista sono stati discussi i seguenti temi: Arabi, Blair, Bruxelles, Bush, Cinema, Comunicazione, Cultura, Democrazia, Diritti Civili, Diritti Umani, Diritto, Energia, Esteri, Gran Bretagna, Guerra, Informazione, Iran, Iraq, Iscrizioni, Israele, Mattei, Medio Oriente, Obama, Palestina, Pannella, Partito Radicale Nonviolento, Partitocrazia, Pasolini, Petrolio, Politica, Radicali Italiani, Saddam Hussein, Stato, Storia, Turchia, Usa.

Fonte: Radio Radicale

Furio Colombo è stato, continua a essere tante cose: giornalista, commentatore, scrittore, autore di documentari per la televisione; e ancora: docente universitario, al glorioso Dams di Bologna, alla Columbia University; una lunga esperienza negli Stati Uniti: corrispondente de “La Stampa”, di “Repubblica”; collaboratore di “l’Espresso”, “Panorama”, “L’Europeo”; ma anche presidente di FIAT America; senatore e deputato per il PDS, e le successive trasformazioni: DS, PD… ha diretto “l’Unità”; ma anche la rivista “L’architettura: cronache e storia”, con un nostro grande amico, Aldo Loris Rossi; e ora editorialista de “Il Fatto Quotidiano”. Per quel che riguarda i libri, ho fatto un veloce censimento, sono arrivato a sessanta, poi mi sono fermato, ma la lista continuava…Aggiungo che Colombo è sempre stato molto amico di Marco Pannella e dei radicali; da parlamentare è stato sempre a fianco delle iniziative animate dai radicali…Fino alla decisione di regalare a Pannella, per il suo compleanno, la sua iscrizione al partito.

Domanda: Vorrei partire da qui: perché questa decisione? E perché ora e non prima?.

Colombo: “Per almeno due ragioni: la prima bisognava trovare un regalo per Marco in occasione dell’ottantacinquesimo compleanno, e dal momento che siamo quasi coetanei, mi sembrava ragionevole fare qualcosa che a lui fosse particolarmente gradito. So che gli faceva piacere, perché ne avevamo parlato spesso, e gli ho sempre detto: ‘Ma non ho nessuna tessera, non le ho mai prese…sono vicino al Partito Radicale, ma preferirei non avere tessere…’. In questo caso, mi è sembrato il regalo utile da fare, e l’ho fatto molto volentieri: il Partito Radicale è rimasto l’unico, in un panorama in cui si poteva sempre pensare che sarebbe arrivato qualcun altro ad affiancarsi a certe lotte e a certi impegni del Partito Radicale. Sono passati i decenni, e abbiamo dovuto constatare che per quel che riguarda certi fatti, certi argomenti e certi valori, il Partito Radicale ha cominciato “unico”, ha continuato “unico”, è rimasto “unico”. Unico per tutto quel che ha a che fare con i diritti umani, con i diritti civili, con il rispetto della persona, con il rispetto della Costituzione in senso vero e non retorico, con il seguire il paesaggio politico dal punto di vista delle persone, degli individui, non delle masse. In questo senso, mi sembra degno di attenzione e di sostegno; dunque due ragioni: il regalo, che però si potrebbe dire la più fatua; la più seria è l’aver constatato, dopo tanto tempo e dopo tante esperienze, che i radicali sono rimasti i soli a testimoniare alcune cose che, altrimenti in Italia, sarebbero zona brada, totalmente sguarnita”.

D.: Non per contraddire, ma perché fatua? Ad ogni modo sono certo che Pannella sia stato molto contento di apprendere di questa iscrizione, un dono che credo abbia gradito moltissimo. Ma una curiosità: quasi coetanei, quand’è stata la prima volta che ti sei imbattuto in Pannella e nei radicali?

Colombo: “Parliamo di vera e propria preistoria: è stato durante il mio primo periodo all’Olivetti…prima del periodo negli Stati Uniti, quando lavoravo un po’ a Ivrea, un pò a Milano: avevo due uffici, perché avevo due diverse funzioni. E’ stata una bellissima esperienza quella con Adriano Olivetti, che come missione si era posto l’obiettivo di “assumere”. Ora va di moda licenziare. Con Adriano no, ci si ingegnava a procurare lavoro. Io lavoravo negli uffici che selezionavano le persone da assumere. Ogni tanto ci penso, con orgoglio: non sono mai stato costretto a mandar via nessuno. Erano tempi molto diversi, come si vede. Ora licenziare viene sbandierato come un risultato; i più eleganti parlano di ‘snellimento’…”.

D.: Sugli snellimenti si costruiscono carriere… 

Colombo: “Capita infatti che l’Amministratore Delegato sia promosso in quanto ha licenziato di più…Per tornare all’incontro con Pannella e i radicali: credo sia avvenuto a Milano, si stava spezzando il rapporto fra i liberali tradizionali e quello che allora venivano chiamati ‘liberali di sinistra’. C’era questo movimento, questa formazione nuova, che mi incuriosiva… Pannella l’ho incontrato in quel periodo: cominciavo già ad andare su è giù dagli Stati Uniti e ricordo una volta a Venezia, cominciavo a occuparmi di palazzo Grassi, e ci siamo parlati. Mi incuriosiva la sua non italianità, il suo modo non convenzionale di fare politica: brutale, sincero, ingenuo, onesto, testone, costante, irriverente, ‘pericoloso’ e con quella vena di dolcezza che era assolutamente estranea alla vita politica anche quando era parecchio più dignitosa di quanto lo sia adesso. Da lì, da quell’incontro nasce l’interesse, e la reciproca attenzione. Poi le occasioni si sono moltiplicate. Ed è cominciato anche il mio stare a fianco di un gruppo, non dentro, ma di lato; e abbastanza presto ho scoperto che sempre più spesso mi chiedevo: ‘Ma su questa cosa pensa Pannella? Su quest’episodio, cosa direbbe?’. Naturalmente non sarei sincero se dicessi che sono sempre stato d’accordo con lui. Ma ho sempre trovato ammirevole questa sua temeraria capacità di non mollare mai, di seguire certi fili e di ripetere, ritornare, farsi mal volere, se necessario, pur di non rinunciare agli impegni che aveva assunto. Su questo l’ammirazione non è mai venuta meno. Potevo condividere o meno il singolo tema, ma la determinazione e la schiettezza del suo porsi di fronte alle cose l’ho condivisa da sempre”.

D.: Esiste un epistolario Colombo-Pannella?

Colombo: “Un epistolario vero e proprio, no. Ci si scambiava informazioni, ci si faceva confidenze, qualche lettera o biglietto…Capitava che gli facevo notare cose che poi scoprivo aveva notato e scoperto prima di me…”.

D.: Pannella e i radicali, da qualche anno, sono impegnati in una iniziativa che in modo pedestre riassumo in ‘Diritto Umano alla Conoscenza per lo Stato di diritto contro le ragioni di Stato’. Vorrei sollecitare una tua riflessione su questo.

Colombo: “Chi ha vissuto in questo frammento di secolo e in una buona parte del secolo precedente, non può non aver riflettuto sullo Stato di diritto e sulla protervia con cui lo Stato di diritto ha deciso vite, destini, percorsi, riservandosi il segreto delle ragioni per le quali tutto ciò era avvenuto. Impossibile non essere colpiti dal fatto che appare teoricamente semplice: se lo si chiede a uno storico o a un filosofo, ti rispondono: ‘Ma sì, ma certo! Ma che ragioni… Siamo dentro una sorta di gabbia, nella quale vengono definite le nostre vite prima ancora che noi si inizia a disputare con il nostro stesso destino e, per giunta, vengono definite senza darci le ragioni né ora né mai’. Apparentemente, se si pensa ai testi che hanno trattato questo problema, alle obiezioni anche rigorose e anche severe, che sono state mosse nello scrivere storico, nello scrivere filosofico, questa pretesa dello Stato di diritto di dominare le vite, si potrebbe anche sostenere che Pannella arrivi in ritardo…Ma in politica è assolutamente il primo. In politica sono ‘la’ persona e ‘il’ partito che hanno occupato questo spazio e che non si sono fermati di fronte a ragioni che immediatamente diventano un sussurro quando ti vorrebbero convincere che è per il bene del Paese, delle persone, del futuro, per la garanzia della nostra sicurezza…Ragioni che vengono continuamente tenute, pronte, per spiegare che è sbagliato occupare questo spazio. A me questa questione è apparsa immediatamente interessante, importante, utile, doverosa; e, quindi, è più che mai cosa che mi appartiene.”

