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Conversando con il prof. Aldo Masullo

Intervista di Valter Vecellio
Napoli, 1 dicembre 2015

Valter Vecellio intervista il professor Aldo Masullo, professore emerito di Filosofia morale dell’Università Federico II di Napoli.

L’intervista è stata registrata domenica 13 dicembre 2015 alle 11:00.

Nel corso dell’intervista sono stati discussi i seguenti temi: Astensionismo, Bobbio, Comunicazione, Corte Costituzionale, Cultura, Democrazia, Digiuno, Elezioni, Filosofia, Informazione, Istituzioni, Istruzione, Libro, Pannella, Parlamento, Partito Radicale Nonviolento, Politica, Radicali Italiani, Scuola, Voto.

Fonte: Radio Radicale

Domanda: Professor Masullo vedo posato sulla sua scrivania un libro di trent’anni fa, “Il futuro della democrazia”, di Norberto Bobbio, pubblicato dall’Einaudi… Già allora ci si interrogava su questo. Quel futuro Bobbio ipotizzava non è diventato il presente di oggi? E insomma, i problemi allora prefigurati li stiamo vivendo tutti…

Masullo: “Il futuro a cui allude Bobbio è certamente problematico. Non delinea una nuova forma di democrazia; si pone la questione di come sarà, di come potrà essere la democrazia, in un mondo che era molto diverso dal suo, ma è anche diverso da quello nel quale noi viviamo. Più in generale, il problema del futuro della democrazia se lo sono posti in tanti; nessuno però è ancora riuscito a trovare una risposta soddisfacente. Noi non siamo in grado di dire quale sia il futuro della democrazia. Io, come credo anche lei, ritengo che la democrazia, detta così, sia concettualmente una figura ‘tragica’. Quando utilizzo questo termine penso all’idea che i giansenisti avevano della tragedia: nel senso che ‘tragico’ è ogni pensiero che, nell’economia della mente, è al tempo stesso necessario e impossibile. Così la democrazia: è necessaria e impossibile”.

Domanda: In che senso “necessaria e impossibile”?

Masullo: “Partiamo da Giordano Bruno che è il vero fondatore della modernità.

Di questo pensatore noi italiani dovremmo essere più orgogliosi di quanto si sia. Perché la tesi bruniana dell’infinità dell’universo, dell’infinità dei mondi, trasferita sul piano antropologico, significa che gli uomini sono tutti uguali. Come nell’universo fisico nessun punto è il centro, ma ogni punto è centro, così, nell’universo umano: nessun uomo ha una sua particolare supremazia sugli altri, tutti hanno la stessa dignità. Questa non è soltanto l’estensione al piano antropologico dell’idea cosmologica dell’infinità dei mondi. Bruno lo dice chiaramente: ‘Ogni uomo è un mondo’. Testuali parole. Allora se ogni uomo è un mondo, se ogni mondo è centro, non esiste più un’architettura verticale del potere. Il potere non viene dall’alto verso il basso”.

Domanda: “Non esiste neanche un centro…”.

Masullo: “Non esiste nessun centro che disponga privilegiatamente del potere. Ogni centro, ogni uomo partecipa alla pari del potere. Ogni uomo partecipa alla pari del governo. Bruno questo non è arrivato a dirlo, ma è implicito nelle sue visioni della realtà. Ora questo da un lato è vero; ma come si fa a far giungere ad una decisione milioni e milioni di persone? Oggi siamo quasi otto miliardi di persone… Questo ci fa capire che il tragico della democrazia non significa che la democrazia va rifiutata; piuttosto significa che bisogna bandire le illusioni, che fatalmente conducono alla delusione, e alla fine alla morte della democrazia”.

Domanda: Azzardiamo una definizione di democrazia…

Masullo: “Diciamo questo: la democrazia, di volta in volta, è un sistema di procedure che, in base alle circostanze storiche in cui ogni popolo si trova, possono essere messe in campo per realizzare, il meglio possibile, questa uguaglianza di tutti gli uomini nell’esercizio del potere. È evidente che questo concetto procedurale di per sé non è sufficiente a esprimere (e quindi garantire), che sia concepita, e realizzata. Quando si parla di democrazia, si parla da un lato di procedure storicamente possibili; dall’altro si parla di un sentimento democratico, senza il quale nessuna forma procedurale può sopravvivere: il sentimento democratico, appunto. Lo diceva Jean-Jacques Rousseau: sottolinea come la civiltà di un popolo, non consiste altro che nel sentimento che ogni individuo prova nella sua parità con gli altri individui.

Ricordo, con una certa ‘ironica’ amarezza, come in alcuni momenti del nostro passato, anche qualche grande dirigente di partiti di sinistra, inneggiava all’assoluta parità degli individui; poi nel rapportarsi concretamente con il prossimo, magari davano del ‘tu’ all’operaio; ma esigevano che lui desse del ‘lei’. Ecco: questo non è esattamente sentimento democratico. C’era, piuttosto, solo una costruzione intellettuale; intellettualistica, addirittura. Solo un’ambizione di potere. Il sentimento della democrazia è invece quello della “socievolezza”. E’ questa la parola che usa Rousseau. Non è una parola qualsiasi. ‘Socievolezza’ deriva da ‘socius’, in latino significa “alleato”. La ‘socievolezza’ significa ‘sentire’ che ogni altro individuo che fa parte del mio popolo è un mio alleato; è pari a me, così come lui è pari a tutti gli altri ‘soci’ della nostra compagnia. Senza questo sentimento, secondo me, non c’è nessuna democrazia che possa vivere”.

Domanda: Ecco, lei ha fissato alcuni paletti. Ce ne è uno che, ritengo sia imprescindibile; su questo la sollecito: quello della conoscenza. Mi spiego meglio: la democrazia richiede, indubbiamente, la partecipazione di tutti i ‘soci’; che però devono essere consapevoli che a un certo momento c’è un momento decisionale; si deve in qualche modo delegare un potere a dei rappresentanti che si scelgono, augurandosi che le loro decisioni corrispondano al bene comune. Questo implica che ognuno di noi periodicamente sia messo nella condizione di conoscere, sapere cosa si fa e si vuole fare in mio nome.

