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Conversando con Francesco Paolo Casavola

Intervista di Valter Vecellio
Napoli, 18 novembre 2015

Valter Vecellio intervista Francesco Paolo Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale.

L’intervista è stata registrata domenica 22 novembre 2015 alle 11:00.

Nel corso dell’intervista sono stati trattati i seguenti temi: Associazioni, Beccaria, Carcere, Casavola, Cattolicesimo, Centro, Corte Costituzionale, Corte Di Giustizia Europea, Corte Europea Dei Diritti Dell’uomo, Costituente, Costituzione, Cristianesimo, Democrazia, Destra, Dirigenti, Diritti Civili, Diritti Umani, Diritto, Diritto Internazionale, Disobbedienza Civile, Europa, Francia, Gandhi, Germania, Giovanni Xxiii, Giustizia, Globalizzazione, Intellettuali, Istituzioni, Italia, Legge, Liberalismo, Libro, Manzoni, Nazionalismo, Nonviolenza, Onu, Pace, Parlamento, Partiti, Partito Radicale Nonviolento, Politica, Religione, Riservatezza, Rivoluzione, Sessualita’, Sinistra, Societa’, Socrate, Stampa, Stato, Storia, Tortura, Ue, Usa.

Fonte: Radio Radicale

Il professor Francesco Paolo Casavola è un giurista che non ha bisogno di presentazioni. Presidente emerito della Corte Costituzionale, autore di una quantità di opere, ci limitiamo a segnalare “Tornare alle radici. Per la ricostruzione delle basi della democrazia” pubblicato da Cittadella Editrice, 11,80 euro; questo libro sarà un po’ la stella polare di questa nostra conversazione.

Domanda: Cominciamo proprio dalle prime pagine. C’è un capitolo: “La dignità dell’uomo”. È interessante che abbia voluto affrontare, sin dalle prime pagine, questo concetto: la dignità dell’uomo… Vorrei cominciare da qui

Casavola: “Perché proprio negli anni a cui appartiene la mia generazione, si è riscoperta la dignità dell’uomo; a partire dalla Costituzione del 1949, che si usa chiamare “di Bonn”: la legge fondamentale della Germania Federale. Si apre con questo articolo: “La dignità dell’uomo è intangibile; ogni potere pubblico è tenuto a difenderla”. Di solito come si aprono le costituzioni? Con una sorta di autodefinizione della forma dello Stato. Per esempio, la nostra Costituzione si apre con un articolo che dice: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Non si pensa alla persona, alla dignità della persona umana. Probabilmente ogni Costituzione raccoglie la storia di un popolo; per quel che riguarda la Germania, la sua storia sanguinosa, a partire dal 1933, da quando il nazismo è andato al potere, calpesta la dignità umana come non è accaduto in nessun’altra parte della Terra. Ecco allora che la coscienza profonda di questo popolo si esprime proprio con la rivendicazione della dignità dell’uomo.

Dopo questa forma così energica di manifestazione di fede nell’uomo, anche le dichiarazioni internazionali, la Carta dell’ONU, ecc., hanno ricondotto questa immagine della dignità dell’uomo. Ma la dignità dell’uomo appartiene anche alla tradizione cristiana, che è la tradizione della civiltà europea: perché quando San Paolo fa la prima, più radicale definizione della dignità dell’uomo, dice: “Non c’è più né Giudeo, né Greco; non c’è più né libero, né servo; non c’è più né un uomo, né donna”. Badate che una definizione di questo genere…

Dobbiamo arrivare ai tempi nostri, ma mai nella formulazione così…”.

Domanda: C’è il mercante di Venezia di William Shakespeare, che dice: ‘Il mio sangue è rosso quanto il tuo’… Voglio dire: questi concetti li ritroviamo in una quantità di classici…

Casavola: “Sono d’accordo. Siamo però dentro ancora all’uso della metafora biologica, no? Ma dire che non ci sono più le classificazioni della società umana, non c’è più la nazione, non c’è più la proprietà, non c’è più neppure il sesso…
Tutto ciò mi pare sia un insegnamento straordinario. E perché? Perché si pensa all’uomo come creato da Dio, e con cui Dio ha subito dialogato, dal momento della Creazione. Allora, ecco che, cito per esempio Pico della Mirandola autore di una oratio sulla dignità dell’uomo, quando si riflette su questo rapporto dialogico tra Dio creatore e l’uomo da lui creato, non si può che pensare a questa ‘costruzione’ ereditata fin dall’antichità, ma in termini ambigui. L’uomo è caratterizzato dalla sua dignità”.

Domanda: Perché dice ‘in termini ambigui’?

Casavola: “Perché le forme con cui è stato accolto questo termine sono varie. Per esempio, le gerarchie delle grandi istituzioni erano chiamate notitia dignitatum. Bisognava conoscere il rango delle persone. Si deve arrivare al Medioevo cristiano per immaginare un altro significato: che la dignità vuol dire la non soggezione di nessuno ad altri che non sia il sovrano; cioè soltanto il sovrano ha sotto di sé degli uomini degni. Ora, perché c’è stata questa lunga eclisse di questo termine? Non ha giocato, per esempio, nella fase della scoperta rivoluzionaria del popolo, in luogo del sovrano.
Il popolo si è, come dire, compreso, si è autodefinito dentro il trinomio “libertà, eguaglianza, fraternità”, ma non ha rivendicato, per ciascuno dei suoi componenti, indipendentemente dallo stato sociale, dalla nazionalità, dal sesso, non ha rivendicato la dignità”.

Domanda: Questo in Europa. Negli Stati Uniti la Costituzione americana non la rivendica questa dignità?

Casavola: “La rivendica in due modi. Il primo è dovuto al fatto che le élite con una preparazione giuridico-politica del mondo americano, del tardo Settecento, avevano avuto conoscenza dei giuristi romani; dunque, da questo punto di vista, anche nelle Carte costituzionali settecentesche americane, c’è questa profonda persuasione, a volte dichiarata: “Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali”. In questa libertà ed eguaglianza già si può intravedere l’idea, che poi sarà molto più esplicita e più consapevole, della dignità umana. La seconda origine di questa idea è in un emendamento della Costituzione Federale quando si nega al Congresso la facoltà di legiferare in termini propri per la materia della stampa e della materia della religione. Cos’è in fondo la libertà di stampa? È la dignità del pensiero dell’uomo. L’uomo deve pensare in modo da non subire coercizione alcuna da altri. Quindi, ecco, che riemerge questa idea, anche questa, del Medioevo cristiano: non deve esserci soggezione alcuna, rispetto ad alcun potere. Dall’altra parte, la libertà della religione è la libertà della coscienza umana. Quindi pensiero e coscienza sono il contenuto di questa idea che si va ricostituendo nella riflessione non solo delle élite con responsabilità di governo; ma anche nella forma con cui la collettività riflette sulla storia che sta vivendo. Ripeto: libertà del pensiero e libertà della coscienza. Sono due luoghi intangibili”.

Domanda: Per venire a tempi più vicini: la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000; l’Italia ne fa parte. Cito il suo libro dove lei ricorda gli articoli che proibiscono ‘la tortura e le pene o trattamenti inumani e degradanti’. Evidentemente anche l’Italia recepisce questo principio che sfregia, che vìola la dignità intesa come l’ha esposta finora. Eppure l’Italia, ancora oggi, non ha una normativa che punisca la tortura, i trattamenti inumani e degradanti; anzi, più volte e ripetutamente viene condannata dalle Corti di giustizia europea. Abbiamo insomma lo Stato italiano che va contro la sua stessa legge, la vìola. In definitiva viene meno al dovere di tutelare la dignità dell’uomo…

Casavola: “Piuttosto che pensare ad una, come dire, non obbedienza, a un principio che invece è cogente, penso a dei ritardi; che non sono meno colpevoli, ma sono comportamenti omissivi. Ovviamente consapevoli…
Però, che cosa significa che il legislatore ordinario non abbia pensato alla tortura, non abbia pensato a misure degradanti la dignità umana? Che bisogna ancora andare a scuola”.

Domanda: Scusi l’interruzione: se il legislatore agisce in questo modo (o meglio, non agisce), non per un calcolo, per un ragionamento, ma per una sorta di riflesso, non è perfino più grave?