D.: Ci dovrebbe essere un diritto di tutti noi di conoscere per poter controllare e dare fiducia o revocarla a chi abbiamo scelto come nostri governanti; un diritto che viene troppe volte calpestato in Italia e non solo in Italia; al tempo stesso, però, è anche ragionevole sostenere che esistono delle sfere, delle zone, che non devono essere conosciute o, quanto meno, conosciute subito…
E come si fa a far quadrare questo cerchio? E, dagli Stati Uniti possono venire esempi utili anche per noi?

Colombo: “Certamente abbiamo degli esempi. Il primo che mi viene in mente è quello di Daniel Ellsberg, l’impiegato del Pentagono che si trova in mano, improvvisamente, le carte dell’invasione della Cambogia…”.

D.: Stiamo parlando della guerra del Vietnam…

Colombo: “Esattamente: la guerra del Vietnam e gli anni Settanta…Ellsberg, funzionario di livello medio, accede alla documentazione segreta del Pentagono, i famosi “Pentagon Papers”, e decide di renderli pubblici: si accorge che si sta consumando uno stravolgimento delle regole, una clamorosa violazione delle leggi per quel che riguarda la guerra in Vietnam, e c’è tutta una parte ‘oscura’, nascosta; e si fa carico della responsabilità di renderli pubblici; e trova giornali disposti a pubblicare quella straordinaria documentazione. Ecco, apro un inciso: bisogna ricordare una cosa importante. Gli Stati Uniti come sistema, possono avere mille difetti, mille limiti; ma trovano sempre, al loro interno, gli anticorpi necessari; i ‘loro’ scandali vengono svelati e denunciati dai ‘loro’ giornali, dalle ‘loro’ televisioni. E’ importante: tutto quello che sappiamo degli Stati Uniti, e tutto quello che i nemici degli Stati Uniti usano contro gli Stati Uniti, viene dagli Stessi Stati Uniti; è l’opinione pubblica americana che reagisce, è il giornalismo americano che denunciano. Sono gli uomini politici e i funzionari americani, che a un certo punto dicono ‘basta’”. Ho citato il caso di Ellsberg; ma più vicino ai giorni nostri, la violazione dei diritti umani nel carcere iracheno di Abu Ghraib sono stati i media americani a denunciarla…E’ questo che deve farci ben sperare”.

D.: Se è per questo, si apprende ora che la stessa operazione per eliminare Osama bin Laden non è stata esattamente quella che ci hanno raccontato…

Colombo: “E’ appunto quello che sostengo. I nodi alla fine vengono al pettine. Ma quando si tratta degli Stati Uniti, il pettine è sempre americano”.

D.: Qual è il succo da ricavarne, che come gli americani anche noi dobbiamo imparare a vigilare, a vagliare criticamente le cose, a non tollerare, da parte di chi ci governa, la menzogna? 

Colombo: “Non solo: non dobbiamo tollerare da parte di chi ci governa che ci dica: ‘Zitto tu, lasciami lavorare’…Non si deve tollerare che i cittadini siano trattati come dei “disturbatori” quando muovono obiezioni su decisioni o eventi che non si vogliono chiarire o spiegare. Una delle cose che mi affascina in Pannella è che costantemente ‘disturba’ la vita istituzionale del Paese, costantemente respinge l’accettazione automatica: ‘Ecco abbiamo fatto così, dunque vuol dire che va bene… poi dopo vedremo, chiariremo, eccetera, ma se lo abbiamo fatto vuol dire che va bene…’. Il rifiuto di questo falso sillogismo è un merito che va riconosciuto a Pannella; lo stesso merito non può essere invece riconosciuto agli altri partiti e movimenti politici, che troppe volte hanno accettato una malintesa ragione di stato”.

D.: Come Pannella e i radicali sei sempre stato molto amico e solidale con Israele, anche, quando era molto difficile esserlo; la premessa mi serve per chiederti: sei favorevole, saresti favorevole all’ingresso di Israele nell’Unione Europea, in parallelo anche di Paesi come, per esempio, la Turchia, la Giordania, il Marocco o la Tunisia? 

Colombo: “Con amici radicali e amici di Israele, e israeliani, ne abbiamo parlato spesso. La domanda negli ultimi tempi si è trasformata, è diventata un po’ diversa: perché le novità più drammatiche sono il venire avanti di varie e diverse forme di islamismo politico; per esempio, nominare la Turchia adesso non è nominare la Turchia di dieci, quindici anni fa…”.

D.: La Turchia di adesso, se è quella che è, non è anche per nostra responsabilità?

Colombo: “Certo che lo è. È frutto di un errore gravissimo fatto dall’Unione Europea e dai paesi più importanti dell’Unione Europea, prima di tutto la Francia, che hanno detto No alla Turchia quando era al suo zenit di culture occidentali, di cultura europea; nel suo punto più alto di laicizzazione. Un rifiuto clamorosamente miope, sbagliato, nel momento più sbagliato. Ho sempre pensato a Israele come a una presenza democratico-occidentale in mezzo a un mondo che non è democratico; questa distonia grave crea dei problemi in più per Israele, e crea difficoltà in più per i popoli, non per i Governi…Da sempre pensato che i palestinesi siano stati immolati dagli arabi antisemiti, dagli arabi antiebrei, dagli arabi nemici degli ebrei, dai discendenti di quegli arabi che sedevano con Hitler a Berlino…”.

D.: Il Gran Mufti di Gerusalemme…

Colombo: “Il Gran Mufti di Gerusalemme… Da bambino ricordo benissimo quanto detestavo il Gran Mufti di Gerusalemme, lo sentivo alla radio fascista e capivo che si trattava di una persona altamente pericolosa, uno che a Berlino rendeva onore a Hitler…”

D.: Hanno poi reso il favore, perché molti nazisti in fuga dalla Germania, oltre che in Sud America, hanno trovato protezione in Siria, in altri Paesi arabi…

Colombo: “Hanno trovato protezione, coperture, certamente. Però non c’è dubbio che al momento in cui le Nazioni Unite hanno deciso la distribuzione dei due piccoli, petrosi territori, uno vicino all’altro gruppo, gli ebrei che già erano sul posto e a quelli che sarebbero poi venuti da una parte; e i palestinesi dall’altra, non c’è stata per questi ultimi alcuna opzione: sono stati ‘sacrificati’ dagli arabi, che non volevano la nascita di uno Stato ebreo nell’area; se i palestinesi avessero avuto un loro Stato, da quel momento avrebbero avuto il diritto di interloquire sulla scena internazionale per quelli che ritenevano fossero i loro problemi; e per difendere i loro interessi no avrebbero avuto alcun interesse a ricorrere a guerre. Non per caso tutte le guerre più tremende che ci sono state in quell’area sono frequentemente guerre fra paesi arabi.
Voglio dire: la ferita con Israele è sempre stata una ferita artificiale, tenuta viva dal potere arabo che nel frattempo era petrolifero, ma anche filo-americano, legato al grande capitalismo, diventava ricchissimo fingendo di non esserlo, per poter lasciar morire di fame e disperazione i palestinesi; il destino dei palestinesi poteva essere cambiato in poche settimane dall’intervento dei paesi arabi, se non fosse stato un intervento regolarmente di guerra, nei quali i palestinesi venivano mandati avanti come prime vittime ed usati. I paesi arabi che circondano Israele hanno usato la Palestina come scudo umano per fare guerra agli ebrei. Questa è la ragione per la quale mi sono sempre sentito vicino a Israele; ero in Israele, quando è scoppiata la ‘Guerra dei Sei giorni’. Israele è molto piccola, territorialmente, e ho avuto modo di constatare come fosse di un attacco organizzato e concentrato da parte del Libano, Giordania, Siria ed Egitto, ciascuno con eserciti che muovevano e la cui finalità senza dubbio era lo sterminio e la distruzione totale…Non avevano messo i conto che Israele si era preparata e sapeva come difendersi…”.

D.: Sì, Israele è molto piccola, territorialmente. C’è il famoso detto: ‘Accendi una sigaretta a Gerusalemme, finisci di fumarla a Tel Aviv’…”. Da tempo Pannella e i radicali sono impegnati in una iniziativa di respiro direi mondiale, la conquista del diritto umano alla conoscenza, ma anche la fuoriuscita dall’attuale regime di ‘democrazia reale’ che è un po’ la cifra dell’Occidente per la conquista di un’autentica democrazia. Un processo che registra una novità: l’adesione di autorevoli esponenti del mondo arabo che si dicono disposti a lavorare a una transizione che riguardi anche i loro paesi, un processo che necessariamente sarà lungo, che non sarà facile, ma è comunque un punto di inizio…È un qualcosa che dovrebbe essere aiutato, nutrito, non foss’altro per ragioni egoistiche: più democrazia c’è nel mondo, meglio stiamo tutti… E per falciare l’erba sotto i piedi dei terroristi e dei fondamentalisti…Tuttavia sembra che questo progetto, questo embrione di iniziativa politica, non interessi nessuno. Come si spiega?