Il ‘sapere’ è qualcosa di fondamentale e imprescindibile per un regime che voglia dirsi democratico. Se non vengo messo in condizione di conoscere, mi riesce difficile a pensare di poter dire che vivo in una democrazia. Non finirò in galera, in un lager, in un gulag. Ma l’elemento della conoscenza mi pare sia fondamentale in una democrazia…

Masullo: “Sono d’accordo. Anzi, calco la mano. Se è vero che non si può conoscere tutto, perché molte conoscenze esigono una formazione tecnica per impossessarsi di un certo sapere, è anche vero che la democrazia vive su due principi fondamentali, dal punto di vista della conoscenza.

C’è una parte della conoscenza che tutti possono possedere, è la parte più squisitamente politica, quella in cui si è chiamati a decidere; la ‘chiamata’ a decidere si fonda su una serie di domande preparatorie, ma, in ultima analisi, è sempre su questioni che coinvolgono la vita stessa della collettività. E’ evidente che sulle questioni che coinvolgono la vita stessa della collettività, deve esserci una conoscenza trasparente per tutti. Si potrebbe obiettare: la conoscenza trasparente per tutti la si può costruire in quanto vi sono delle risposte già ottenute, o che si possono ottenere ai problemi preparatori, ai problemi di condizioni della decisione poi generale. Per quei problemi come si fa? Non tutti possiamo essere ingegneri, chimici, archeologi o altre cose di questo genere.

Ecco che ci rendiamo conto di come la democrazia si possa reggere nel momento in cui si comprendere che c’è un campo di conoscenza, non meno importante della prima, di pertinenza dei competenti; che evidentemente devono aver dato prova di essere affidabili. Voglio dire: ci sono due facce della democrazia. La generalità del diritto a decidere sulle grandi questioni; l’affidabilità provata di coloro che pur devono fornire delle conoscenze particolari, delle conoscenze tecniche.

Arriviamo così alla domanda: perché non abbiamo alcuna fiducia di quasi l’intera classe dirigente italiana, così come ce la troviamo? Semplicemente perché non ha mostrato di essere affidabile. La fiducia è la condizione fondamentale per la vita democratica: la vita democratica è la vita in cui ognuno, nessuno escluso, partecipa alla decisione;, la partecipazione alla decisione, volenti o no, è condizionata dai ‘saperi’, alcuni dei quali sono specialistici; dunque, in conclusione, l’unica cosa che regge la possibilità di una decisione generale corretta, è che i ‘saperi’ specialistici siano esercitati da persone che hanno dato prova di essere affidabili. Se domandiamo a uno scienziato qual è la qualità che gelosamente, deve rivendicare, lo scienziato risponde che è l’affidabilità, la credibilità. In estrema sintesi, il mondo scientifico in che consiste? Nel fatto che si incrociano una serie di proposte conoscitive, una serie di ‘verità’ risultanti dalla sperimentazione; ma appena uno dei componenti della categoria degli scienziati si fa cogliere nel manipolare la sua scoperta, della sua ‘verità’, immediatamente viene escluso dal mondo della scienza”.

Domanda: “Qui rischiamo di trovarci in una sorta di paradosso da cui vorrei uscire: da una parte lei dice (e sono d’accordo con lei), che la quasi totalità della nostra classe politica, e non solo quella nazionale, riscuote poca o nessuna fiducia da parte del popolo o dei popoli; ma come possono dare o non dare fiducia dal momento che non sono messi nella condizione di poter giudicare con cognizione di causa? Faccio un esempio. Siamo arrivati, ormai, a più di un anno e mezzo di fumate nere, per quel che riguarda l’elezione dei giudici della Corte Costituzionale di competenza del Parlamento. Credo che se si facesse un sondaggio demoscopico, probabilmente, il 70-80 per cento degli interpellati alzerebbe le spalle; magari perfino contenta: tre lauti stipendi in meno. Questo per la semplice ragione che nessun mezzo di comunicazione si prende il disturbo di spiegare, nella forma semplicemente letterale, cos’è la Corte Costituzionale, com’è che tre articoli della Costituzione prevedono sia costituita in questo modo, a cosa serve… Se solo di prendesse conoscenza dell’importanza di questo organo, il giudizio, l’atteggiamento di indifferenza o di sufficienza verrebbe meno: perché si diventa consapevoli dell’importanza di questa istituzione. Ecco, da una parte siamo lasciati nell’ignoranza di quello che accade; dall’altra, nonostante quest’ignoranza, si coltiva un sentimento di diffidenza se non di ostilità…L’essere privati della conoscenza ci fa comunque emettere giudizi, magari sballati…

Masullo: “Appunto, sballati; e comunque non fondati sulla conoscenza. Al punto che il nostro Marco Pannella è costretto a fare lo sciopero della fame, per denunciare lo scandalo di questa situazione. Ora, l’informazione è uno degli aspetti della conoscenza. Dobbiamo distinguere l’informazione come fatto, dal contenuto di conoscenza di questo fatto. Non possiamo dire che in Italia manchi l’informazione: quante televisioni ci sono, quanti canali televisivi, quanti programmi televisivi… Con tutto ciò c’è una componente tra le più vitali, della società politica italiana, il Partito radicale, e c’è un leader, Pannella, costretti a vivere una ‘damnatio communicationis’: condannati a non essere oggetto di comunicazione. Quindi il problema non è quello della informazione nel senso letterale della parola, ma della formazione all’analisi critica dell’informazione. La diffidenza, l’ostilità a cui lei accennava poco fa, è l’effetto stesso dell’inganno subito. Se tutti mi ingannano, alla fine dico: ‘Be’, chi me lo fa fare di affaticarmi a capire? Meglio non capire. Lascia che facciano quello che vogliono’. Questa diffidenza è un impoverimento della vita politica, un impoverimento della democrazia. Occorre introdurre elementi di mutamento di questa situazione, perché poi il vero problema è ‘come ne usciamo’…

Dobbiamo prendere atto che la gran parte di coloro che non vanno a votare, sono persone che si sentono ingannate: hanno sperimentato che l’informazione avuta è falsa; alla fine, non potendo più decidere cosa è vero e cosa è falso, decidono di astenersi. Da questa situazione bisogna uscire. E’ il grande tema radicale, pannelliano, della conoscenza come diritto. Poi, certo, ci si può interrogare su quale sia la conoscenza a cui si ha diritto; e come si può esercitare concretamente il diritto alla conoscenza. Lei giustamente ha fatto l’esempio sotto gli occhi di tutti, di una Corte costituzionale di cui non si riescono a integrare i ranghi. Perché la gente è disattenta? Perché, sono d’accordo con lei, la gente non sa neppure che cosa sia la Corte costituzionale.