Casavola: “Sì, è vero. Sono incline ad accogliere questa sua valutazione: rinvia alla impreparazione delle classi dirigenti. Le classi dirigenti di un tempo, quelle che si formavano in quella temperie culturale che poi ha portato alla Rivoluzione francese, alla Rivoluzione americana, riflettevano di più; pensavano di più… si giovavano dei silenzi della loro vita, piuttosto che dei clamori di quella contemporanea”.

Domanda: Presidente, non credo che lei sia a conoscenza del fatto che un gruppo di radicali sta conducendo uno sciopero della fame, di dialogo con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi; cercano di sollevare una questione, quello del plenum della Corte Costituzionale incompleto. La Corte Costituzionale è un organo importantissimo nell’edificio dello Stato: deve valutare di volta in volta la costituzionalità di una legge, se si armonizza con quanto prevede la Costituzione. Sembra niente ma è una cosa enorme. Quando dico ‘sembra niente’ è perché poco ce lo insegnano, poco ci viene raccontato, poco ci viene spiegato. La Costituzione codifica, se così posso dire, che la Corte Costituzionale è composta da quindici persone: cinque sono nominate dal presidente della Repubblica, cinque eletti dagli organi supremi della magistratura; cinque sono di competenza del Parlamento (che non riesce a mettersi d’accordo); e infatti tre membri, da oltre un anno, non sono stati eletti. Per cui si vìola la Carta costituzionale: prevede che debbano essere quindici; ma anche dal punto di vista sostanziale: a parte un carico di lavoro maggiore ai dodici che ci sono, o un rallentamento anche del lavoro, si potrebbe eccepire anche nel merito: perché, magari, certe sentenze vengono prese magari sette a cinque; se ci fossero gli altri tre, gli equilibri potrebbero essere diversi. Quindi anche nel merito delle decisioni…

Allora come è possibile che una cosa del genere non sia tra i punti principali di un’agenda di governo, com’è possibile che sia disatteso, come di fatto è, l’appello che ha rivolto il presidente Mattarella al Parlamento: “Sanate questo vulnus”. Come è possibile che ci sia questa situazione?

Casavola: “Le voglio rispondere, e in parte contravvengo a un mio codice di comportamento, quello di non discutere mai di questioni relative alla Corte costituzionale perché di quell’organo sono stato componente. Ma questa sua domanda ha un suo perimetro che mi consente di derogare a questo mio proposito. Lei tocca giustamente due aspetti. Uno è di carattere tecnico: voglio dire che non solo ci può essere il caso che lei ha citato, del sette a cinque, ma ci può essere anche il sei  a sei: con la prevalenza del voto del Presidente, che per tradizione, in questi collegi il voto del Presidente vale doppio. L’altro aspetto è quello della ‘dimenticanza’ da parte del Parlamento di un onere di conservazione della completezza di questo organo a cui è affidata la forza stessa della Costituzione. Se questo è l’organo che giudica il legislatore è ancora di più il Parlamento che il legislatore, dovrebbe, come dire, autolegittimarsi, compiendo questo suo dovere, questa sua funzione, irrifiutabile di conservare la composizione voluta dalla Costituzione di questo organo. Ma perché tutto questo accade? Accade perché si continua a pensare che la Costituzione, nelle macchine istituzionali che ha imposto, debba essere costantemente contrattata dalle forze, dai gruppi di interesse, dai partiti, dalle ideologie e, se non si trova questo accordo, se non si compie questo negoziato, allora si preferisce l’inerzia. Non si votano tre giudici, perché ora non c’è accordo tra le parti. Io sono contrario all’idea che una democrazia quale è stata disegnata dall’Assemblea costituente negli anni ’46-’47, sia il frutto di una permanente trattativa degli interessi delle parti. Il Parlamento dovrebbe riconoscere a se stesso se vuole che sia restituita la democrazia a questo nostro popolo; deve riconoscere una sorta di libertà di coscienza politica a ciascun parlamentare, quando non sono in gioco scelte, decisioni che, in qualche modo, involgono maggioranze, minoranze o gruppi significativi.
Di fronte alla Costituzione ogni cittadino è se stesso e non soltanto in quanto cittadino, ma in quanto rappresentante eletto dei cittadini; quindi ogni parlamentare dovrebbe decidere in coscienza, con libertà, se votare questo, votare quello. Non attendere che ci sia un accordo perché, a questo punto, insomma, si potrebbe dire che il Parlamento rinuncia alla sua prerogativa fondamentale di essere rappresentativo della nazione, rappresentativo di tutti i concittadini”.

Domanda: Presidente Casavola, c’è una dignità delle persone da tutelare, da conquistare; ma c’è anche una dignità delle istituzioni da difendere e acquisire: il caso della Corte Costituzionale mi pare che sia un esempio di dignità delle istituzioni. In proposito mi vien da chiedermi se non sia appropriato richiamarsi a quel che ha scritto molti anni fa Julien Benda, “Il tradimento dei chierici”…
Non dovrebbe essere anche compito di giuristi e uomini di legge ribellarsi e dire: ‘Signori, eleggete chi volete – sempre nell’ambito delle regole, perché devono essere persone con un certo curriculum ed un certo percorso – però dovete farlo, non potete continuare a rimandare, è vostro obbligo e dovere…’.

Sollevare la questione in termini formali sui giornali, nei dibattiti, creare occasioni di confronto per rendere consapevole il popolo che siamo, lasciato invece vivere nella letterale ignoranza; non vede una dimissione dei compiti, dei doveri del mondo giuridico, professori universitari, giuristi, commentatori, di quanti insomma potrebbero dire e non dicono?

Casavola: “Sì, credo che lei abbia ragione. Ma io torno al punto da cui siamo partiti: occorre che in una democrazia non si dia giustificazione e, quindi, in qualche modo, maggior peso alle posizioni di parte; quando dico di parte non voglio dire niente di offensivo: di parte nel senso che ci sono i partiti, i movimenti, le associazioni, i gruppi di interesse… La società non è una raccolta anonima di monadi: in una democrazia moderna, l’elettore, il cittadino non è solo l’addendo di una somma; al tempo stesso il cittadino non è solo se stesso, o il suo gruppo sociale, il suo gruppo di interesse: è il popolo; e il popolo è la nazione, è la comunità. Probabilmente, queste terminologie che noi ci portiamo appresso, ciascuna con la sua storia (“nazione”, “popolo”, “comunità”), non si sono neanche misurate nei loro significati, l’una con l’altra. Ognuno, dicevo, ha le sue storie: la nazione, il popolo, la comunità…si potrebbero anche identificare le ideologie da cui discendono questi termini. La comunità appartiene al pensiero cristiano moderno, il comunitarismo di Maritain, di Mounier… Che cosa però è penetrato nella Costituzione per cui si possa dire: “La Costituzione ha scelto una terminologia”? A mio modo di vedere ha scelto due termini, in cui queste nozioni che hanno la loro storicità si debbono ‘immergere’: facendo così confluire in maniera utile tutte queste parti di una definizione: ha scelto l’uomo e le formazioni sociali in cui l’uomo evolve. Allora, quando si discute sulle adempienze o inadempienze del Parlamento rispetto al riempimento di tutti i congegni delle grandi macchine istituzionali, si deve tenere presente che il Parlamento deve obbedire alle ragioni dell’uomo e delle sue formazioni sociali… non nell’interesse di questo o quel partito. Chiediamoci: perché siamo alla crisi dei partiti Perché i partiti non hanno più neanche la forza di risalire a questi grandi contenitori, che pure nella loro parzialità avevano la forza non di alludere, ma esprimere le ragioni delle grandi divisioni della società; in fondo i partiti ideologici erano questo… Oggi non c’è più nessuna proiezione nei gruppi politici della morfologia della società; morfologia reale, storica della società”.

Domanda : Lei nel suo libro a un certo punto cita una frase dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: “…il decadimento accompagnò le sottigliezze illegali e circondati di libri di giurisprudenza fummo senza leggi”… Sembra scritta oggi per oggi, per l’Italia che viviamo: dove siamo sgovernati da centomila leggi contraddittorie, confuse, scritte male; e dove tutto può accadere nella perfetta legalità…

Casavola: “E’ così”.