Colombo: “Sono veramente molti anni che mi interrogo su questo mistero: l’isolamento deliberato, costante, ostinato, molto coerente (raramente ci sono altri impegni così coerenti), che si pratica nei confronti del Partito Radicale, non importa quale governo sia in carica, di destra, sinistra, centro…A volte mi domando se no ci sia una straordinaria sopravvalutazione del Partito Radicale di Pannella, per isolarlo con tanta tenacia, con tanto impegno. Poi, pensandoci meglio mi dico che molte volte la storia italiana dimostra che il potere – quale esso sia – ha un grande istinto nel difendersi da ciò che lo minaccia; quando parlo di potere non mi riferisco necessariamente a un qualcosa basato sulle armi, la forza fisica, ma a entità che si autodefiniscono come una sorta di fonte e origine delle proprie ragioni e, di conseguenza, non sono interessate a intrattenere discorsi o discussioni con qualcuno che metta in dubbio quelle sue ragioni. Ed è il motivo per cui all’interno del contenitore che noi chiamiamo “democrazia”, in realtà, i confini sono più ristretti di quelli che dovrebbero essere. È come se ci fosse stata una compressione della capsula democratica. Per tornare a Pannella e ai radicali: si tratta di una sorta di mistero; è come se qualcuno venisse a dirci: quello sì, quell’altro pure; quelli là, no. Perché no? Perché no. Punto. Così Pannella non va mai a un dibattito televisivo, non lo invitano mai…”.

D.: Sentire Pannella o altri radicali, con una certa frequenza e con la possibilità di comprendere le loro proposte, forse ci si renderebbe conto della portata “rivoluzionante”, eversiva nel senso letterale, del loro dire e cercare di fare. Diciamo che dal punto di vista del regime è comprensibile questo ostracismo…

Colombo: “E magari si prenderebbe atto che Pannella è molto meno isolato di quanto può a prima vista sembrare…”.

D.: Torniamo un attimo negli Stati Uniti. Credo di non sbagliare se dico che hai una pessima opinione di George Bush figlio, mentre hai una buona opinione di altri presidenti: Bill Clinton per esempio; credo che tu sia stato amico dei Kennedy e anche di Jimmy Carter, sul cui conto i giudizi negativi invece si sprecano. Cominciamo da Bush: perché dici che è stato un cattivo presidente?

Colombo: “Perché, per esempio, non ha avuto il coraggio di imitare il padre, Bush senior. Nel 1991 l’Irak invade il Kuwait, e si rende necessario un intervento militare sotto l’egida delle Nazioni Unite. Bush padre convoca il Senato americano e chiede a ciascun senatore, cento su cento, di dire se si doveva fare o non fare la guerra; cioè di motivare e votare il Sì o il No. E’ stata una grande prova di democrazia. Bush figlio non ha avuto questo coraggio”.

D.: Non ha saputo essere saggio come il padre?

Colombo: “Quello che ha fatto Bush figlio è ben più grave…Ha fatto trovare dei documenti falsi, con la collaborazione e con la complicità di Tony Blair…”.

D.: Il giudizio negativo si estende dunque anche a Blair…

Colombo: “Certamente. Gli aspetti orribili della seconda guerra in Irak, che poteva essere evitata, si estendono al fatto che Blair ha reso tutto più grave: ha garantito qualcosa che non era mai accaduto…La famosa frase ‘ci possono distruggere in 45 minuti’ è priva di fondamento; è una frase che George W. Bush non aveva mai pronunciato fino a quel momento e che ha portato, tra l’altro, a un sovvertimento interno, poco notato da lontano, ma molto forte, sia negli Stati Uniti che in Inghilterra: con cambiamenti, per esempio, dentro la “BBC”; e con la grave vicenda dell’ambasciatore Wilson in America, quando il vicepresidente Cheney rivela che la moglie dell’ambasciatore Wilson è una “cover spy” della CIA, mettendola quindi fisicamente in pericolo; e lo fa per vendicarsi del fatto che l’ambasciatore Wilson, inviato in Niger per accertare gli acquisti di materiale per armi di distruzione di massa da parte dell’Irak, torna e dice che di quella roba non c’è traccia; e commette l’errore di dichiararlo al ‘New York Times’. In più Blair uccide il progetto che stava componendosi in Europa (e noi sappiamo quanto Pannella ne è stato parte), per poter diplomaticamente organizzare un sostegno arabo che avrebbe consentito la rimozione di Saddam”.

D.: La famosa iniziativa politica “Esilio per Saddam…transizione democratica dell’Irak sotto l’egida dell’ONU…

Colombo: “Causa che ho sostenuto appassionatamente: invece di un pacifismo astratto, era un’azione concreta, sulla base di una specifica e ben organizzata concatenazione di azioni organizzative e diplomatiche.”

D.: Quando si scriverà la storia di quegli anni, di quello specifico periodo, si vedrà che una parte rilevante di responsabilità ricade sia sull’allora dittatore libico Gheddafi, sia su Silvio Berlusconi. Ma perché Bush ha voluto così spasmodicamente la guerra, per il petrolio o per il complesso militare industriale?

Colombo: “Non credo che il petrolio sia il fattore principale di queste guerre. Il petrolio non lo è sempre. La ragione di quella guerra non è stata ancora veramente valutata e calcolata da una visione fredda, razionale e indipendente. Per esempio, l’abbattimento di Saddam corrisponde al lancio del pericolo Iran. Da quel momento Israele comincia a temere l’Iran, l’Iran ha le mani libere, e proprio quando mostra il suo volto peggiore, il più aggressivo e violento, con un presidente che invoca la sparizione dello Stato di Israele…”.

D.: Stiamo parlando di Ahmadinejad…

Colombo: “Ahmadinejad e l’Iran si sono trovati privi del loro tradizionale nemico, non erano più frenati alle frontiere dalla presenza dell’Irak. Per l’Iran la distruzione dell’Irak è stata una boccata d’ossigeno, proprio nel momento in cui appariva particolarmente pericoloso. Israele lo pensa ancora. Gli Stati Uniti di Obama pensano che l’Iran lo si possa agganciare e tenere a freno attraverso i rapporti diplomatici diversi e più stretti. Non si può negare una visione a Obama in questo senso, perché il pericolo sembra diminuito e non aumentato. Ho detto sembra…”.

D.: Avremo modo di riparlarne…Ora scivolo su un tuo dato personale, diciamo biografico. Tra le tante cose che hai fatto, ce n’è una curiosa, ed è relativa a un film: ‘Il caso Mattei’; anche lì si parla di petrolio…In quel film interpreti il ruolo dell’assistente-traduttore di Enrico Mattei che si trova davanti un arcigno rappresentante delle compagnie petrolifere anglo-americane, che non ne vogliono proprio sapere di lasciar fare a Mattei quello che cercava di fare. Come nasce quell’episodio e quell’interpretazione di attore? L’unica, credo…

Colombo: “Sì, l’unica. Nasce dall’amicizia e dal rapporto quotidiano con Francesco Rosi; abitavamo nella stessa casa, le nostre figlie avevano la stessa età, ci sentivamo continuamente; non partecipavo materialmente alla stesura dei suoi film, però ne parlavamo spesso, praticamente di tutte le sere o di molti fine settimana. E mi chiedeva aspetti e particolari della mia attività professionale negli Stati Uniti per la Olivetti o per e la FIAT…Capitava così che leggendo il copione gli facevo notare: ‘guarda che la persona non direbbe mai questa cosa’; oppure: ‘E’ improbabile che intervenga di sua iniziativa…’. E un giorno Rosi mi dice: ‘Ma perché questa parte non la fai tu?’. Ne parliamo un po’, mi dice: ‘Allora tu fai questo, dici questo, la battuta di Volonté sarà questa… e tu devi rispondere… e poi devi rispondere al petroliere, e così via’…E’ andata così”.

D.: Avete improvvisato?

Colombo: “…Un po’ sì. Abbiamo girato all’hotel de Paris di Montecarlo, che è il luogo vero in cui Mattei incontrò uno degli esponenti delle ‘Sette Sorelle’ petrolifere, per vedere se si poteva trovare un accordo. Ho interpretato liberamente le battute che avrebbe detto il suo assistente, e poi le ho ripetute in inglese per la versione in cui andavano dette in inglese. L’esperienza che avevo maturato, in quello specifico aspetto ha aiutato Rosi, perché lo sceneggiatore era di grandissimo livello…”.