Come si fa a far a sapere alla gente che cos’è? A questo dovrebbe servire il dibattito politico, che però è quello che è… Qual è l’agente istituzionale che deve essere messo in campo perché questa ignoranza venga superata? E’ uno solo: la scuola. Che non è la ‘buona scuola’. Piuttosto è la scuola buona: quella scuola nella quale non solo si impara a leggere, scrivere e far di conto; non solo si impara l’algebra o la storia dei romani, ma si impara a conoscere la vita nella quale si è immersi; e le procedure democratiche, che fanno di noi dei cittadini e non dei sudditi”.

Domanda: “Nelle sue parole ci sono echi di Gaetano Salvemini, ma del Salvemini del 1911. Stiamo parlando di cent’anni fa…Siamo ancora fermi lì.
Salvemini faceva le stesse considerazioni, formulava gli stessi auspici che ha formulato lei adesso… C’’è un doppio diritto violato, sempre a proposito di conoscenza: il diritto mio, di cittadino, a sapere; diritto che non viene tutelato, che viene calpestato; ma c’è anche il mio diritto di organizzazione politica, che non si trova nelle stesse condizioni di altre che, invece, possono pubblicizzare ad ampio raggio programmi, proposte, il loro fare…Una disparità di partenza che pregiudica inevitabilmente l’ordine di arrivo…Non so quale dei due diritti violati sia più grave.

Masullo: “Qui si mette in luce il rapporto politica-informazione: è la politica che deve nascere dall’informazione, o l’informazione deve dipendere dalla politica? Nell’attuale situazione italiana è l’informazione che dipende dalla politica. In uno democrazia, corretta, vivente, è la politica che dipende dall’informazione. Ecco perché prima ho accennato alla scuola, a un’agenzia informativa e formativa che è, o dovrebbe essere, indipendente dalla politica.

Dobbiamo aiutare noi stessi e i nostri concittadini a creare le condizioni perché si faccia una politica, non a subire la politica nei suoi capricci. Su questo punto dobbiamo fermare la nostra attenzione: proprio perché non è l’informazione a fare la politica oggi, ma è la politica a decidere dell’informazione che, per esempio, il Partito Radicale viene ostracizzato e non viene fatto conoscere. E’ la politica che decide; e decide che una certa forza è meglio soffocarla”.

Domanda: “Abbiamo cominciato con il “Futuro della democrazia” di Bobbio, siamo al presente, suo e di tutti noi… Si sente di dire che viviamo in Italia, in un Paese democratico?

Masullo: “Mi richiamo a quello che ho accennato prima, parlando degli aspetti procedurali della democrazia. Concretamente si deve individuare quali sono le forme procedurali della democrazia, in questo momento storico che, pur scritte nelle carte fondamentali e nelle leggi, vengono violate”.

Domanda: Pannella parla di “democrazia reale”…Evoca un qualcosa che ci siamo lasciati alle spalle: il comunismo reale, socialismo reale: diverso, evidentemente, da quello prefigurato nei testi, e che nella pratica si era ‘evoluto’ nel modo che sappiamo…Così, “democrazia reale”, ha quel sapore… Uno stato in cui si è sudditi, non cittadini, espropriati dei propri diritti, soggetti a doveri spesso assurdi, odiosi…

Masullo: “Lo siamo perfino in certe piccole circostanze della nostra vita quotidiana: quando, per esempio, si avvicina la scadenza del pagamento delle tasse che, oltre ad essere un dovere civile, è un dovere sanzionato giuridicamente; quello Stato che ci impone il pagamento delle tasse entro una data, tarda a farci sapere che cosa e come dobbiamo pagarle, e costringe il povero cittadino, a fare, all’ultimo momento intollerabili e defatiganti file agli sportelli postali… Tanto che io parlo, scherzando, ma non molto, di una sorta di tortura civile. E’ evidente che in casi come questi, lo Stato entra in contraddizione con se stesso. Del resto, quello che avviene a un livello ben più profondo con la pena di morte dove c’è. La pena di morte è la contraddizione dello Stato, perché lo Stato è nato per difendere la vita dei cittadini. Nel momento in cui lo Stato mette a morte un cittadino, contraddice se stesso.

Così anche in cose molto meno crudeli, anche se c’è una crudeltà nelle piccole cose…Ecco, qui ancora una volta Pannella ha ragione quando invoca lo Stato di diritto. Lo Stato di diritto è quello che non solo fonda i suoi comandi su una legge convenuta, sulla base di un contratto sociale, ma è coerente con le leggi che esso stesso produce, è il primo a rispettare le leggi; mentre lo Stato, è il primo che non le rispetta. Si può ben dire che ci sia un’incoerenza di fondo…”.

Domanda: Si stanno dando da fare per cercare di colmare questa lacuna, di essere coerenti tra il dire e il fare, insomma. Mi pare che, progressivamente, cercano di mettere in campo degli aggiustamenti che siano, appunto, coerenti con le volontà del regime che ci sgoverna, se mi consente.

Masullo: “Esco un momento fuori campo. A proposito della formazione della Corte costituzionale. Oserei fare una proposta. La Corte costituzionale ha come sua essenza un potere giurisdizionale posto a garanzia della legalità e della stessa legittimità del legiferare. Come tale, può, la Corte costituzionale, immaginarsi espressione dei partiti? Una delle ragioni per cui oggi il Parlamento non riesce…”.

Domanda: “Azzardo una risposta, lei ovviamente mi corregga. La Corte costituzionale è composta da cinque membri che vengono nominati dal Presidente della Repubblica; altri cinque membri sono di competenza delle giurisdizioni supreme della magistratura e cinque membri, come abbiamo detto, sono competenza del Parlamento. Nel Parlamento ci sono rappresentanti sì, scelti, selezionati, nominati dai sinedri dei partiti, comunque in qualche modo votati dai cittadini. Diventano, nel momento stesso in cui i parlamentari diventano tali, non più rappresentanti, come in altri Paesi, dei partiti, o della circoscrizione elettorale, ma dell’intero popolo. Così dice la Costituzione.