Domanda: E’ per questo che poi cita: “…Felice quella nazione dove le leggi non fossero una scienza…”; Verri, Beccaria, ma anche il Manzoni de ‘La storia della colonna infame’… E poi si arriva a Pascal: “Un popolo ha sempre il diritto di rivedere, di riformare, di cambiare la sua costituzione, ma una generazione non ha il diritto di imporre le sue leggi alla generazioni successive future…”’.

Sgomenta un po’ che queste cose, scritte scritto duecento, trecento anni fa, siano ancora attualissime…

Casavola: “Sì, sconcerta. Devo richiamare la qualità di quelle generazioni e delle persone, attraverso la cui voce, quelle generazioni si esprimevano.

Non dobbiamo dimenticare che veniamo da culture di massa, anche con gli strumenti, in qualche modo privilegiati, dei vari gradi dell’istruzione, dell’articolazione orientativa, delle varie scuole, delle università… se ci riferiamo ai secoli dei lumi, quella era la cultura elitaria, nel senso più pieno del termine: vale a dire, ognuno si costruiva da sé il suo mondo, i sui libri, i suoi autori, e di conseguenza le suggestioni dei suoi ideali. Quello che accadde era il tentativo di rivendicare uno spazio, oltre la riflessione dell’élite che comprendesse la storicità degli spazi sociali, le generazioni. Una tutela forse eccessiva, che si intendeva dare, rispetto ad una costituzione e a una legislazione. Questa concezione, diciamo, ‘attualista’ del diritto è una fase rivoluzionaria, delle grandi costituzioni rivoluzionarie, contrasta con un’idea che pur nacque all’interno della Rivoluzione, espressa nel Comitato che per più di un ventennio lavorò alla conformazione del Codice di Napoleone; e cioè che le leggi hanno il diritto di diventare antiche”.

Domanda: Oggi, questo problema ce lo poniamo?

Casavola: “Credo che ce lo poniamo senza la necessaria chiarezza; senza chiarezza teorica, e soprattutto senza chiarezza storica. Oggi si dice che la Costituzione è invecchiata, la si deve riformare, ammodernare… È come se la rifiutassimo, per come era stata pensata e votata dall’Assemblea costituente.

Questo è un errore della cultura contemporanea. Ha perso il senso della storicità di ogni atto umano, e soprattutto di ogni atto umano destinato ad ordinare la vita comune; non è solo la vita di una nazione, ora è la vita di una sovranazione, la vita di una comunità politica mondiale. Questa frase: ‘comunità politico-mondiale’ è di Giovanni XXIII, nella “Pacem in Terris”: il richiamo del Papa per la tutela dei diritti umani, e la ricerca della pace comune: “Adesso ogni essere umano è il membro di una comunità politica mondiale”; purtroppo, questo fine, questa meta, sembra non essere penetrata fino in fondo nella coscienza delle classi dirigenti di oggi”.

Domanda: “Torniamo al suo libro… C’è un capitolo, il terzo, intitolato “Legalità”. Legalità vuole dire tante cose. Anche i dittatori, spesso, sono legalitari: nel senso che i loro abomini, i loro abusi, i loro orrori, hanno cura di ‘legalizzarli’, predispongono normative ad hoc che li giustifichino. C’è un passaggio che mi ha colpito: quello dove cita Socrate, si accinge a bere la cicuta, il suo allievo Critone lo esorta a fuggire, a sottrarsi alla ingiusta condanna a morte; e Socrate risponde all’appello di Critone: ‘Non soltanto con argomenti di Ragion di Stato che se le sentenze dei giudici ancorché ingiuste restassero ineseguite, in breve tempo lo Stato si dissolverebbe o che le leggi vanno obbedite fino a quando, dimostrate nell’ingiustizia, non siano riformate ma con profondissima idea della patria’.

La Ragione di Stato è il primo concetto che le chiedo di chiarirmi, perché ha inserito questo termine, questa locuzione, in quest’ambito. C’è anche, mi sembra, un elogio della disobbedienza civile: del mio diritto di cittadino, di ritenere una legge ingiusta, esigere che sia applicata su di me che, consapevolmente, la disobbedisco per fare esplodere una contraddizione.
Se poi viene riconosciuto che ho ragione, la legge naturalmente deve essere cambiata, e comunque la violo consapevolmente, palesemente, pronto a pagarne le conseguenze…Ma perché Ragione di Stato?

Casavola: “Ragione di Stato perché se si adottasse da parte di un cittadino una condotta di rifiuto dell’obbedienza alle leggi dello Stato e alle decisioni dei giudici che applicano quelle leggi, lo Stato non finirebbe di esistere”.

Domanda: Questo nel caso in cui io disobbedisca in maniera occulta; ma se disobbedisco in maniera palese, e riconosco l’autorità dello Stato e sono disposto a subirne le conseguenze del mio gesto, non è di fatto un riconoscere la legittimità dello Stato?

Casavola: “Sì, però, la Ragion di Stato, a questo punto, significa che il cittadino, che considera ingiusta la legge dello Stato, deve adoperarsi all’interno degli organi previsti dalla Costituzione dello Stato, perché quella legge sia caducata o sia riformata”.

Domanda: “Mi faccio processare dallo Stato…”.

Casavola: “Appunto… Nell’ipotesi di Socrate, c’è un elemento in più, che non è riconducibile alla legalità come obbedienza, o regolare procedimento di caducazione di una legge considerata ingiusta. C’è qualcosa di più, legata all’esperienza non più soltanto politica, ma esistenziale, di ogni cittadino.
Che cos’è la legge dello Stato? È la regolarità imposta alla vita quotidiana, a cominciare dal matrimonio dei propri genitori, dalla nascita dentro la famiglia regolare, dall’adempimento dei doveri di allevamento, di educazione, di immissione in una ordinata vita collettiva da parte dei genitori. Quindi la vita con i propri concittadini, dentro una terra che si è liberamente scelta e preferita ad ogni altra. Così dice Socrate:  ‘Questa terra così bella che l’ho preferita a qualunque altra’; e quindi mi impedisce anche l’esercizio di una facoltà, che pure è riconosciuta dalla legge: l’esilio per sottrarmi alla ingiusta punizione dello Stato”.

Domanda: Come possiamo definire questa legalità?

Casavola: “È l’amore di patria e non per nulla oggi si torna a parlare di patriottismo costituzionale. Bisogna saper identificare la patria attraverso tutte queste articolazioni dell’esistenza individuale: i genitori, la famiglia, i figli…”.

Domanda: Presidente Casavola, quando dice amor di patria si riferisce ai confini di uno Stato o si riferisce a qualcosa di più ampio?

Casavola: “Nell’accezione di Socrate non c’è dubbio, è da intendere nell’accezione ristretta, propria dei confini, neppure di uno Stato, è il territorio di una città, come al suo tempo erano le città”.

Domanda: E invece in una concezione più legata all’oggi? Possiamo chiamarla ‘umanità’, questo ‘amor di patria’?

Casavola: “Possiamo benissimo farlo. Ma a questo punto, che cosa ha portato a questa straordinaria evoluzione, che dovremmo chiamare rivoluzione? È stato il Cristianesimo. È stata la polemica ‘antilegalistica di Gesù Cristo; il rifiuto dell’idea che la vita comune possa essere regolata da una Torah secondo la tradizione ebraica, vale a dire la legge di Dio o da una qualunque legge terrena”.

Domanda: Lei in sostanza cita l’evangelico ‘Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio’. E’ il riconoscimento di un’autorità che c’è; ma è anche un chiedere a quel potere di essere rispettoso delle sue leggi e di applicarle, di non essere lui per primo a disattenderle…

Casavola: “Indubbiamente. Significa che c’è una legge, va rispettata, obbedita, ma non deve contrastare con la legge di Dio: questo, in fondo, è il grande dramma storico del mondo umano. Introdotta questa distinzione ne deriva che Cesare non può essere obbedito fino al punto che si disobbedisca Dio; e la disobbedienza a Cesare diventa il martirio, diventa obbligatorio, diventa un obbligo, se quella legge comporta il disobbedire alla legge di Dio”.