D.: Chi era?

Colombo: “Tonino Guerra. Grande sceneggiatore, non solo poeta. Ma sia lui che Rosi certi aspetti, come quelli dell’intermediario, dell’interprete, dell’assistente del presidente, li conoscevano meno…il gioco per esempio delle traduzioni dall’inglese all’italiano e vice-versa, al punto che ho inventato un’alterazione della battuta di Volonté nel corso della traduzione, perché ho immaginato che un buon interprete, con responsabilità di assistenza e di mediazione, avrebbe alterato la battuta per renderla più accettabile alla controparte…Il rapporto con Rosi era cementato non solo dalla grande amicizia e dell’intensa frequentazione, ma anche dal particolare momento che vivevo: avevo messo su famiglia, mia moglie Alice Oxman era appena arrivata dagli Stati Uniti, mia figlia era appena nata; e questo stare insieme era reso ancora più intensa la nostra amicizia. E anche Rosi era incuriosito dalle mie esperienze…”.

D.: Ha conosciuto Enrico Mattei?

Colombo: “No, non l’ho mai conosciuto”.

D.: Stiamo parlando di un personaggio che indubbiamente ha fatto molto per questo paese. Però c’è quella battuta, nel film, molto suggestiva: ‘Per me i partiti sono come un taxi: salgo, pago, scendo e arrivederci!’. Non è una concezione esattamente in linea con la democrazia…”.

Colombo: “Questa battuta ha sempre fatto molta impressione anche a me…”.

D.: E’ lo stesso Mattei ritratto a Milano assieme ai capi della Resistenza: un Mattei antifascista, democristiano; che si inventa l’ENI, è protagonista di una politica terzomondista e che si oppone alle grandi compagnie petrolifere, non è un politico, ma fa politica in modo spregiudicato… 

Colombo: “E’ anche il Mattei che inventa una politica con paesi che gli Stati Uniti e le grandi potenze petrolifere trattano come controparte debole; Mattei ha l’intuizione geniale, ma anche grandiosamente politica di dare loro titolarità di diritti e forza nel loro ruolo di controparte. Si può dire che cambia la storia”.

D.: Sempre a proposito di personaggi che ruotano attorno al tuo mondo, ma anche a quello dei radicali: hai realizzato l’ultima intervista a Pier Paolo Pasolini per “Tutto libri” che era… è ancora, ma era diverso allora, il supplemento culturale de “La Stampa”…

Colombo: “A quel tempo, con Arrigo Levi avevamo immaginato ‘Tutto Libri’, come la rivista che avrebbe affiancato ‘La Stampa’, da vendere separatamente. Lei e io ci diciamo: come cominciamo? E viene fuori l’idea che si poteva cominciare con la voce di Pasolini…”.

D.: Quell’intervista è stata l’ultima rilasciata da Pasolini, che viene ammazzato nel modo che non sappiamo. Che opinione ti sei fatto di questo delitto?

Colombo: “Con Pasolini si era veramente amici, eravamo un gruppo che comprendeva Alberto Moravia, Dacia Maraini, Enzo Siciliano e altri. Per quel che mi riguarda, un rapporto un po’ anomalo: io ero tra i fondatori del “Gruppo 63”. Letterariamente parlando, almeno per quanto riguarda la poesia quel gruppo, guidato da Nanni Balestrini ed Edoardo Sanguineti, si poneva su un altro fronte, rispetto a Pasolini, a quello che veniva interpretato come una sorta di neo-romanticismo o di forme relativamente arcaiche di poesia, resistenti e all’avanguardia. Per me faceva premio la grandezza del Pasolini poeta, del Pasolini scrittore, regista, e il fatto che si trattasse di una personalità assolutamente eccezionale, e del tutto fuori posto nella società italiana; e questo indipendentemente da quel tipo di scelte di vita a cui si ritorna continuamente per identificarlo. Per molti anni con Pasolini, Moravia e altri si era vicini di casa, al mare, le affittavamo insieme, si passavano molti giorni e serate insieme. Pasolini lo ricordo come tenerissimo, simpatico, giocherellone con mia figlia bambina. Poi c’era l’aspetto della sua vita che riguardava soltanto lui. Diciamo che il fatto straordinario è stato il sapere in tempo reale che mi trovavo accanto a Pasolini, con la consapevolezza che Pasolini era Pasolini. Per questo sono orgoglioso di quell’ultima intervista. Non tanto perché è stata l’ultima che ha rilasciato, ma per il modo in cui Pasolini ha scelto di rivelare il punto a cui era arrivato nella sua visione della società italiana e della vita contemporanea”.

D.: Una domanda che presuppone una premessa: Giorgio Napolitano, quando è ancora presidente della Repubblica, l’8 ottobre del 2013 si avvale delle prerogative che sono previste dalla Costituzione, e invia un messaggio formale al Parlamento; è il suo primo messaggio e anche l’unico: e riguarda la questione della giustizia in generale e delle carceri. Un messaggio articolato, ‘pesante’, frutto senz’altro di meditazioni e di riflessioni profonde, risultato di un percorso che forse può anche essere stato sofferto, per vincere legittime esitazioni, comprensibili perplessità; e tuttavia quel messaggio lo conoscono in pochissimo, pochissimo lo si è fatto conoscere. Altri testi, altri messaggi del presidente della Repubblica sono stati ampiamente diffusi e resi noti; questo no, curiosamente. E dire che il presidente, che è anche il primo magistrato italiano, ricorda nel modo più solenne che gli viene consentito dalla Costituzione, che l’Italia è condannata più volte dalle giurisdizioni nazionali ed europee per violazione dei diritti dell’uomo; e che ‘è fatto obbligo’, sto leggendo testualmente quello che lui ha scritto di suo pugno, ‘per i poteri dello Stato ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni di adoperarsi affinché gli effetti normativi, lesivi della Costituzione cessino’…
‘Fatto obbligo’…Sono parole che non credo possano essere più pesanti e definitive in questa loro secchezza… Perché secondo te, di questo messaggio autorevole sia nella forma che nella sostanza, non si parla, non si discute, non si avvia alcun tipo di confronto, è letteralmente confiscato alla conoscenza del cittadino?

Colombo: “È difficile rispondere. La domanda me la sono fatta anch’io tante volte, non solo perché ascolto le conversazioni domenicali di Pannella e sento spesso il riferimento a questo messaggio del presidente, il riferimento alla parola “obbligo”, che Marco sottolinea ogni volta come se avesse una enorme matita rossa e blu che riesce a imprimere nella testa degli ascoltatori. Torniamo al potere e alla sua astuzia. Se c’è una caratteristica del potere è quella di essere ipocrita: cioè dire cose che non pensa, e accettare fatti che non gli interessano trasformandoli in pura esibizione retorica per poi abbandonarli… Quel messaggio di Napolitano è pericoloso per il regime, e dunque è logico che il regime lo abbia confiscato, negando che possa essere conosciuto e valutato”.

D.: Non solo il Parlamento…Poco fa abbiamo parlato di Pasolini. Ricordo che nel 1974, dalle colonne del ‘Corriere della Sera’, scrive un articolo intitolato ‘Apriamo un dibattito sul caso Pannella’. E quel dibattito si apre. Grazie a Pasolini si apprende che Pannella è impegnato in uno sciopero della fame di quasi cento giorni, e gli obiettivi che Pannella si pone; un dibattito che dura per quasi tre mesi, e va al di là delle colonne del ‘Corriere della Sera’, si allarga a tantissimi altri giornali. E’ un dibattito, un confronto che ancora oggi merita di essere letto e conosciuto…Oggi non c’è niente di tutto ciò. Manca un Pasolini, certo. Ma oggi Pasolini avrebbe modo di esprimersi?

Colombo: “Il fatto che manchi Pasolini o un Pasolini ha certamente un’importanza enorme. Il silenzio degli intellettuali di livello, di coloro che hanno i microfoni aperti e hanno le colonnine degli editoriali a disposizione, e che si occupano costantemente di altre cose, magari anche di bellezza e magari anche per lo splendore della poesia, ma tacciono su fatti importanti che tormentano e attanagliano la vita quotidiana, è un bel problema dell’Italia contemporanea. Colgo l’occasione per esprimere la meraviglia per un Parlamento che è facilmente ipocrita, perché il potere può esserlo, è una delle sue caratteristiche: fingere di avere interessi che non ha, e sceglie di essere violentemente sgarbato nei confronti del presidente della Repubblica. Possiamo dire che c’è un metodo in questi misteri…”.

(trascrizione non rivista dall’autore)

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Valter Vecellio intervista Furio Colombo, giornalista, scrittore, ex parlamentare ed editorialista de “Il Fatto Quotidiano”.