Ne deriva che gli unici rappresentanti del popolo, nell’ambito della Corte costituzionale, per paradosso, sono proprio quelli che sono eletti da spartizioni partitocratiche; gli altri sono rappresentanti di magistratura, o nominati per decisione presidenziale. Se io cittadino, dò più o meno forza al partito di destra, o a quello di sinistra, di centro… di conseguenza, consento loro di avere maggiore forza contrattuale nella scelta dei membri della Corte. Per questo dico che per paradosso, proprio quei cinque sono forse più figliazione di una rappresentatività popolare rispetto agli altri…

Masullo: “Il paradosso c’è, ma fino a un certo punto. E’ il paradosso della democrazia rappresentativa”.

Domanda: “Per tornare al suo discorso?

Masullo: “Ecco, visto che la legge stabilisce, anzi la Costituzione, quali siano i requisiti che debbano avere gli eligendi o i nominandi alla Corte costituzionale; e, visto che la Corte costituzionale deve esprimere un’assoluta indipendenza da qualsiasi scelta di parte (perfino quella del Presidente della Repubblica, perfino quella della stessa magistratura, volenti o no, è una scelta di parte, sì pure di parti altissime, ma di parte); e visto che, ripeto, sono stabiliti i requisiti che deve avere chi può essere eletto alla Corte costituzionale, perché non costituire un albo di coloro che hanno questi requisiti ed estrarre a sorte i membri del Consiglio? Veramente si garantirebbe assoluta indipendenza da qualsiasi preventivo progetto di sottomissione di questo o quel settore della Corte costituzionale a certi interessi.”

Domanda: Mi fa venire in mente la storiella che raccontava, pensi un po’, Domenico Sica, il magistrato, poi Alto Commissario Antimafia… Era anche umorista. Scriveva dei raccontini per una rivistina satirica, ‘Zut’, si chiamava, diretta da Vincino. Sica immagina un giudice monocratico; sentenziava a seconda del testa o croce; testa assoluzione, croce condanna. Gli dicevano: “Ma non leggi neanche…”; e lui: “Se faccio testa o croce c’è la possibilità al 50 per cento di prendere la decisione giusta; se mi immergo nelle carte e nel dibattimento, sicuramente il margine di errore aumenta”. Lei ora mi dice che sarebbe meglio estrarli a sorte, i giudici della Corte Costituzionale: più rapidi; si evitano i giochi di potere, e i margini di errore…

Masullo: “Naturalmente facendo salvo il fatto che per essere eletti alla Corte costituzionale, bisogna avere certi requisiti. Quindi tutti i giudici della Corte costituzionale sono pari, perché hanno gli stessi requisiti. Attualmente, o nominati dal Presidente della Repubblica, o nominati dalla magistratura, o eletti dal Parlamento, devono comunque avere tutti gli stessi requisiti professionali, morali eccetera… Magari, si può rafforzare anche l’elenco delle condizioni per poter fare parte di questo albo. Anche perché, poi, il professore Tizio deve essere considerato più valido del professore Caio? Hanno tutti la stessa qualificazione professionale; perché il magistrato Tizio è più valido…? Hanno tutti la stessa qualificazione professionale”.

Domanda: Sarebbe interessante da chiedere… anche ai giuristi stessi, agli esperti di diritto, agli addetti ai lavori, cosa pensano di questa proposta, che, quantomeno è originale…

Masullo: “Del resto noi sappiamo che nel mondo greco, le città greche, le loro magistrature le eleggevano a sorte…”.

Domanda: Si potrebbe magari ipotizzare una selezione a monte…

Masullo: “Si garantiscono requisiti paritari e poi si estrae a sorte… E’ comunque è una proposta provocatoria; insisto sul provocatorio…”.

Domanda: Fino a un certo punto. Comunque le provocazioni però hanno sempre un fondamento che induce alla riflessione. Sarebbe interessante da sviluppare questa proposta…Se non fosse la macchinosità di dover mettere mano ancora a delle norme costituzionali che, insomma, abbiamo visto sono un po’ laboriose da modificare… Però è interessante, merita di essere sviluppata…

Masullo: “Ogni tanto si può provare anche a sorridere, non crede?”.

Domanda: Sicuro. E comunque aiuta a pensare…Però torniamo, se lei è d’accordo all’altro tema: la conoscenza, a questa “democrazia reale”, chiamiamola così per distinguerla dall’ideale, che certamente non è mai un punto d’arrivo”.

Masullo: “Se anziché “reale”, dicessimo ‘effettiva’? Nel senso di quella che si è effettuata, che vige…”.

Domanda: Se preferisce…

Masullo: “Comunque lasciamo la nobile espressione “democrazia reale” e non parliamone più…”.

Domanda: Penso alle difficoltà in cui ci troviamo, anche tenendo presente un contesto internazionale; trovo stravagante che si vada non dico a ‘esportare’ la democrazia, perché quando ci abbiamo provato, abbiamo poi visto i risultati; però anche solo avere la presunzione di indicare a paesi che democratici non sono, come devono esserlo; e noi, quotidianamente, siamo la dimostrazione di come si violino le nostre stesse leggi, al punto tale che veniamo condannati a livello quotidiano dalle giurisdizioni internazionali. Ecco: un tunisino, un marocchino, un libanese potrebbe benissimo ribattermi: tu sei democratico, che non hai alcun rispetto della tua stessa legge? Io che per primo sono inerte, indifferente di fronte a tutte le grandi tragedie che si consumano ogni giorno nel mondo e nel ‘cortile’ di casa mia, che il Mediterraneo tutto sommato è un catino…

Masullo: “In effetti, lo scandalo più grande di questi tempi drammatici sta per esempio nel fatto che sono ormai ben cinque anni che dura la guerra intestina in Siria. Sono anni che vengono sterminate intere collettività. Sono anni che passano per le televisioni del mondo le immagini dei tagliagole. E solo adesso, si comincia, in qualche modo, a porre il problema sul piano internazionale…”.