Domanda: Si può anche fare il discorso contrario: la legge di Dio non può diventare un qualcosa che interferisce con Cesare, perché altrimenti, estremizzo, si scade nel fanatismo islamico dei giorni nostri. Insomma non si può mescolare fede con Stato di diritto e diritti di ciascuno e di tutti.

Casavola: “Non c’è dubbio; in proposito si può citare Sant’Agostino: ‘Non bisogna considerare la Legge di Dio per principio, contraria alla legge di Cesare, anzi. Diano i cristiani, i soldati, i giudici, gli esattori, i coniugi, i figli che realizzano l’ordine voluto dalle leggi di Cesare’. Ecco, questo è il punto: l’orizzonte dentro cui si muovono questi due poli, Cesare e Dio, è un orizzonte di concordia, ma non di intersezione o, come dire, egemonica. Purtroppo questa è la storia d’Europa; di volta in volta lo Stato che ha tentato di assoggettare la Chiesa; e la Chiesa di assoggettare lo Stato. Uno dei grandi problemi su cui noi non riflettiamo a sufficienza è quello della laicità: non è solo la laicità dello Stato, è anche la laicità della Chiesa. La Chiesa che deve in qualche modo comprendere e rispettare le ragioni dello Stato, così come lo Stato la ragione della Chiesa”.

Domanda: Il cavourriano ‘Libera Chiesa in libero Stato’…

Casavola: “Sì, se si dà a questa formula cavouriana il significato che probabilmente lui gli dava. No sempre accade…”.

Domanda: Ognuno poi divaga in interpretazioni le più varie…Una sorta di pelle di zigrino…

Casavola: “Esattamente. Ognuno se la tira a suo piacimento”.

Domanda: Abbiamo parlato della Dignità, abbiamo parlato della Ragione di Stato, che non necessariamente ha quella connotazione oscura, ignobile, che spesso, “arcana imperi” di tacitiana memoria… Ma come si può conciliare una Ragione di Stato con il diritto umano alla conoscenza? Perché io come cittadino, come persona, ho il diritto di sapere; ma è un diritto che evidentemente va regolato…Questione complessa direi; eppure no la si può eludere. Come ne usciamo?

Casavola: “Come ne usciamo… La Ragione di Stato impone la riservatezza o il segreto addirittura, su decisioni che lo Stato assume nell’interesse della collettività di cui ha la responsabilità di governo, cioè nell’interesse di una nazione, nell’interesse di un popolo, ecc.; questo per le circostanze più varie: una guerra che sta per essere dichiarata o che si sta combattendo; per il contrasto con la criminalità organizzata; per ragioni anche di giusta competizione e confronto con altri Stati… E’ una segretezza che va rispettata, tutelata. Perché la pubblica notizia potrebbe fare fallire un piano di governo, anche il più legittimo (non necessariamente bisogna pensare a trame oscure e non convergenti al giusto interesse del popolo su cui uno Stato sovraintende).

Però, dobbiamo anche renderci conto che ci sono varie scale di questa riservatezza; un conto è il segreto che gli organi di intelligence devono necessariamente avere per poter funzionare, rispettare e far rispettare; un conto è il tenere all’oscuro una collettività che invece politicamente sarebbe “facultata”, quando non si riconosca addirittura un vero e proprio diritto nei suoi organi di rappresentanza politica, a fare uscire lo Stato, i governanti, da questa ombra del segreto. E’ qui che nasce una questione: fino a che punto la Ragion di Stato sia tollerabile, e quando invece va combattuta con gli strumenti della pubblicità, della stampa… Bisogna avere una idea della eticità dello Stato, che comprenda anche la Ragion di Stato, che la giustifichi quando è presa in ordine al buon interesse, alla giusta ragione nella vita collettiva. Non si deve semplificare la questione della Ragion di Stato in termini negativi.

Occorre che la Ragione di Stato sia vista storicamente, nelle specifiche circostanze e fasi. La vita pubblica non deve avere segreti, che restano in eterno, oscuri; deve venire il momento della chiarificazione”.

Domanda: Negli anni Cinquanta del secolo scorso c’era un’associazione per la libertà della cultura animata da Ignazio Silone, da Nicola Chiaromonte, ma poi, sotto gli auspici di Benedetto Croce… In quegli anni c’era la guerra fredda, si era appena usciti dal nazismo e dal fascismo, c’era la necessità si sostenere di sostenere l’antifascismo liberale e democratico. Ora siamo in tutt’altro contesto, anche se la democrazia, o se si vuole, le democrazie mostrano tutti i loro limiti, e ci si interroga su quello che sono, e quello che dovrebbero essere… Un’analoga associazione per la libertà della e nella cultura non crede che avrebbe una sua ragion d’essere? E gli intellettuali, quelli che si considerano tali, non dovrebbero riappropriarsi della loro funzione, quella di pensare con autonomia e indipendenza?

Casavola: “Capisco la polarità di questo suo ragionamento: da un lato l’associazione e dall’altro la solitudine. Occorre che non siano soltanto degli intellettuali nel senso, ormai, voglio dire, quasi spregiativo che questo termine sta assumendo; vale a dire degli ‘acculturati’… Un grande filosofo cristiano, Giuseppe Capograssi, parlava degli “addottrinati”, certamente con un’intenzione non positiva. Occorre recuperare una autorevolezza morale.
Temo che queste figure, se cominciano ad entrare dentro delle associazioni, questa autorevolezza morale verrebbe pregiudicata. D’altra parte riconosco che esiste una questione che possiamo definire di ‘solitudine’; però va anche detto che tutti le persone che sono state in grado di predicare ai loro simili in maniera persuasiva, sono state persone sole. Se li pensiamo in un’ideale galleria sono stati degli uomini soli; molti, penso al Mahatma Gandhi, sono stati perfino uccisi”.

Domanda: “Una cosa da mettere in conto insomma…”.

Casavola: “È da mettere in conto”.

Domanda: Ancora dal suo libro, il capitolo ‘Leggi e giustizia’… A un certo punto lei cita il Processo di Norimberga. Niente da dire sul fatto che quei criminali nazisti siano stati giudicati come sono stati giudicati; anzi, i Paesi vincitori se hanno una colpa, è quella di avere innanzitutto accettato Monaco e di aver ritardato, e quindi di aver aggravato la situazione; poi di aver protetto, aiutato, utilizzato molti di quei criminali. Nessuna indulgenza, quindi, per quei personaggi. Però dal punto di vista tecnico, il processo di Norimberga è stato anche un qualcosa di molto discutibile: si applicava una legge man mano che la si faceva, perché nessuno prima aveva neanche concepito che potesse accadere quello che è accaduto; quei giudici si sono trovati a dover creare un diritto che poi hanno applicato…

Casavola: “Lei ha colto perfettamente nel segno. C’è anche qui una coppia dialettica, ‘legge-giustizia’. La giustizia non è, come aveva sperato la civiltà liberale, il momento di applicazione della legge… Perché nella civiltà liberale si è arrivati a pensare che la giustizia fosse affidata a dei giudici che dovevano essere soltanto la parola della legge? La civiltà liberale era arrivata ad una costruzione di primato assoluto del legislatore e dobbiamo anche capire storicamente perché. Perché il legislatore era il successore del sovrano.

Come il sovrano aveva l’arbitrio assoluto, così il legislatore aveva in qualche modo una sua volontà assoluta, e il giudice realizzava la giustizia soltanto applicando le parole del legislatore. Cosa che ovviamente non è possibile, perché l’attività del giudice è un’attività di interpretazione; ma anche perché in alcuni testi costituzionali, nel passaggio dalle monarchie assolute alle monarchie liberali (come per esempio dello Statuto di Carlo Alberto), si dice che la giustizia emana dal Re, ed è applicata dai giudici suoi delegati… Perché si vuole stabilire una sorta di gerarchia tra la legge e la giustizia. Allora ci si accorge, dopo quella immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale, che la legge si era ridotta nell’esperienza nazista ad un ‘biglietto del Furher’… E allora dov’è la legge? Non c’è né la volontà del Re, né la decisione di un Parlamento. Siamo all’arbitrio”.