L’intervista è stata registrata giovedì 17 maggio 2015 alle ore 11:00.

Nel corso dell’intervista sono stati discussi i seguenti temi: Arabi, Blair, Bruxelles, Bush, Cinema, Comunicazione, Cultura, Democrazia, Diritti Civili, Diritti Umani, Diritto, Energia, Esteri, Gran Bretagna, Guerra, Informazione, Iran, Iraq, Iscrizioni, Israele, Mattei, Medio Oriente, Obama, Palestina, Pannella, Partito Radicale Nonviolento, Partitocrazia, Pasolini, Petrolio, Politica, Radicali Italiani, Saddam Hussein, Stato, Storia, Turchia, Usa.

Fonte: Radio Radicale

+ TESTO

Furio Colombo è stato, continua a essere tante cose: giornalista, commentatore, scrittore, autore di documentari per la televisione; e ancora: docente universitario, al glorioso Dams di Bologna, alla Columbia University; una lunga esperienza negli Stati Uniti: corrispondente de “La Stampa”, di “Repubblica”; collaboratore di “l’Espresso”, “Panorama”, “L’Europeo”; ma anche presidente di FIAT America; senatore e deputato per il PDS, e le successive trasformazioni: DS, PD… ha diretto “l’Unità”; ma anche la rivista “L’architettura: cronache e storia”, con un nostro grande amico, Aldo Loris Rossi; e ora editorialista de “Il Fatto Quotidiano”. Per quel che riguarda i libri, ho fatto un veloce censimento, sono arrivato a sessanta, poi mi sono fermato, ma la lista continuava…Aggiungo che Colombo è sempre stato molto amico di Marco Pannella e dei radicali; da parlamentare è stato sempre a fianco delle iniziative animate dai radicali…Fino alla decisione di regalare a Pannella, per il suo compleanno, la sua iscrizione al partito.

Domanda: Vorrei partire da qui: perché questa decisione? E perché ora e non prima?.

Colombo: “Per almeno due ragioni: la prima bisognava trovare un regalo per Marco in occasione dell’ottantacinquesimo compleanno, e dal momento che siamo quasi coetanei, mi sembrava ragionevole fare qualcosa che a lui fosse particolarmente gradito. So che gli faceva piacere, perché ne avevamo parlato spesso, e gli ho sempre detto: ‘Ma non ho nessuna tessera, non le ho mai prese…sono vicino al Partito Radicale, ma preferirei non avere tessere…’. In questo caso, mi è sembrato il regalo utile da fare, e l’ho fatto molto volentieri: il Partito Radicale è rimasto l’unico, in un panorama in cui si poteva sempre pensare che sarebbe arrivato qualcun altro ad affiancarsi a certe lotte e a certi impegni del Partito Radicale. Sono passati i decenni, e abbiamo dovuto constatare che per quel che riguarda certi fatti, certi argomenti e certi valori, il Partito Radicale ha cominciato “unico”, ha continuato “unico”, è rimasto “unico”. Unico per tutto quel che ha a che fare con i diritti umani, con i diritti civili, con il rispetto della persona, con il rispetto della Costituzione in senso vero e non retorico, con il seguire il paesaggio politico dal punto di vista delle persone, degli individui, non delle masse. In questo senso, mi sembra degno di attenzione e di sostegno; dunque due ragioni: il regalo, che però si potrebbe dire la più fatua; la più seria è l’aver constatato, dopo tanto tempo e dopo tante esperienze, che i radicali sono rimasti i soli a testimoniare alcune cose che, altrimenti in Italia, sarebbero zona brada, totalmente sguarnita”.

D.: Non per contraddire, ma perché fatua? Ad ogni modo sono certo che Pannella sia stato molto contento di apprendere di questa iscrizione, un dono che credo abbia gradito moltissimo. Ma una curiosità: quasi coetanei, quand’è stata la prima volta che ti sei imbattuto in Pannella e nei radicali?

Colombo: “Parliamo di vera e propria preistoria: è stato durante il mio primo periodo all’Olivetti…prima del periodo negli Stati Uniti, quando lavoravo un po’ a Ivrea, un pò a Milano: avevo due uffici, perché avevo due diverse funzioni. E’ stata una bellissima esperienza quella con Adriano Olivetti, che come missione si era posto l’obiettivo di “assumere”. Ora va di moda licenziare. Con Adriano no, ci si ingegnava a procurare lavoro. Io lavoravo negli uffici che selezionavano le persone da assumere. Ogni tanto ci penso, con orgoglio: non sono mai stato costretto a mandar via nessuno. Erano tempi molto diversi, come si vede. Ora licenziare viene sbandierato come un risultato; i più eleganti parlano di ‘snellimento’…”.

D.: Sugli snellimenti si costruiscono carriere… 

Colombo: “Capita infatti che l’Amministratore Delegato sia promosso in quanto ha licenziato di più…Per tornare all’incontro con Pannella e i radicali: credo sia avvenuto a Milano, si stava spezzando il rapporto fra i liberali tradizionali e quello che allora venivano chiamati ‘liberali di sinistra’. C’era questo movimento, questa formazione nuova, che mi incuriosiva… Pannella l’ho incontrato in quel periodo: cominciavo già ad andare su è giù dagli Stati Uniti e ricordo una volta a Venezia, cominciavo a occuparmi di palazzo Grassi, e ci siamo parlati. Mi incuriosiva la sua non italianità, il suo modo non convenzionale di fare politica: brutale, sincero, ingenuo, onesto, testone, costante, irriverente, ‘pericoloso’ e con quella vena di dolcezza che era assolutamente estranea alla vita politica anche quando era parecchio più dignitosa di quanto lo sia adesso. Da lì, da quell’incontro nasce l’interesse, e la reciproca attenzione. Poi le occasioni si sono moltiplicate. Ed è cominciato anche il mio stare a fianco di un gruppo, non dentro, ma di lato; e abbastanza presto ho scoperto che sempre più spesso mi chiedevo: ‘Ma su questa cosa pensa Pannella? Su quest’episodio, cosa direbbe?’. Naturalmente non sarei sincero se dicessi che sono sempre stato d’accordo con lui. Ma ho sempre trovato ammirevole questa sua temeraria capacità di non mollare mai, di seguire certi fili e di ripetere, ritornare, farsi mal volere, se necessario, pur di non rinunciare agli impegni che aveva assunto. Su questo l’ammirazione non è mai venuta meno. Potevo condividere o meno il singolo tema, ma la determinazione e la schiettezza del suo porsi di fronte alle cose l’ho condivisa da sempre”.

D.: Esiste un epistolario Colombo-Pannella?

Colombo: “Un epistolario vero e proprio, no. Ci si scambiava informazioni, ci si faceva confidenze, qualche lettera o biglietto…Capitava che gli facevo notare cose che poi scoprivo aveva notato e scoperto prima di me…”.

D.: Pannella e i radicali, da qualche anno, sono impegnati in una iniziativa che in modo pedestre riassumo in ‘Diritto Umano alla Conoscenza per lo Stato di diritto contro le ragioni di Stato’. Vorrei sollecitare una tua riflessione su questo.

Colombo: “Chi ha vissuto in questo frammento di secolo e in una buona parte del secolo precedente, non può non aver riflettuto sullo Stato di diritto e sulla protervia con cui lo Stato di diritto ha deciso vite, destini, percorsi, riservandosi il segreto delle ragioni per le quali tutto ciò era avvenuto. Impossibile non essere colpiti dal fatto che appare teoricamente semplice: se lo si chiede a uno storico o a un filosofo, ti rispondono: ‘Ma sì, ma certo! Ma che ragioni… Siamo dentro una sorta di gabbia, nella quale vengono definite le nostre vite prima ancora che noi si inizia a disputare con il nostro stesso destino e, per giunta, vengono definite senza darci le ragioni né ora né mai’. Apparentemente, se si pensa ai testi che hanno trattato questo problema, alle obiezioni anche rigorose e anche severe, che sono state mosse nello scrivere storico, nello scrivere filosofico, questa pretesa dello Stato di diritto di dominare le vite, si potrebbe anche sostenere che Pannella arrivi in ritardo…Ma in politica è assolutamente il primo. In politica sono ‘la’ persona e ‘il’ partito che hanno occupato questo spazio e che non si sono fermati di fronte a ragioni che immediatamente diventano un sussurro quando ti vorrebbero convincere che è per il bene del Paese, delle persone, del futuro, per la garanzia della nostra sicurezza…Ragioni che vengono continuamente tenute, pronte, per spiegare che è sbagliato occupare questo spazio. A me questa questione è apparsa immediatamente interessante, importante, utile, doverosa; e, quindi, è più che mai cosa che mi appartiene.”