Domanda: “La interrompo un attimo, scusi… Quando lei parla delle televisioni (mi riferisco soprattutto a quella italiana, pubblica e privata che sia, la metto tutta assieme), noi facciamo “notizia” quando vediamo una gola tagliata di un italiano, di un europeo, di un americano. Non è “notizia”, quando le stesse gole (e sono centinaia) appartengono invece a musulmani, massacrati da altri musulmani. Lì non è più ‘notizia’. Non c’è non solo il non vedere a tempo; c’è il mostrare solo una piccola porzione del quadro”.

Masullo: “Questo credo sia la prova del fatto che questa sordità e cecità che ha accompagnato il mondo delle nazioni da cinque anni a questa parte, nonostante tutto ciò che di tremendo avveniva e avviene, sia dovuto alla realtà, qui questa volta bisogna dirlo, degli interessi particolari che stanno dietro. Per cui le Nazioni Unite sono ‘unite’ nel Palazzo di Vetro: i vari rappresentanti vanno lì, ma ognuno è portatore di interessi che contrastano con gli interessi del suo vicino di banco. Non esiste un organismo internazionale, sovranazionale, reale, effettivo. Le Nazioni Unite sono come la Società delle Nazioni dopo la Prima Guerra Mondiale. È la cultura occidentale, che sogna di correggere le sue stesse nefandezze; ma appunto: sogna. Quando si passa dal sogno alla realtà, allora l’impegno viene meno, gli interessi particolari sono più forti della convinzione, della persuasione… Prevalgono gli interessi particolari.”

Domanda: Interessi particolari, dice. Altri parlano di “Poteri forti”, una locuzione che mi lascia un po’ perplesso, come se esistesse un “Potere debole”. Il potere è potere. Più appropriato mi pare sia “Poteri reali”. Ecco:, quando lei parla di poteri particolari si riferisce, per esempio, a i complessi militari, a quelli industriali, petroliferi…quelle istituzioni che travalicano i confini, sono poco conosciute, “consigli di amministrazione del Potere”, composti da persone che possono vivere a migliaia di chilometri a distanza l’uno dall’altro, vicini o lontano da noi, che prendono decisioni che influiscono sulla vita quotidiana di ciascuno di noi, incontrollati, incontrollabili, sconosciuti. Si riferisce a questi centri di potere?

Masullo: “Sì: centri di potere, grandi concentrazioni di interessi che, proprio per questo ‘possono’. Il Consiglio di amministrazione, in fondo, non è che il coronamento dell’organizzazione di questo interesse in potere; ma ognuno di questi centri sovranazionali, internazionali, transnazionali trova nei singoli governi dei singoli Paesi, di volta in volta, alleati, complici. Ancora una volta è la nostra incapacità di trascendere i confini di una società nazionale, di uno Stato organizzato come tale nella sua unicità che rende la vita del mondo quell’inferno che è. La globalizzazione, che cosa è stata? L’inevitabile punto di arrivo dei bisogni e anche dei poteri. Il potere finanziario ha bisogno di non avere confini, senza porte, intralci, si muove ad un livello che non è il livello dei confini…Quel potere, alla fine viene mosso sempre da alcune persone. Gli interessi poi non sono di quelle persone, sono impersonali. Milioni di persone magari sono legate a quell’interesse, in vario modo, a vario titolo e con vari vantaggi; ma di fatto, a muovere le pedine, in nome di questi interessi, sono sempre alcune persone; persone che a loro volta, sono legate a interessi nazionali e transnazionali; senza esserlo, continuano a essere inglesi, americani, italiani o quello che siano. Un bel paradosso anche questo…”.

(trascrizione non rivista dall’autore)

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Valter Vecellio intervista il professor Aldo Masullo, professore emerito di Filosofia morale dell’Università Federico II di Napoli.

L’intervista è stata registrata domenica 13 dicembre 2015 alle 11:00.

Nel corso dell’intervista sono stati discussi i seguenti temi: Astensionismo, Bobbio, Comunicazione, Corte Costituzionale, Cultura, Democrazia, Digiuno, Elezioni, Filosofia, Informazione, Istituzioni, Istruzione, Libro, Pannella, Parlamento, Partito Radicale Nonviolento, Politica, Radicali Italiani, Scuola, Voto.

Fonte: Radio Radicale

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Domanda: Professor Masullo vedo posato sulla sua scrivania un libro di trent’anni fa, “Il futuro della democrazia”, di Norberto Bobbio, pubblicato dall’Einaudi… Già allora ci si interrogava su questo. Quel futuro Bobbio ipotizzava non è diventato il presente di oggi? E insomma, i problemi allora prefigurati li stiamo vivendo tutti…

Masullo: “Il futuro a cui allude Bobbio è certamente problematico. Non delinea una nuova forma di democrazia; si pone la questione di come sarà, di come potrà essere la democrazia, in un mondo che era molto diverso dal suo, ma è anche diverso da quello nel quale noi viviamo. Più in generale, il problema del futuro della democrazia se lo sono posti in tanti; nessuno però è ancora riuscito a trovare una risposta soddisfacente. Noi non siamo in grado di dire quale sia il futuro della democrazia. Io, come credo anche lei, ritengo che la democrazia, detta così, sia concettualmente una figura ‘tragica’. Quando utilizzo questo termine penso all’idea che i giansenisti avevano della tragedia: nel senso che ‘tragico’ è ogni pensiero che, nell’economia della mente, è al tempo stesso necessario e impossibile. Così la democrazia: è necessaria e impossibile”.

Domanda: In che senso “necessaria e impossibile”?

Masullo: “Partiamo da Giordano Bruno che è il vero fondatore della modernità.

Di questo pensatore noi italiani dovremmo essere più orgogliosi di quanto si sia. Perché la tesi bruniana dell’infinità dell’universo, dell’infinità dei mondi, trasferita sul piano antropologico, significa che gli uomini sono tutti uguali. Come nell’universo fisico nessun punto è il centro, ma ogni punto è centro, così, nell’universo umano: nessun uomo ha una sua particolare supremazia sugli altri, tutti hanno la stessa dignità. Questa non è soltanto l’estensione al piano antropologico dell’idea cosmologica dell’infinità dei mondi. Bruno lo dice chiaramente: ‘Ogni uomo è un mondo’. Testuali parole. Allora se ogni uomo è un mondo, se ogni mondo è centro, non esiste più un’architettura verticale del potere. Il potere non viene dall’alto verso il basso”.