(trascrizione non rivista dall’autore)

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Valter Vecellio intervista Francesco Paolo Casavola, presidente emerito della Corte Costituzionale.

L’intervista è stata registrata domenica 22 novembre 2015 alle 11:00.

Nel corso dell’intervista sono stati trattati i seguenti temi: Associazioni, Beccaria, Carcere, Casavola, Cattolicesimo, Centro, Corte Costituzionale, Corte Di Giustizia Europea, Corte Europea Dei Diritti Dell’uomo, Costituente, Costituzione, Cristianesimo, Democrazia, Destra, Dirigenti, Diritti Civili, Diritti Umani, Diritto, Diritto Internazionale, Disobbedienza Civile, Europa, Francia, Gandhi, Germania, Giovanni Xxiii, Giustizia, Globalizzazione, Intellettuali, Istituzioni, Italia, Legge, Liberalismo, Libro, Manzoni, Nazionalismo, Nonviolenza, Onu, Pace, Parlamento, Partiti, Partito Radicale Nonviolento, Politica, Religione, Riservatezza, Rivoluzione, Sessualita’, Sinistra, Societa’, Socrate, Stampa, Stato, Storia, Tortura, Ue, Usa.

Fonte: Radio Radicale

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Il professor Francesco Paolo Casavola è un giurista che non ha bisogno di presentazioni. Presidente emerito della Corte Costituzionale, autore di una quantità di opere, ci limitiamo a segnalare “Tornare alle radici. Per la ricostruzione delle basi della democrazia” pubblicato da Cittadella Editrice, 11,80 euro; questo libro sarà un po’ la stella polare di questa nostra conversazione.

Domanda: Cominciamo proprio dalle prime pagine. C’è un capitolo: “La dignità dell’uomo”. È interessante che abbia voluto affrontare, sin dalle prime pagine, questo concetto: la dignità dell’uomo… Vorrei cominciare da qui

Casavola: “Perché proprio negli anni a cui appartiene la mia generazione, si è riscoperta la dignità dell’uomo; a partire dalla Costituzione del 1949, che si usa chiamare “di Bonn”: la legge fondamentale della Germania Federale. Si apre con questo articolo: “La dignità dell’uomo è intangibile; ogni potere pubblico è tenuto a difenderla”. Di solito come si aprono le costituzioni? Con una sorta di autodefinizione della forma dello Stato. Per esempio, la nostra Costituzione si apre con un articolo che dice: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Non si pensa alla persona, alla dignità della persona umana. Probabilmente ogni Costituzione raccoglie la storia di un popolo; per quel che riguarda la Germania, la sua storia sanguinosa, a partire dal 1933, da quando il nazismo è andato al potere, calpesta la dignità umana come non è accaduto in nessun’altra parte della Terra. Ecco allora che la coscienza profonda di questo popolo si esprime proprio con la rivendicazione della dignità dell’uomo.

Dopo questa forma così energica di manifestazione di fede nell’uomo, anche le dichiarazioni internazionali, la Carta dell’ONU, ecc., hanno ricondotto questa immagine della dignità dell’uomo. Ma la dignità dell’uomo appartiene anche alla tradizione cristiana, che è la tradizione della civiltà europea: perché quando San Paolo fa la prima, più radicale definizione della dignità dell’uomo, dice: “Non c’è più né Giudeo, né Greco; non c’è più né libero, né servo; non c’è più né un uomo, né donna”. Badate che una definizione di questo genere…

Dobbiamo arrivare ai tempi nostri, ma mai nella formulazione così…”.

Domanda: C’è il mercante di Venezia di William Shakespeare, che dice: ‘Il mio sangue è rosso quanto il tuo’… Voglio dire: questi concetti li ritroviamo in una quantità di classici…

Casavola: “Sono d’accordo. Siamo però dentro ancora all’uso della metafora biologica, no? Ma dire che non ci sono più le classificazioni della società umana, non c’è più la nazione, non c’è più la proprietà, non c’è più neppure il sesso…
Tutto ciò mi pare sia un insegnamento straordinario. E perché? Perché si pensa all’uomo come creato da Dio, e con cui Dio ha subito dialogato, dal momento della Creazione. Allora, ecco che, cito per esempio Pico della Mirandola autore di una oratio sulla dignità dell’uomo, quando si riflette su questo rapporto dialogico tra Dio creatore e l’uomo da lui creato, non si può che pensare a questa ‘costruzione’ ereditata fin dall’antichità, ma in termini ambigui. L’uomo è caratterizzato dalla sua dignità”.

Domanda: Perché dice ‘in termini ambigui’?

Casavola: “Perché le forme con cui è stato accolto questo termine sono varie. Per esempio, le gerarchie delle grandi istituzioni erano chiamate notitia dignitatum. Bisognava conoscere il rango delle persone. Si deve arrivare al Medioevo cristiano per immaginare un altro significato: che la dignità vuol dire la non soggezione di nessuno ad altri che non sia il sovrano; cioè soltanto il sovrano ha sotto di sé degli uomini degni. Ora, perché c’è stata questa lunga eclisse di questo termine? Non ha giocato, per esempio, nella fase della scoperta rivoluzionaria del popolo, in luogo del sovrano.
Il popolo si è, come dire, compreso, si è autodefinito dentro il trinomio “libertà, eguaglianza, fraternità”, ma non ha rivendicato, per ciascuno dei suoi componenti, indipendentemente dallo stato sociale, dalla nazionalità, dal sesso, non ha rivendicato la dignità”.

Domanda: Questo in Europa. Negli Stati Uniti la Costituzione americana non la rivendica questa dignità?

Casavola: “La rivendica in due modi. Il primo è dovuto al fatto che le élite con una preparazione giuridico-politica del mondo americano, del tardo Settecento, avevano avuto conoscenza dei giuristi romani; dunque, da questo punto di vista, anche nelle Carte costituzionali settecentesche americane, c’è questa profonda persuasione, a volte dichiarata: “Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali”. In questa libertà ed eguaglianza già si può intravedere l’idea, che poi sarà molto più esplicita e più consapevole, della dignità umana. La seconda origine di questa idea è in un emendamento della Costituzione Federale quando si nega al Congresso la facoltà di legiferare in termini propri per la materia della stampa e della materia della religione. Cos’è in fondo la libertà di stampa? È la dignità del pensiero dell’uomo. L’uomo deve pensare in modo da non subire coercizione alcuna da altri. Quindi, ecco, che riemerge questa idea, anche questa, del Medioevo cristiano: non deve esserci soggezione alcuna, rispetto ad alcun potere. Dall’altra parte, la libertà della religione è la libertà della coscienza umana. Quindi pensiero e coscienza sono il contenuto di questa idea che si va ricostituendo nella riflessione non solo delle élite con responsabilità di governo; ma anche nella forma con cui la collettività riflette sulla storia che sta vivendo. Ripeto: libertà del pensiero e libertà della coscienza. Sono due luoghi intangibili”.

Domanda: Per venire a tempi più vicini: la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e dell’Unione Europea, proclamata a Nizza nel 2000; l’Italia ne fa parte. Cito il suo libro dove lei ricorda gli articoli che proibiscono ‘la tortura e le pene o trattamenti inumani e degradanti’. Evidentemente anche l’Italia recepisce questo principio che sfregia, che vìola la dignità intesa come l’ha esposta finora. Eppure l’Italia, ancora oggi, non ha una normativa che punisca la tortura, i trattamenti inumani e degradanti; anzi, più volte e ripetutamente viene condannata dalle Corti di giustizia europea. Abbiamo insomma lo Stato italiano che va contro la sua stessa legge, la vìola. In definitiva viene meno al dovere di tutelare la dignità dell’uomo…

Casavola: “Piuttosto che pensare ad una, come dire, non obbedienza, a un principio che invece è cogente, penso a dei ritardi; che non sono meno colpevoli, ma sono comportamenti omissivi. Ovviamente consapevoli…
Però, che cosa significa che il legislatore ordinario non abbia pensato alla tortura, non abbia pensato a misure degradanti la dignità umana? Che bisogna ancora andare a scuola”.

Domanda: Scusi l’interruzione: se il legislatore agisce in questo modo (o meglio, non agisce), non per un calcolo, per un ragionamento, ma per una sorta di riflesso, non è perfino più grave?