D.: Ci dovrebbe essere un diritto di tutti noi di conoscere per poter controllare e dare fiducia o revocarla a chi abbiamo scelto come nostri governanti; un diritto che viene troppe volte calpestato in Italia e non solo in Italia; al tempo stesso, però, è anche ragionevole sostenere che esistono delle sfere, delle zone, che non devono essere conosciute o, quanto meno, conosciute subito…
E come si fa a far quadrare questo cerchio? E, dagli Stati Uniti possono venire esempi utili anche per noi?

Colombo: “Certamente abbiamo degli esempi. Il primo che mi viene in mente è quello di Daniel Ellsberg, l’impiegato del Pentagono che si trova in mano, improvvisamente, le carte dell’invasione della Cambogia…”.

D.: Stiamo parlando della guerra del Vietnam…

Colombo: “Esattamente: la guerra del Vietnam e gli anni Settanta…Ellsberg, funzionario di livello medio, accede alla documentazione segreta del Pentagono, i famosi “Pentagon Papers”, e decide di renderli pubblici: si accorge che si sta consumando uno stravolgimento delle regole, una clamorosa violazione delle leggi per quel che riguarda la guerra in Vietnam, e c’è tutta una parte ‘oscura’, nascosta; e si fa carico della responsabilità di renderli pubblici; e trova giornali disposti a pubblicare quella straordinaria documentazione. Ecco, apro un inciso: bisogna ricordare una cosa importante. Gli Stati Uniti come sistema, possono avere mille difetti, mille limiti; ma trovano sempre, al loro interno, gli anticorpi necessari; i ‘loro’ scandali vengono svelati e denunciati dai ‘loro’ giornali, dalle ‘loro’ televisioni. E’ importante: tutto quello che sappiamo degli Stati Uniti, e tutto quello che i nemici degli Stati Uniti usano contro gli Stati Uniti, viene dagli Stessi Stati Uniti; è l’opinione pubblica americana che reagisce, è il giornalismo americano che denunciano. Sono gli uomini politici e i funzionari americani, che a un certo punto dicono ‘basta’”. Ho citato il caso di Ellsberg; ma più vicino ai giorni nostri, la violazione dei diritti umani nel carcere iracheno di Abu Ghraib sono stati i media americani a denunciarla…E’ questo che deve farci ben sperare”.

D.: Se è per questo, si apprende ora che la stessa operazione per eliminare Osama bin Laden non è stata esattamente quella che ci hanno raccontato…

Colombo: “E’ appunto quello che sostengo. I nodi alla fine vengono al pettine. Ma quando si tratta degli Stati Uniti, il pettine è sempre americano”.

D.: Qual è il succo da ricavarne, che come gli americani anche noi dobbiamo imparare a vigilare, a vagliare criticamente le cose, a non tollerare, da parte di chi ci governa, la menzogna? 

Colombo: “Non solo: non dobbiamo tollerare da parte di chi ci governa che ci dica: ‘Zitto tu, lasciami lavorare’…Non si deve tollerare che i cittadini siano trattati come dei “disturbatori” quando muovono obiezioni su decisioni o eventi che non si vogliono chiarire o spiegare. Una delle cose che mi affascina in Pannella è che costantemente ‘disturba’ la vita istituzionale del Paese, costantemente respinge l’accettazione automatica: ‘Ecco abbiamo fatto così, dunque vuol dire che va bene… poi dopo vedremo, chiariremo, eccetera, ma se lo abbiamo fatto vuol dire che va bene…’. Il rifiuto di questo falso sillogismo è un merito che va riconosciuto a Pannella; lo stesso merito non può essere invece riconosciuto agli altri partiti e movimenti politici, che troppe volte hanno accettato una malintesa ragione di stato”.

D.: Come Pannella e i radicali sei sempre stato molto amico e solidale con Israele, anche, quando era molto difficile esserlo; la premessa mi serve per chiederti: sei favorevole, saresti favorevole all’ingresso di Israele nell’Unione Europea, in parallelo anche di Paesi come, per esempio, la Turchia, la Giordania, il Marocco o la Tunisia? 

Colombo: “Con amici radicali e amici di Israele, e israeliani, ne abbiamo parlato spesso. La domanda negli ultimi tempi si è trasformata, è diventata un po’ diversa: perché le novità più drammatiche sono il venire avanti di varie e diverse forme di islamismo politico; per esempio, nominare la Turchia adesso non è nominare la Turchia di dieci, quindici anni fa…”.

D.: La Turchia di adesso, se è quella che è, non è anche per nostra responsabilità?

Colombo: “Certo che lo è. È frutto di un errore gravissimo fatto dall’Unione Europea e dai paesi più importanti dell’Unione Europea, prima di tutto la Francia, che hanno detto No alla Turchia quando era al suo zenit di culture occidentali, di cultura europea; nel suo punto più alto di laicizzazione. Un rifiuto clamorosamente miope, sbagliato, nel momento più sbagliato. Ho sempre pensato a Israele come a una presenza democratico-occidentale in mezzo a un mondo che non è democratico; questa distonia grave crea dei problemi in più per Israele, e crea difficoltà in più per i popoli, non per i Governi…Da sempre pensato che i palestinesi siano stati immolati dagli arabi antisemiti, dagli arabi antiebrei, dagli arabi nemici degli ebrei, dai discendenti di quegli arabi che sedevano con Hitler a Berlino…”.

D.: Il Gran Mufti di Gerusalemme…

Colombo: “Il Gran Mufti di Gerusalemme… Da bambino ricordo benissimo quanto detestavo il Gran Mufti di Gerusalemme, lo sentivo alla radio fascista e capivo che si trattava di una persona altamente pericolosa, uno che a Berlino rendeva onore a Hitler…”

D.: Hanno poi reso il favore, perché molti nazisti in fuga dalla Germania, oltre che in Sud America, hanno trovato protezione in Siria, in altri Paesi arabi…

Colombo: “Hanno trovato protezione, coperture, certamente. Però non c’è dubbio che al momento in cui le Nazioni Unite hanno deciso la distribuzione dei due piccoli, petrosi territori, uno vicino all’altro gruppo, gli ebrei che già erano sul posto e a quelli che sarebbero poi venuti da una parte; e i palestinesi dall’altra, non c’è stata per questi ultimi alcuna opzione: sono stati ‘sacrificati’ dagli arabi, che non volevano la nascita di uno Stato ebreo nell’area; se i palestinesi avessero avuto un loro Stato, da quel momento avrebbero avuto il diritto di interloquire sulla scena internazionale per quelli che ritenevano fossero i loro problemi; e per difendere i loro interessi no avrebbero avuto alcun interesse a ricorrere a guerre. Non per caso tutte le guerre più tremende che ci sono state in quell’area sono frequentemente guerre fra paesi arabi.
Voglio dire: la ferita con Israele è sempre stata una ferita artificiale, tenuta viva dal potere arabo che nel frattempo era petrolifero, ma anche filo-americano, legato al grande capitalismo, diventava ricchissimo fingendo di non esserlo, per poter lasciar morire di fame e disperazione i palestinesi; il destino dei palestinesi poteva essere cambiato in poche settimane dall’intervento dei paesi arabi, se non fosse stato un intervento regolarmente di guerra, nei quali i palestinesi venivano mandati avanti come prime vittime ed usati. I paesi arabi che circondano Israele hanno usato la Palestina come scudo umano per fare guerra agli ebrei. Questa è la ragione per la quale mi sono sempre sentito vicino a Israele; ero in Israele, quando è scoppiata la ‘Guerra dei Sei giorni’. Israele è molto piccola, territorialmente, e ho avuto modo di constatare come fosse di un attacco organizzato e concentrato da parte del Libano, Giordania, Siria ed Egitto, ciascuno con eserciti che muovevano e la cui finalità senza dubbio era lo sterminio e la distruzione totale…Non avevano messo i conto che Israele si era preparata e sapeva come difendersi…”.

D.: Sì, Israele è molto piccola, territorialmente. C’è il famoso detto: ‘Accendi una sigaretta a Gerusalemme, finisci di fumarla a Tel Aviv’…”. Da tempo Pannella e i radicali sono impegnati in una iniziativa di respiro direi mondiale, la conquista del diritto umano alla conoscenza, ma anche la fuoriuscita dall’attuale regime di ‘democrazia reale’ che è un po’ la cifra dell’Occidente per la conquista di un’autentica democrazia. Un processo che registra una novità: l’adesione di autorevoli esponenti del mondo arabo che si dicono disposti a lavorare a una transizione che riguardi anche i loro paesi, un processo che necessariamente sarà lungo, che non sarà facile, ma è comunque un punto di inizio…È un qualcosa che dovrebbe essere aiutato, nutrito, non foss’altro per ragioni egoistiche: più democrazia c’è nel mondo, meglio stiamo tutti… E per falciare l’erba sotto i piedi dei terroristi e dei fondamentalisti…Tuttavia sembra che questo progetto, questo embrione di iniziativa politica, non interessi nessuno. Come si spiega?