Domanda: “Non esiste neanche un centro…”.

Masullo: “Non esiste nessun centro che disponga privilegiatamente del potere. Ogni centro, ogni uomo partecipa alla pari del potere. Ogni uomo partecipa alla pari del governo. Bruno questo non è arrivato a dirlo, ma è implicito nelle sue visioni della realtà. Ora questo da un lato è vero; ma come si fa a far giungere ad una decisione milioni e milioni di persone? Oggi siamo quasi otto miliardi di persone… Questo ci fa capire che il tragico della democrazia non significa che la democrazia va rifiutata; piuttosto significa che bisogna bandire le illusioni, che fatalmente conducono alla delusione, e alla fine alla morte della democrazia”.

Domanda: Azzardiamo una definizione di democrazia…

Masullo: “Diciamo questo: la democrazia, di volta in volta, è un sistema di procedure che, in base alle circostanze storiche in cui ogni popolo si trova, possono essere messe in campo per realizzare, il meglio possibile, questa uguaglianza di tutti gli uomini nell’esercizio del potere. È evidente che questo concetto procedurale di per sé non è sufficiente a esprimere (e quindi garantire), che sia concepita, e realizzata. Quando si parla di democrazia, si parla da un lato di procedure storicamente possibili; dall’altro si parla di un sentimento democratico, senza il quale nessuna forma procedurale può sopravvivere: il sentimento democratico, appunto. Lo diceva Jean-Jacques Rousseau: sottolinea come la civiltà di un popolo, non consiste altro che nel sentimento che ogni individuo prova nella sua parità con gli altri individui.

Ricordo, con una certa ‘ironica’ amarezza, come in alcuni momenti del nostro passato, anche qualche grande dirigente di partiti di sinistra, inneggiava all’assoluta parità degli individui; poi nel rapportarsi concretamente con il prossimo, magari davano del ‘tu’ all’operaio; ma esigevano che lui desse del ‘lei’. Ecco: questo non è esattamente sentimento democratico. C’era, piuttosto, solo una costruzione intellettuale; intellettualistica, addirittura. Solo un’ambizione di potere. Il sentimento della democrazia è invece quello della “socievolezza”. E’ questa la parola che usa Rousseau. Non è una parola qualsiasi. ‘Socievolezza’ deriva da ‘socius’, in latino significa “alleato”. La ‘socievolezza’ significa ‘sentire’ che ogni altro individuo che fa parte del mio popolo è un mio alleato; è pari a me, così come lui è pari a tutti gli altri ‘soci’ della nostra compagnia. Senza questo sentimento, secondo me, non c’è nessuna democrazia che possa vivere”.

Domanda: Ecco, lei ha fissato alcuni paletti. Ce ne è uno che, ritengo sia imprescindibile; su questo la sollecito: quello della conoscenza. Mi spiego meglio: la democrazia richiede, indubbiamente, la partecipazione di tutti i ‘soci’; che però devono essere consapevoli che a un certo momento c’è un momento decisionale; si deve in qualche modo delegare un potere a dei rappresentanti che si scelgono, augurandosi che le loro decisioni corrispondano al bene comune. Questo implica che ognuno di noi periodicamente sia messo nella condizione di conoscere, sapere cosa si fa e si vuole fare in mio nome.

Il ‘sapere’ è qualcosa di fondamentale e imprescindibile per un regime che voglia dirsi democratico. Se non vengo messo in condizione di conoscere, mi riesce difficile a pensare di poter dire che vivo in una democrazia. Non finirò in galera, in un lager, in un gulag. Ma l’elemento della conoscenza mi pare sia fondamentale in una democrazia…

Masullo: “Sono d’accordo. Anzi, calco la mano. Se è vero che non si può conoscere tutto, perché molte conoscenze esigono una formazione tecnica per impossessarsi di un certo sapere, è anche vero che la democrazia vive su due principi fondamentali, dal punto di vista della conoscenza.

C’è una parte della conoscenza che tutti possono possedere, è la parte più squisitamente politica, quella in cui si è chiamati a decidere; la ‘chiamata’ a decidere si fonda su una serie di domande preparatorie, ma, in ultima analisi, è sempre su questioni che coinvolgono la vita stessa della collettività. E’ evidente che sulle questioni che coinvolgono la vita stessa della collettività, deve esserci una conoscenza trasparente per tutti. Si potrebbe obiettare: la conoscenza trasparente per tutti la si può costruire in quanto vi sono delle risposte già ottenute, o che si possono ottenere ai problemi preparatori, ai problemi di condizioni della decisione poi generale. Per quei problemi come si fa? Non tutti possiamo essere ingegneri, chimici, archeologi o altre cose di questo genere.

Ecco che ci rendiamo conto di come la democrazia si possa reggere nel momento in cui si comprendere che c’è un campo di conoscenza, non meno importante della prima, di pertinenza dei competenti; che evidentemente devono aver dato prova di essere affidabili. Voglio dire: ci sono due facce della democrazia. La generalità del diritto a decidere sulle grandi questioni; l’affidabilità provata di coloro che pur devono fornire delle conoscenze particolari, delle conoscenze tecniche.

Arriviamo così alla domanda: perché non abbiamo alcuna fiducia di quasi l’intera classe dirigente italiana, così come ce la troviamo? Semplicemente perché non ha mostrato di essere affidabile. La fiducia è la condizione fondamentale per la vita democratica: la vita democratica è la vita in cui ognuno, nessuno escluso, partecipa alla decisione;, la partecipazione alla decisione, volenti o no, è condizionata dai ‘saperi’, alcuni dei quali sono specialistici; dunque, in conclusione, l’unica cosa che regge la possibilità di una decisione generale corretta, è che i ‘saperi’ specialistici siano esercitati da persone che hanno dato prova di essere affidabili. Se domandiamo a uno scienziato qual è la qualità che gelosamente, deve rivendicare, lo scienziato risponde che è l’affidabilità, la credibilità. In estrema sintesi, il mondo scientifico in che consiste? Nel fatto che si incrociano una serie di proposte conoscitive, una serie di ‘verità’ risultanti dalla sperimentazione; ma appena uno dei componenti della categoria degli scienziati si fa cogliere nel manipolare la sua scoperta, della sua ‘verità’, immediatamente viene escluso dal mondo della scienza”.