Casavola: “Sì, è vero. Sono incline ad accogliere questa sua valutazione: rinvia alla impreparazione delle classi dirigenti. Le classi dirigenti di un tempo, quelle che si formavano in quella temperie culturale che poi ha portato alla Rivoluzione francese, alla Rivoluzione americana, riflettevano di più; pensavano di più… si giovavano dei silenzi della loro vita, piuttosto che dei clamori di quella contemporanea”.

Domanda: Presidente, non credo che lei sia a conoscenza del fatto che un gruppo di radicali sta conducendo uno sciopero della fame, di dialogo con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e con il Presidente del Consiglio Matteo Renzi; cercano di sollevare una questione, quello del plenum della Corte Costituzionale incompleto. La Corte Costituzionale è un organo importantissimo nell’edificio dello Stato: deve valutare di volta in volta la costituzionalità di una legge, se si armonizza con quanto prevede la Costituzione. Sembra niente ma è una cosa enorme. Quando dico ‘sembra niente’ è perché poco ce lo insegnano, poco ci viene raccontato, poco ci viene spiegato. La Costituzione codifica, se così posso dire, che la Corte Costituzionale è composta da quindici persone: cinque sono nominate dal presidente della Repubblica, cinque eletti dagli organi supremi della magistratura; cinque sono di competenza del Parlamento (che non riesce a mettersi d’accordo); e infatti tre membri, da oltre un anno, non sono stati eletti. Per cui si vìola la Carta costituzionale: prevede che debbano essere quindici; ma anche dal punto di vista sostanziale: a parte un carico di lavoro maggiore ai dodici che ci sono, o un rallentamento anche del lavoro, si potrebbe eccepire anche nel merito: perché, magari, certe sentenze vengono prese magari sette a cinque; se ci fossero gli altri tre, gli equilibri potrebbero essere diversi. Quindi anche nel merito delle decisioni…

Allora come è possibile che una cosa del genere non sia tra i punti principali di un’agenda di governo, com’è possibile che sia disatteso, come di fatto è, l’appello che ha rivolto il presidente Mattarella al Parlamento: “Sanate questo vulnus”. Come è possibile che ci sia questa situazione?

Casavola: “Le voglio rispondere, e in parte contravvengo a un mio codice di comportamento, quello di non discutere mai di questioni relative alla Corte costituzionale perché di quell’organo sono stato componente. Ma questa sua domanda ha un suo perimetro che mi consente di derogare a questo mio proposito. Lei tocca giustamente due aspetti. Uno è di carattere tecnico: voglio dire che non solo ci può essere il caso che lei ha citato, del sette a cinque, ma ci può essere anche il sei  a sei: con la prevalenza del voto del Presidente, che per tradizione, in questi collegi il voto del Presidente vale doppio. L’altro aspetto è quello della ‘dimenticanza’ da parte del Parlamento di un onere di conservazione della completezza di questo organo a cui è affidata la forza stessa della Costituzione. Se questo è l’organo che giudica il legislatore è ancora di più il Parlamento che il legislatore, dovrebbe, come dire, autolegittimarsi, compiendo questo suo dovere, questa sua funzione, irrifiutabile di conservare la composizione voluta dalla Costituzione di questo organo. Ma perché tutto questo accade? Accade perché si continua a pensare che la Costituzione, nelle macchine istituzionali che ha imposto, debba essere costantemente contrattata dalle forze, dai gruppi di interesse, dai partiti, dalle ideologie e, se non si trova questo accordo, se non si compie questo negoziato, allora si preferisce l’inerzia. Non si votano tre giudici, perché ora non c’è accordo tra le parti. Io sono contrario all’idea che una democrazia quale è stata disegnata dall’Assemblea costituente negli anni ’46-’47, sia il frutto di una permanente trattativa degli interessi delle parti. Il Parlamento dovrebbe riconoscere a se stesso se vuole che sia restituita la democrazia a questo nostro popolo; deve riconoscere una sorta di libertà di coscienza politica a ciascun parlamentare, quando non sono in gioco scelte, decisioni che, in qualche modo, involgono maggioranze, minoranze o gruppi significativi.
Di fronte alla Costituzione ogni cittadino è se stesso e non soltanto in quanto cittadino, ma in quanto rappresentante eletto dei cittadini; quindi ogni parlamentare dovrebbe decidere in coscienza, con libertà, se votare questo, votare quello. Non attendere che ci sia un accordo perché, a questo punto, insomma, si potrebbe dire che il Parlamento rinuncia alla sua prerogativa fondamentale di essere rappresentativo della nazione, rappresentativo di tutti i concittadini”.

Domanda: Presidente Casavola, c’è una dignità delle persone da tutelare, da conquistare; ma c’è anche una dignità delle istituzioni da difendere e acquisire: il caso della Corte Costituzionale mi pare che sia un esempio di dignità delle istituzioni. In proposito mi vien da chiedermi se non sia appropriato richiamarsi a quel che ha scritto molti anni fa Julien Benda, “Il tradimento dei chierici”…
Non dovrebbe essere anche compito di giuristi e uomini di legge ribellarsi e dire: ‘Signori, eleggete chi volete – sempre nell’ambito delle regole, perché devono essere persone con un certo curriculum ed un certo percorso – però dovete farlo, non potete continuare a rimandare, è vostro obbligo e dovere…’.

Sollevare la questione in termini formali sui giornali, nei dibattiti, creare occasioni di confronto per rendere consapevole il popolo che siamo, lasciato invece vivere nella letterale ignoranza; non vede una dimissione dei compiti, dei doveri del mondo giuridico, professori universitari, giuristi, commentatori, di quanti insomma potrebbero dire e non dicono?

Casavola: “Sì, credo che lei abbia ragione. Ma io torno al punto da cui siamo partiti: occorre che in una democrazia non si dia giustificazione e, quindi, in qualche modo, maggior peso alle posizioni di parte; quando dico di parte non voglio dire niente di offensivo: di parte nel senso che ci sono i partiti, i movimenti, le associazioni, i gruppi di interesse… La società non è una raccolta anonima di monadi: in una democrazia moderna, l’elettore, il cittadino non è solo l’addendo di una somma; al tempo stesso il cittadino non è solo se stesso, o il suo gruppo sociale, il suo gruppo di interesse: è il popolo; e il popolo è la nazione, è la comunità. Probabilmente, queste terminologie che noi ci portiamo appresso, ciascuna con la sua storia (“nazione”, “popolo”, “comunità”), non si sono neanche misurate nei loro significati, l’una con l’altra. Ognuno, dicevo, ha le sue storie: la nazione, il popolo, la comunità…si potrebbero anche identificare le ideologie da cui discendono questi termini. La comunità appartiene al pensiero cristiano moderno, il comunitarismo di Maritain, di Mounier… Che cosa però è penetrato nella Costituzione per cui si possa dire: “La Costituzione ha scelto una terminologia”? A mio modo di vedere ha scelto due termini, in cui queste nozioni che hanno la loro storicità si debbono ‘immergere’: facendo così confluire in maniera utile tutte queste parti di una definizione: ha scelto l’uomo e le formazioni sociali in cui l’uomo evolve. Allora, quando si discute sulle adempienze o inadempienze del Parlamento rispetto al riempimento di tutti i congegni delle grandi macchine istituzionali, si deve tenere presente che il Parlamento deve obbedire alle ragioni dell’uomo e delle sue formazioni sociali… non nell’interesse di questo o quel partito. Chiediamoci: perché siamo alla crisi dei partiti Perché i partiti non hanno più neanche la forza di risalire a questi grandi contenitori, che pure nella loro parzialità avevano la forza non di alludere, ma esprimere le ragioni delle grandi divisioni della società; in fondo i partiti ideologici erano questo… Oggi non c’è più nessuna proiezione nei gruppi politici della morfologia della società; morfologia reale, storica della società”.

Domanda : Lei nel suo libro a un certo punto cita una frase dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: “…il decadimento accompagnò le sottigliezze illegali e circondati di libri di giurisprudenza fummo senza leggi”… Sembra scritta oggi per oggi, per l’Italia che viviamo: dove siamo sgovernati da centomila leggi contraddittorie, confuse, scritte male; e dove tutto può accadere nella perfetta legalità…

Casavola: “E’ così”.