Colombo: “Sono veramente molti anni che mi interrogo su questo mistero: l’isolamento deliberato, costante, ostinato, molto coerente (raramente ci sono altri impegni così coerenti), che si pratica nei confronti del Partito Radicale, non importa quale governo sia in carica, di destra, sinistra, centro…A volte mi domando se no ci sia una straordinaria sopravvalutazione del Partito Radicale di Pannella, per isolarlo con tanta tenacia, con tanto impegno. Poi, pensandoci meglio mi dico che molte volte la storia italiana dimostra che il potere – quale esso sia – ha un grande istinto nel difendersi da ciò che lo minaccia; quando parlo di potere non mi riferisco necessariamente a un qualcosa basato sulle armi, la forza fisica, ma a entità che si autodefiniscono come una sorta di fonte e origine delle proprie ragioni e, di conseguenza, non sono interessate a intrattenere discorsi o discussioni con qualcuno che metta in dubbio quelle sue ragioni. Ed è il motivo per cui all’interno del contenitore che noi chiamiamo “democrazia”, in realtà, i confini sono più ristretti di quelli che dovrebbero essere. È come se ci fosse stata una compressione della capsula democratica. Per tornare a Pannella e ai radicali: si tratta di una sorta di mistero; è come se qualcuno venisse a dirci: quello sì, quell’altro pure; quelli là, no. Perché no? Perché no. Punto. Così Pannella non va mai a un dibattito televisivo, non lo invitano mai…”.

D.: Sentire Pannella o altri radicali, con una certa frequenza e con la possibilità di comprendere le loro proposte, forse ci si renderebbe conto della portata “rivoluzionante”, eversiva nel senso letterale, del loro dire e cercare di fare. Diciamo che dal punto di vista del regime è comprensibile questo ostracismo…

Colombo: “E magari si prenderebbe atto che Pannella è molto meno isolato di quanto può a prima vista sembrare…”.

D.: Torniamo un attimo negli Stati Uniti. Credo di non sbagliare se dico che hai una pessima opinione di George Bush figlio, mentre hai una buona opinione di altri presidenti: Bill Clinton per esempio; credo che tu sia stato amico dei Kennedy e anche di Jimmy Carter, sul cui conto i giudizi negativi invece si sprecano. Cominciamo da Bush: perché dici che è stato un cattivo presidente?

Colombo: “Perché, per esempio, non ha avuto il coraggio di imitare il padre, Bush senior. Nel 1991 l’Irak invade il Kuwait, e si rende necessario un intervento militare sotto l’egida delle Nazioni Unite. Bush padre convoca il Senato americano e chiede a ciascun senatore, cento su cento, di dire se si doveva fare o non fare la guerra; cioè di motivare e votare il Sì o il No. E’ stata una grande prova di democrazia. Bush figlio non ha avuto questo coraggio”.

D.: Non ha saputo essere saggio come il padre?

Colombo: “Quello che ha fatto Bush figlio è ben più grave…Ha fatto trovare dei documenti falsi, con la collaborazione e con la complicità di Tony Blair…”.

D.: Il giudizio negativo si estende dunque anche a Blair…

Colombo: “Certamente. Gli aspetti orribili della seconda guerra in Irak, che poteva essere evitata, si estendono al fatto che Blair ha reso tutto più grave: ha garantito qualcosa che non era mai accaduto…La famosa frase ‘ci possono distruggere in 45 minuti’ è priva di fondamento; è una frase che George W. Bush non aveva mai pronunciato fino a quel momento e che ha portato, tra l’altro, a un sovvertimento interno, poco notato da lontano, ma molto forte, sia negli Stati Uniti che in Inghilterra: con cambiamenti, per esempio, dentro la “BBC”; e con la grave vicenda dell’ambasciatore Wilson in America, quando il vicepresidente Cheney rivela che la moglie dell’ambasciatore Wilson è una “cover spy” della CIA, mettendola quindi fisicamente in pericolo; e lo fa per vendicarsi del fatto che l’ambasciatore Wilson, inviato in Niger per accertare gli acquisti di materiale per armi di distruzione di massa da parte dell’Irak, torna e dice che di quella roba non c’è traccia; e commette l’errore di dichiararlo al ‘New York Times’. In più Blair uccide il progetto che stava componendosi in Europa (e noi sappiamo quanto Pannella ne è stato parte), per poter diplomaticamente organizzare un sostegno arabo che avrebbe consentito la rimozione di Saddam”.

D.: La famosa iniziativa politica “Esilio per Saddam…transizione democratica dell’Irak sotto l’egida dell’ONU…

Colombo: “Causa che ho sostenuto appassionatamente: invece di un pacifismo astratto, era un’azione concreta, sulla base di una specifica e ben organizzata concatenazione di azioni organizzative e diplomatiche.”

D.: Quando si scriverà la storia di quegli anni, di quello specifico periodo, si vedrà che una parte rilevante di responsabilità ricade sia sull’allora dittatore libico Gheddafi, sia su Silvio Berlusconi. Ma perché Bush ha voluto così spasmodicamente la guerra, per il petrolio o per il complesso militare industriale?

Colombo: “Non credo che il petrolio sia il fattore principale di queste guerre. Il petrolio non lo è sempre. La ragione di quella guerra non è stata ancora veramente valutata e calcolata da una visione fredda, razionale e indipendente. Per esempio, l’abbattimento di Saddam corrisponde al lancio del pericolo Iran. Da quel momento Israele comincia a temere l’Iran, l’Iran ha le mani libere, e proprio quando mostra il suo volto peggiore, il più aggressivo e violento, con un presidente che invoca la sparizione dello Stato di Israele…”.

D.: Stiamo parlando di Ahmadinejad…

Colombo: “Ahmadinejad e l’Iran si sono trovati privi del loro tradizionale nemico, non erano più frenati alle frontiere dalla presenza dell’Irak. Per l’Iran la distruzione dell’Irak è stata una boccata d’ossigeno, proprio nel momento in cui appariva particolarmente pericoloso. Israele lo pensa ancora. Gli Stati Uniti di Obama pensano che l’Iran lo si possa agganciare e tenere a freno attraverso i rapporti diplomatici diversi e più stretti. Non si può negare una visione a Obama in questo senso, perché il pericolo sembra diminuito e non aumentato. Ho detto sembra…”.

D.: Avremo modo di riparlarne…Ora scivolo su un tuo dato personale, diciamo biografico. Tra le tante cose che hai fatto, ce n’è una curiosa, ed è relativa a un film: ‘Il caso Mattei’; anche lì si parla di petrolio…In quel film interpreti il ruolo dell’assistente-traduttore di Enrico Mattei che si trova davanti un arcigno rappresentante delle compagnie petrolifere anglo-americane, che non ne vogliono proprio sapere di lasciar fare a Mattei quello che cercava di fare. Come nasce quell’episodio e quell’interpretazione di attore? L’unica, credo…

Colombo: “Sì, l’unica. Nasce dall’amicizia e dal rapporto quotidiano con Francesco Rosi; abitavamo nella stessa casa, le nostre figlie avevano la stessa età, ci sentivamo continuamente; non partecipavo materialmente alla stesura dei suoi film, però ne parlavamo spesso, praticamente di tutte le sere o di molti fine settimana. E mi chiedeva aspetti e particolari della mia attività professionale negli Stati Uniti per la Olivetti o per e la FIAT…Capitava così che leggendo il copione gli facevo notare: ‘guarda che la persona non direbbe mai questa cosa’; oppure: ‘E’ improbabile che intervenga di sua iniziativa…’. E un giorno Rosi mi dice: ‘Ma perché questa parte non la fai tu?’. Ne parliamo un po’, mi dice: ‘Allora tu fai questo, dici questo, la battuta di Volonté sarà questa… e tu devi rispondere… e poi devi rispondere al petroliere, e così via’…E’ andata così”.

D.: Avete improvvisato?

Colombo: “…Un po’ sì. Abbiamo girato all’hotel de Paris di Montecarlo, che è il luogo vero in cui Mattei incontrò uno degli esponenti delle ‘Sette Sorelle’ petrolifere, per vedere se si poteva trovare un accordo. Ho interpretato liberamente le battute che avrebbe detto il suo assistente, e poi le ho ripetute in inglese per la versione in cui andavano dette in inglese. L’esperienza che avevo maturato, in quello specifico aspetto ha aiutato Rosi, perché lo sceneggiatore era di grandissimo livello…”.