Domanda: “Qui rischiamo di trovarci in una sorta di paradosso da cui vorrei uscire: da una parte lei dice (e sono d’accordo con lei), che la quasi totalità della nostra classe politica, e non solo quella nazionale, riscuote poca o nessuna fiducia da parte del popolo o dei popoli; ma come possono dare o non dare fiducia dal momento che non sono messi nella condizione di poter giudicare con cognizione di causa? Faccio un esempio. Siamo arrivati, ormai, a più di un anno e mezzo di fumate nere, per quel che riguarda l’elezione dei giudici della Corte Costituzionale di competenza del Parlamento. Credo che se si facesse un sondaggio demoscopico, probabilmente, il 70-80 per cento degli interpellati alzerebbe le spalle; magari perfino contenta: tre lauti stipendi in meno. Questo per la semplice ragione che nessun mezzo di comunicazione si prende il disturbo di spiegare, nella forma semplicemente letterale, cos’è la Corte Costituzionale, com’è che tre articoli della Costituzione prevedono sia costituita in questo modo, a cosa serve… Se solo di prendesse conoscenza dell’importanza di questo organo, il giudizio, l’atteggiamento di indifferenza o di sufficienza verrebbe meno: perché si diventa consapevoli dell’importanza di questa istituzione. Ecco, da una parte siamo lasciati nell’ignoranza di quello che accade; dall’altra, nonostante quest’ignoranza, si coltiva un sentimento di diffidenza se non di ostilità…L’essere privati della conoscenza ci fa comunque emettere giudizi, magari sballati…

Masullo: “Appunto, sballati; e comunque non fondati sulla conoscenza. Al punto che il nostro Marco Pannella è costretto a fare lo sciopero della fame, per denunciare lo scandalo di questa situazione. Ora, l’informazione è uno degli aspetti della conoscenza. Dobbiamo distinguere l’informazione come fatto, dal contenuto di conoscenza di questo fatto. Non possiamo dire che in Italia manchi l’informazione: quante televisioni ci sono, quanti canali televisivi, quanti programmi televisivi… Con tutto ciò c’è una componente tra le più vitali, della società politica italiana, il Partito radicale, e c’è un leader, Pannella, costretti a vivere una ‘damnatio communicationis’: condannati a non essere oggetto di comunicazione. Quindi il problema non è quello della informazione nel senso letterale della parola, ma della formazione all’analisi critica dell’informazione. La diffidenza, l’ostilità a cui lei accennava poco fa, è l’effetto stesso dell’inganno subito. Se tutti mi ingannano, alla fine dico: ‘Be’, chi me lo fa fare di affaticarmi a capire? Meglio non capire. Lascia che facciano quello che vogliono’. Questa diffidenza è un impoverimento della vita politica, un impoverimento della democrazia. Occorre introdurre elementi di mutamento di questa situazione, perché poi il vero problema è ‘come ne usciamo’…

Dobbiamo prendere atto che la gran parte di coloro che non vanno a votare, sono persone che si sentono ingannate: hanno sperimentato che l’informazione avuta è falsa; alla fine, non potendo più decidere cosa è vero e cosa è falso, decidono di astenersi. Da questa situazione bisogna uscire. E’ il grande tema radicale, pannelliano, della conoscenza come diritto. Poi, certo, ci si può interrogare su quale sia la conoscenza a cui si ha diritto; e come si può esercitare concretamente il diritto alla conoscenza. Lei giustamente ha fatto l’esempio sotto gli occhi di tutti, di una Corte costituzionale di cui non si riescono a integrare i ranghi. Perché la gente è disattenta? Perché, sono d’accordo con lei, la gente non sa neppure che cosa sia la Corte costituzionale.

Come si fa a far a sapere alla gente che cos’è? A questo dovrebbe servire il dibattito politico, che però è quello che è… Qual è l’agente istituzionale che deve essere messo in campo perché questa ignoranza venga superata? E’ uno solo: la scuola. Che non è la ‘buona scuola’. Piuttosto è la scuola buona: quella scuola nella quale non solo si impara a leggere, scrivere e far di conto; non solo si impara l’algebra o la storia dei romani, ma si impara a conoscere la vita nella quale si è immersi; e le procedure democratiche, che fanno di noi dei cittadini e non dei sudditi”.

Domanda: “Nelle sue parole ci sono echi di Gaetano Salvemini, ma del Salvemini del 1911. Stiamo parlando di cent’anni fa…Siamo ancora fermi lì.
Salvemini faceva le stesse considerazioni, formulava gli stessi auspici che ha formulato lei adesso… C’’è un doppio diritto violato, sempre a proposito di conoscenza: il diritto mio, di cittadino, a sapere; diritto che non viene tutelato, che viene calpestato; ma c’è anche il mio diritto di organizzazione politica, che non si trova nelle stesse condizioni di altre che, invece, possono pubblicizzare ad ampio raggio programmi, proposte, il loro fare…Una disparità di partenza che pregiudica inevitabilmente l’ordine di arrivo…Non so quale dei due diritti violati sia più grave.

Masullo: “Qui si mette in luce il rapporto politica-informazione: è la politica che deve nascere dall’informazione, o l’informazione deve dipendere dalla politica? Nell’attuale situazione italiana è l’informazione che dipende dalla politica. In uno democrazia, corretta, vivente, è la politica che dipende dall’informazione. Ecco perché prima ho accennato alla scuola, a un’agenzia informativa e formativa che è, o dovrebbe essere, indipendente dalla politica.

Dobbiamo aiutare noi stessi e i nostri concittadini a creare le condizioni perché si faccia una politica, non a subire la politica nei suoi capricci. Su questo punto dobbiamo fermare la nostra attenzione: proprio perché non è l’informazione a fare la politica oggi, ma è la politica a decidere dell’informazione che, per esempio, il Partito Radicale viene ostracizzato e non viene fatto conoscere. E’ la politica che decide; e decide che una certa forza è meglio soffocarla”.

Domanda: “Abbiamo cominciato con il “Futuro della democrazia” di Bobbio, siamo al presente, suo e di tutti noi… Si sente di dire che viviamo in Italia, in un Paese democratico?

Masullo: “Mi richiamo a quello che ho accennato prima, parlando degli aspetti procedurali della democrazia. Concretamente si deve individuare quali sono le forme procedurali della democrazia, in questo momento storico che, pur scritte nelle carte fondamentali e nelle leggi, vengono violate”.