Domanda: E’ per questo che poi cita: “…Felice quella nazione dove le leggi non fossero una scienza…”; Verri, Beccaria, ma anche il Manzoni de ‘La storia della colonna infame’… E poi si arriva a Pascal: “Un popolo ha sempre il diritto di rivedere, di riformare, di cambiare la sua costituzione, ma una generazione non ha il diritto di imporre le sue leggi alla generazioni successive future…”’.

Sgomenta un po’ che queste cose, scritte scritto duecento, trecento anni fa, siano ancora attualissime…

Casavola: “Sì, sconcerta. Devo richiamare la qualità di quelle generazioni e delle persone, attraverso la cui voce, quelle generazioni si esprimevano.

Non dobbiamo dimenticare che veniamo da culture di massa, anche con gli strumenti, in qualche modo privilegiati, dei vari gradi dell’istruzione, dell’articolazione orientativa, delle varie scuole, delle università… se ci riferiamo ai secoli dei lumi, quella era la cultura elitaria, nel senso più pieno del termine: vale a dire, ognuno si costruiva da sé il suo mondo, i sui libri, i suoi autori, e di conseguenza le suggestioni dei suoi ideali. Quello che accadde era il tentativo di rivendicare uno spazio, oltre la riflessione dell’élite che comprendesse la storicità degli spazi sociali, le generazioni. Una tutela forse eccessiva, che si intendeva dare, rispetto ad una costituzione e a una legislazione. Questa concezione, diciamo, ‘attualista’ del diritto è una fase rivoluzionaria, delle grandi costituzioni rivoluzionarie, contrasta con un’idea che pur nacque all’interno della Rivoluzione, espressa nel Comitato che per più di un ventennio lavorò alla conformazione del Codice di Napoleone; e cioè che le leggi hanno il diritto di diventare antiche”.

Domanda: Oggi, questo problema ce lo poniamo?

Casavola: “Credo che ce lo poniamo senza la necessaria chiarezza; senza chiarezza teorica, e soprattutto senza chiarezza storica. Oggi si dice che la Costituzione è invecchiata, la si deve riformare, ammodernare… È come se la rifiutassimo, per come era stata pensata e votata dall’Assemblea costituente.

Questo è un errore della cultura contemporanea. Ha perso il senso della storicità di ogni atto umano, e soprattutto di ogni atto umano destinato ad ordinare la vita comune; non è solo la vita di una nazione, ora è la vita di una sovranazione, la vita di una comunità politica mondiale. Questa frase: ‘comunità politico-mondiale’ è di Giovanni XXIII, nella “Pacem in Terris”: il richiamo del Papa per la tutela dei diritti umani, e la ricerca della pace comune: “Adesso ogni essere umano è il membro di una comunità politica mondiale”; purtroppo, questo fine, questa meta, sembra non essere penetrata fino in fondo nella coscienza delle classi dirigenti di oggi”.

Domanda: “Torniamo al suo libro… C’è un capitolo, il terzo, intitolato “Legalità”. Legalità vuole dire tante cose. Anche i dittatori, spesso, sono legalitari: nel senso che i loro abomini, i loro abusi, i loro orrori, hanno cura di ‘legalizzarli’, predispongono normative ad hoc che li giustifichino. C’è un passaggio che mi ha colpito: quello dove cita Socrate, si accinge a bere la cicuta, il suo allievo Critone lo esorta a fuggire, a sottrarsi alla ingiusta condanna a morte; e Socrate risponde all’appello di Critone: ‘Non soltanto con argomenti di Ragion di Stato che se le sentenze dei giudici ancorché ingiuste restassero ineseguite, in breve tempo lo Stato si dissolverebbe o che le leggi vanno obbedite fino a quando, dimostrate nell’ingiustizia, non siano riformate ma con profondissima idea della patria’.

La Ragione di Stato è il primo concetto che le chiedo di chiarirmi, perché ha inserito questo termine, questa locuzione, in quest’ambito. C’è anche, mi sembra, un elogio della disobbedienza civile: del mio diritto di cittadino, di ritenere una legge ingiusta, esigere che sia applicata su di me che, consapevolmente, la disobbedisco per fare esplodere una contraddizione.
Se poi viene riconosciuto che ho ragione, la legge naturalmente deve essere cambiata, e comunque la violo consapevolmente, palesemente, pronto a pagarne le conseguenze…Ma perché Ragione di Stato?

Casavola: “Ragione di Stato perché se si adottasse da parte di un cittadino una condotta di rifiuto dell’obbedienza alle leggi dello Stato e alle decisioni dei giudici che applicano quelle leggi, lo Stato non finirebbe di esistere”.

Domanda: Questo nel caso in cui io disobbedisca in maniera occulta; ma se disobbedisco in maniera palese, e riconosco l’autorità dello Stato e sono disposto a subirne le conseguenze del mio gesto, non è di fatto un riconoscere la legittimità dello Stato?

Casavola: “Sì, però, la Ragion di Stato, a questo punto, significa che il cittadino, che considera ingiusta la legge dello Stato, deve adoperarsi all’interno degli organi previsti dalla Costituzione dello Stato, perché quella legge sia caducata o sia riformata”.

Domanda: “Mi faccio processare dallo Stato…”.

Casavola: “Appunto… Nell’ipotesi di Socrate, c’è un elemento in più, che non è riconducibile alla legalità come obbedienza, o regolare procedimento di caducazione di una legge considerata ingiusta. C’è qualcosa di più, legata all’esperienza non più soltanto politica, ma esistenziale, di ogni cittadino.
Che cos’è la legge dello Stato? È la regolarità imposta alla vita quotidiana, a cominciare dal matrimonio dei propri genitori, dalla nascita dentro la famiglia regolare, dall’adempimento dei doveri di allevamento, di educazione, di immissione in una ordinata vita collettiva da parte dei genitori. Quindi la vita con i propri concittadini, dentro una terra che si è liberamente scelta e preferita ad ogni altra. Così dice Socrate:  ‘Questa terra così bella che l’ho preferita a qualunque altra’; e quindi mi impedisce anche l’esercizio di una facoltà, che pure è riconosciuta dalla legge: l’esilio per sottrarmi alla ingiusta punizione dello Stato”.

Domanda: Come possiamo definire questa legalità?

Casavola: “È l’amore di patria e non per nulla oggi si torna a parlare di patriottismo costituzionale. Bisogna saper identificare la patria attraverso tutte queste articolazioni dell’esistenza individuale: i genitori, la famiglia, i figli…”.

Domanda: Presidente Casavola, quando dice amor di patria si riferisce ai confini di uno Stato o si riferisce a qualcosa di più ampio?

Casavola: “Nell’accezione di Socrate non c’è dubbio, è da intendere nell’accezione ristretta, propria dei confini, neppure di uno Stato, è il territorio di una città, come al suo tempo erano le città”.

Domanda: E invece in una concezione più legata all’oggi? Possiamo chiamarla ‘umanità’, questo ‘amor di patria’?

Casavola: “Possiamo benissimo farlo. Ma a questo punto, che cosa ha portato a questa straordinaria evoluzione, che dovremmo chiamare rivoluzione? È stato il Cristianesimo. È stata la polemica ‘antilegalistica di Gesù Cristo; il rifiuto dell’idea che la vita comune possa essere regolata da una Torah secondo la tradizione ebraica, vale a dire la legge di Dio o da una qualunque legge terrena”.

Domanda: Lei in sostanza cita l’evangelico ‘Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio’. E’ il riconoscimento di un’autorità che c’è; ma è anche un chiedere a quel potere di essere rispettoso delle sue leggi e di applicarle, di non essere lui per primo a disattenderle…

Casavola: “Indubbiamente. Significa che c’è una legge, va rispettata, obbedita, ma non deve contrastare con la legge di Dio: questo, in fondo, è il grande dramma storico del mondo umano. Introdotta questa distinzione ne deriva che Cesare non può essere obbedito fino al punto che si disobbedisca Dio; e la disobbedienza a Cesare diventa il martirio, diventa obbligatorio, diventa un obbligo, se quella legge comporta il disobbedire alla legge di Dio”.