D.: Chi era?

Colombo: “Tonino Guerra. Grande sceneggiatore, non solo poeta. Ma sia lui che Rosi certi aspetti, come quelli dell’intermediario, dell’interprete, dell’assistente del presidente, li conoscevano meno…il gioco per esempio delle traduzioni dall’inglese all’italiano e vice-versa, al punto che ho inventato un’alterazione della battuta di Volonté nel corso della traduzione, perché ho immaginato che un buon interprete, con responsabilità di assistenza e di mediazione, avrebbe alterato la battuta per renderla più accettabile alla controparte…Il rapporto con Rosi era cementato non solo dalla grande amicizia e dell’intensa frequentazione, ma anche dal particolare momento che vivevo: avevo messo su famiglia, mia moglie Alice Oxman era appena arrivata dagli Stati Uniti, mia figlia era appena nata; e questo stare insieme era reso ancora più intensa la nostra amicizia. E anche Rosi era incuriosito dalle mie esperienze…”.

D.: Ha conosciuto Enrico Mattei?

Colombo: “No, non l’ho mai conosciuto”.

D.: Stiamo parlando di un personaggio che indubbiamente ha fatto molto per questo paese. Però c’è quella battuta, nel film, molto suggestiva: ‘Per me i partiti sono come un taxi: salgo, pago, scendo e arrivederci!’. Non è una concezione esattamente in linea con la democrazia…”.

Colombo: “Questa battuta ha sempre fatto molta impressione anche a me…”.

D.: E’ lo stesso Mattei ritratto a Milano assieme ai capi della Resistenza: un Mattei antifascista, democristiano; che si inventa l’ENI, è protagonista di una politica terzomondista e che si oppone alle grandi compagnie petrolifere, non è un politico, ma fa politica in modo spregiudicato… 

Colombo: “E’ anche il Mattei che inventa una politica con paesi che gli Stati Uniti e le grandi potenze petrolifere trattano come controparte debole; Mattei ha l’intuizione geniale, ma anche grandiosamente politica di dare loro titolarità di diritti e forza nel loro ruolo di controparte. Si può dire che cambia la storia”.

D.: Sempre a proposito di personaggi che ruotano attorno al tuo mondo, ma anche a quello dei radicali: hai realizzato l’ultima intervista a Pier Paolo Pasolini per “Tutto libri” che era… è ancora, ma era diverso allora, il supplemento culturale de “La Stampa”…

Colombo: “A quel tempo, con Arrigo Levi avevamo immaginato ‘Tutto Libri’, come la rivista che avrebbe affiancato ‘La Stampa’, da vendere separatamente. Lei e io ci diciamo: come cominciamo? E viene fuori l’idea che si poteva cominciare con la voce di Pasolini…”.

D.: Quell’intervista è stata l’ultima rilasciata da Pasolini, che viene ammazzato nel modo che non sappiamo. Che opinione ti sei fatto di questo delitto?

Colombo: “Con Pasolini si era veramente amici, eravamo un gruppo che comprendeva Alberto Moravia, Dacia Maraini, Enzo Siciliano e altri. Per quel che mi riguarda, un rapporto un po’ anomalo: io ero tra i fondatori del “Gruppo 63”. Letterariamente parlando, almeno per quanto riguarda la poesia quel gruppo, guidato da Nanni Balestrini ed Edoardo Sanguineti, si poneva su un altro fronte, rispetto a Pasolini, a quello che veniva interpretato come una sorta di neo-romanticismo o di forme relativamente arcaiche di poesia, resistenti e all’avanguardia. Per me faceva premio la grandezza del Pasolini poeta, del Pasolini scrittore, regista, e il fatto che si trattasse di una personalità assolutamente eccezionale, e del tutto fuori posto nella società italiana; e questo indipendentemente da quel tipo di scelte di vita a cui si ritorna continuamente per identificarlo. Per molti anni con Pasolini, Moravia e altri si era vicini di casa, al mare, le affittavamo insieme, si passavano molti giorni e serate insieme. Pasolini lo ricordo come tenerissimo, simpatico, giocherellone con mia figlia bambina. Poi c’era l’aspetto della sua vita che riguardava soltanto lui. Diciamo che il fatto straordinario è stato il sapere in tempo reale che mi trovavo accanto a Pasolini, con la consapevolezza che Pasolini era Pasolini. Per questo sono orgoglioso di quell’ultima intervista. Non tanto perché è stata l’ultima che ha rilasciato, ma per il modo in cui Pasolini ha scelto di rivelare il punto a cui era arrivato nella sua visione della società italiana e della vita contemporanea”.

D.: Una domanda che presuppone una premessa: Giorgio Napolitano, quando è ancora presidente della Repubblica, l’8 ottobre del 2013 si avvale delle prerogative che sono previste dalla Costituzione, e invia un messaggio formale al Parlamento; è il suo primo messaggio e anche l’unico: e riguarda la questione della giustizia in generale e delle carceri. Un messaggio articolato, ‘pesante’, frutto senz’altro di meditazioni e di riflessioni profonde, risultato di un percorso che forse può anche essere stato sofferto, per vincere legittime esitazioni, comprensibili perplessità; e tuttavia quel messaggio lo conoscono in pochissimo, pochissimo lo si è fatto conoscere. Altri testi, altri messaggi del presidente della Repubblica sono stati ampiamente diffusi e resi noti; questo no, curiosamente. E dire che il presidente, che è anche il primo magistrato italiano, ricorda nel modo più solenne che gli viene consentito dalla Costituzione, che l’Italia è condannata più volte dalle giurisdizioni nazionali ed europee per violazione dei diritti dell’uomo; e che ‘è fatto obbligo’, sto leggendo testualmente quello che lui ha scritto di suo pugno, ‘per i poteri dello Stato ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni di adoperarsi affinché gli effetti normativi, lesivi della Costituzione cessino’…
‘Fatto obbligo’…Sono parole che non credo possano essere più pesanti e definitive in questa loro secchezza… Perché secondo te, di questo messaggio autorevole sia nella forma che nella sostanza, non si parla, non si discute, non si avvia alcun tipo di confronto, è letteralmente confiscato alla conoscenza del cittadino?

Colombo: “È difficile rispondere. La domanda me la sono fatta anch’io tante volte, non solo perché ascolto le conversazioni domenicali di Pannella e sento spesso il riferimento a questo messaggio del presidente, il riferimento alla parola “obbligo”, che Marco sottolinea ogni volta come se avesse una enorme matita rossa e blu che riesce a imprimere nella testa degli ascoltatori. Torniamo al potere e alla sua astuzia. Se c’è una caratteristica del potere è quella di essere ipocrita: cioè dire cose che non pensa, e accettare fatti che non gli interessano trasformandoli in pura esibizione retorica per poi abbandonarli… Quel messaggio di Napolitano è pericoloso per il regime, e dunque è logico che il regime lo abbia confiscato, negando che possa essere conosciuto e valutato”.

D.: Non solo il Parlamento…Poco fa abbiamo parlato di Pasolini. Ricordo che nel 1974, dalle colonne del ‘Corriere della Sera’, scrive un articolo intitolato ‘Apriamo un dibattito sul caso Pannella’. E quel dibattito si apre. Grazie a Pasolini si apprende che Pannella è impegnato in uno sciopero della fame di quasi cento giorni, e gli obiettivi che Pannella si pone; un dibattito che dura per quasi tre mesi, e va al di là delle colonne del ‘Corriere della Sera’, si allarga a tantissimi altri giornali. E’ un dibattito, un confronto che ancora oggi merita di essere letto e conosciuto…Oggi non c’è niente di tutto ciò. Manca un Pasolini, certo. Ma oggi Pasolini avrebbe modo di esprimersi?

Colombo: “Il fatto che manchi Pasolini o un Pasolini ha certamente un’importanza enorme. Il silenzio degli intellettuali di livello, di coloro che hanno i microfoni aperti e hanno le colonnine degli editoriali a disposizione, e che si occupano costantemente di altre cose, magari anche di bellezza e magari anche per lo splendore della poesia, ma tacciono su fatti importanti che tormentano e attanagliano la vita quotidiana, è un bel problema dell’Italia contemporanea. Colgo l’occasione per esprimere la meraviglia per un Parlamento che è facilmente ipocrita, perché il potere può esserlo, è una delle sue caratteristiche: fingere di avere interessi che non ha, e sceglie di essere violentemente sgarbato nei confronti del presidente della Repubblica. Possiamo dire che c’è un metodo in questi misteri…”.

(trascrizione non rivista dall’autore)

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