Domanda: Si può anche fare il discorso contrario: la legge di Dio non può diventare un qualcosa che interferisce con Cesare, perché altrimenti, estremizzo, si scade nel fanatismo islamico dei giorni nostri. Insomma non si può mescolare fede con Stato di diritto e diritti di ciascuno e di tutti.

Casavola: “Non c’è dubbio; in proposito si può citare Sant’Agostino: ‘Non bisogna considerare la Legge di Dio per principio, contraria alla legge di Cesare, anzi. Diano i cristiani, i soldati, i giudici, gli esattori, i coniugi, i figli che realizzano l’ordine voluto dalle leggi di Cesare’. Ecco, questo è il punto: l’orizzonte dentro cui si muovono questi due poli, Cesare e Dio, è un orizzonte di concordia, ma non di intersezione o, come dire, egemonica. Purtroppo questa è la storia d’Europa; di volta in volta lo Stato che ha tentato di assoggettare la Chiesa; e la Chiesa di assoggettare lo Stato. Uno dei grandi problemi su cui noi non riflettiamo a sufficienza è quello della laicità: non è solo la laicità dello Stato, è anche la laicità della Chiesa. La Chiesa che deve in qualche modo comprendere e rispettare le ragioni dello Stato, così come lo Stato la ragione della Chiesa”.

Domanda: Il cavourriano ‘Libera Chiesa in libero Stato’…

Casavola: “Sì, se si dà a questa formula cavouriana il significato che probabilmente lui gli dava. No sempre accade…”.

Domanda: Ognuno poi divaga in interpretazioni le più varie…Una sorta di pelle di zigrino…

Casavola: “Esattamente. Ognuno se la tira a suo piacimento”.

Domanda: Abbiamo parlato della Dignità, abbiamo parlato della Ragione di Stato, che non necessariamente ha quella connotazione oscura, ignobile, che spesso, “arcana imperi” di tacitiana memoria… Ma come si può conciliare una Ragione di Stato con il diritto umano alla conoscenza? Perché io come cittadino, come persona, ho il diritto di sapere; ma è un diritto che evidentemente va regolato…Questione complessa direi; eppure no la si può eludere. Come ne usciamo?

Casavola: “Come ne usciamo… La Ragione di Stato impone la riservatezza o il segreto addirittura, su decisioni che lo Stato assume nell’interesse della collettività di cui ha la responsabilità di governo, cioè nell’interesse di una nazione, nell’interesse di un popolo, ecc.; questo per le circostanze più varie: una guerra che sta per essere dichiarata o che si sta combattendo; per il contrasto con la criminalità organizzata; per ragioni anche di giusta competizione e confronto con altri Stati… E’ una segretezza che va rispettata, tutelata. Perché la pubblica notizia potrebbe fare fallire un piano di governo, anche il più legittimo (non necessariamente bisogna pensare a trame oscure e non convergenti al giusto interesse del popolo su cui uno Stato sovraintende).

Però, dobbiamo anche renderci conto che ci sono varie scale di questa riservatezza; un conto è il segreto che gli organi di intelligence devono necessariamente avere per poter funzionare, rispettare e far rispettare; un conto è il tenere all’oscuro una collettività che invece politicamente sarebbe “facultata”, quando non si riconosca addirittura un vero e proprio diritto nei suoi organi di rappresentanza politica, a fare uscire lo Stato, i governanti, da questa ombra del segreto. E’ qui che nasce una questione: fino a che punto la Ragion di Stato sia tollerabile, e quando invece va combattuta con gli strumenti della pubblicità, della stampa… Bisogna avere una idea della eticità dello Stato, che comprenda anche la Ragion di Stato, che la giustifichi quando è presa in ordine al buon interesse, alla giusta ragione nella vita collettiva. Non si deve semplificare la questione della Ragion di Stato in termini negativi.

Occorre che la Ragione di Stato sia vista storicamente, nelle specifiche circostanze e fasi. La vita pubblica non deve avere segreti, che restano in eterno, oscuri; deve venire il momento della chiarificazione”.

Domanda: Negli anni Cinquanta del secolo scorso c’era un’associazione per la libertà della cultura animata da Ignazio Silone, da Nicola Chiaromonte, ma poi, sotto gli auspici di Benedetto Croce… In quegli anni c’era la guerra fredda, si era appena usciti dal nazismo e dal fascismo, c’era la necessità si sostenere di sostenere l’antifascismo liberale e democratico. Ora siamo in tutt’altro contesto, anche se la democrazia, o se si vuole, le democrazie mostrano tutti i loro limiti, e ci si interroga su quello che sono, e quello che dovrebbero essere… Un’analoga associazione per la libertà della e nella cultura non crede che avrebbe una sua ragion d’essere? E gli intellettuali, quelli che si considerano tali, non dovrebbero riappropriarsi della loro funzione, quella di pensare con autonomia e indipendenza?

Casavola: “Capisco la polarità di questo suo ragionamento: da un lato l’associazione e dall’altro la solitudine. Occorre che non siano soltanto degli intellettuali nel senso, ormai, voglio dire, quasi spregiativo che questo termine sta assumendo; vale a dire degli ‘acculturati’… Un grande filosofo cristiano, Giuseppe Capograssi, parlava degli “addottrinati”, certamente con un’intenzione non positiva. Occorre recuperare una autorevolezza morale.
Temo che queste figure, se cominciano ad entrare dentro delle associazioni, questa autorevolezza morale verrebbe pregiudicata. D’altra parte riconosco che esiste una questione che possiamo definire di ‘solitudine’; però va anche detto che tutti le persone che sono state in grado di predicare ai loro simili in maniera persuasiva, sono state persone sole. Se li pensiamo in un’ideale galleria sono stati degli uomini soli; molti, penso al Mahatma Gandhi, sono stati perfino uccisi”.

Domanda: “Una cosa da mettere in conto insomma…”.

Casavola: “È da mettere in conto”.

Domanda: Ancora dal suo libro, il capitolo ‘Leggi e giustizia’… A un certo punto lei cita il Processo di Norimberga. Niente da dire sul fatto che quei criminali nazisti siano stati giudicati come sono stati giudicati; anzi, i Paesi vincitori se hanno una colpa, è quella di avere innanzitutto accettato Monaco e di aver ritardato, e quindi di aver aggravato la situazione; poi di aver protetto, aiutato, utilizzato molti di quei criminali. Nessuna indulgenza, quindi, per quei personaggi. Però dal punto di vista tecnico, il processo di Norimberga è stato anche un qualcosa di molto discutibile: si applicava una legge man mano che la si faceva, perché nessuno prima aveva neanche concepito che potesse accadere quello che è accaduto; quei giudici si sono trovati a dover creare un diritto che poi hanno applicato…

Casavola: “Lei ha colto perfettamente nel segno. C’è anche qui una coppia dialettica, ‘legge-giustizia’. La giustizia non è, come aveva sperato la civiltà liberale, il momento di applicazione della legge… Perché nella civiltà liberale si è arrivati a pensare che la giustizia fosse affidata a dei giudici che dovevano essere soltanto la parola della legge? La civiltà liberale era arrivata ad una costruzione di primato assoluto del legislatore e dobbiamo anche capire storicamente perché. Perché il legislatore era il successore del sovrano.

Come il sovrano aveva l’arbitrio assoluto, così il legislatore aveva in qualche modo una sua volontà assoluta, e il giudice realizzava la giustizia soltanto applicando le parole del legislatore. Cosa che ovviamente non è possibile, perché l’attività del giudice è un’attività di interpretazione; ma anche perché in alcuni testi costituzionali, nel passaggio dalle monarchie assolute alle monarchie liberali (come per esempio dello Statuto di Carlo Alberto), si dice che la giustizia emana dal Re, ed è applicata dai giudici suoi delegati… Perché si vuole stabilire una sorta di gerarchia tra la legge e la giustizia. Allora ci si accorge, dopo quella immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale, che la legge si era ridotta nell’esperienza nazista ad un ‘biglietto del Furher’… E allora dov’è la legge? Non c’è né la volontà del Re, né la decisione di un Parlamento. Siamo all’arbitrio”.

(trascrizione non rivista dall’autore)

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