Domanda: Pannella parla di “democrazia reale”…Evoca un qualcosa che ci siamo lasciati alle spalle: il comunismo reale, socialismo reale: diverso, evidentemente, da quello prefigurato nei testi, e che nella pratica si era ‘evoluto’ nel modo che sappiamo…Così, “democrazia reale”, ha quel sapore… Uno stato in cui si è sudditi, non cittadini, espropriati dei propri diritti, soggetti a doveri spesso assurdi, odiosi…

Masullo: “Lo siamo perfino in certe piccole circostanze della nostra vita quotidiana: quando, per esempio, si avvicina la scadenza del pagamento delle tasse che, oltre ad essere un dovere civile, è un dovere sanzionato giuridicamente; quello Stato che ci impone il pagamento delle tasse entro una data, tarda a farci sapere che cosa e come dobbiamo pagarle, e costringe il povero cittadino, a fare, all’ultimo momento intollerabili e defatiganti file agli sportelli postali… Tanto che io parlo, scherzando, ma non molto, di una sorta di tortura civile. E’ evidente che in casi come questi, lo Stato entra in contraddizione con se stesso. Del resto, quello che avviene a un livello ben più profondo con la pena di morte dove c’è. La pena di morte è la contraddizione dello Stato, perché lo Stato è nato per difendere la vita dei cittadini. Nel momento in cui lo Stato mette a morte un cittadino, contraddice se stesso.

Così anche in cose molto meno crudeli, anche se c’è una crudeltà nelle piccole cose…Ecco, qui ancora una volta Pannella ha ragione quando invoca lo Stato di diritto. Lo Stato di diritto è quello che non solo fonda i suoi comandi su una legge convenuta, sulla base di un contratto sociale, ma è coerente con le leggi che esso stesso produce, è il primo a rispettare le leggi; mentre lo Stato, è il primo che non le rispetta. Si può ben dire che ci sia un’incoerenza di fondo…”.

Domanda: Si stanno dando da fare per cercare di colmare questa lacuna, di essere coerenti tra il dire e il fare, insomma. Mi pare che, progressivamente, cercano di mettere in campo degli aggiustamenti che siano, appunto, coerenti con le volontà del regime che ci sgoverna, se mi consente.

Masullo: “Esco un momento fuori campo. A proposito della formazione della Corte costituzionale. Oserei fare una proposta. La Corte costituzionale ha come sua essenza un potere giurisdizionale posto a garanzia della legalità e della stessa legittimità del legiferare. Come tale, può, la Corte costituzionale, immaginarsi espressione dei partiti? Una delle ragioni per cui oggi il Parlamento non riesce…”.

Domanda: “Azzardo una risposta, lei ovviamente mi corregga. La Corte costituzionale è composta da cinque membri che vengono nominati dal Presidente della Repubblica; altri cinque membri sono di competenza delle giurisdizioni supreme della magistratura e cinque membri, come abbiamo detto, sono competenza del Parlamento. Nel Parlamento ci sono rappresentanti sì, scelti, selezionati, nominati dai sinedri dei partiti, comunque in qualche modo votati dai cittadini. Diventano, nel momento stesso in cui i parlamentari diventano tali, non più rappresentanti, come in altri Paesi, dei partiti, o della circoscrizione elettorale, ma dell’intero popolo. Così dice la Costituzione.

Ne deriva che gli unici rappresentanti del popolo, nell’ambito della Corte costituzionale, per paradosso, sono proprio quelli che sono eletti da spartizioni partitocratiche; gli altri sono rappresentanti di magistratura, o nominati per decisione presidenziale. Se io cittadino, dò più o meno forza al partito di destra, o a quello di sinistra, di centro… di conseguenza, consento loro di avere maggiore forza contrattuale nella scelta dei membri della Corte. Per questo dico che per paradosso, proprio quei cinque sono forse più figliazione di una rappresentatività popolare rispetto agli altri…

Masullo: “Il paradosso c’è, ma fino a un certo punto. E’ il paradosso della democrazia rappresentativa”.

Domanda: “Per tornare al suo discorso?

Masullo: “Ecco, visto che la legge stabilisce, anzi la Costituzione, quali siano i requisiti che debbano avere gli eligendi o i nominandi alla Corte costituzionale; e, visto che la Corte costituzionale deve esprimere un’assoluta indipendenza da qualsiasi scelta di parte (perfino quella del Presidente della Repubblica, perfino quella della stessa magistratura, volenti o no, è una scelta di parte, sì pure di parti altissime, ma di parte); e visto che, ripeto, sono stabiliti i requisiti che deve avere chi può essere eletto alla Corte costituzionale, perché non costituire un albo di coloro che hanno questi requisiti ed estrarre a sorte i membri del Consiglio? Veramente si garantirebbe assoluta indipendenza da qualsiasi preventivo progetto di sottomissione di questo o quel settore della Corte costituzionale a certi interessi.”

Domanda: Mi fa venire in mente la storiella che raccontava, pensi un po’, Domenico Sica, il magistrato, poi Alto Commissario Antimafia… Era anche umorista. Scriveva dei raccontini per una rivistina satirica, ‘Zut’, si chiamava, diretta da Vincino. Sica immagina un giudice monocratico; sentenziava a seconda del testa o croce; testa assoluzione, croce condanna. Gli dicevano: “Ma non leggi neanche…”; e lui: “Se faccio testa o croce c’è la possibilità al 50 per cento di prendere la decisione giusta; se mi immergo nelle carte e nel dibattimento, sicuramente il margine di errore aumenta”. Lei ora mi dice che sarebbe meglio estrarli a sorte, i giudici della Corte Costituzionale: più rapidi; si evitano i giochi di potere, e i margini di errore…

Masullo: “Naturalmente facendo salvo il fatto che per essere eletti alla Corte costituzionale, bisogna avere certi requisiti. Quindi tutti i giudici della Corte costituzionale sono pari, perché hanno gli stessi requisiti. Attualmente, o nominati dal Presidente della Repubblica, o nominati dalla magistratura, o eletti dal Parlamento, devono comunque avere tutti gli stessi requisiti professionali, morali eccetera… Magari, si può rafforzare anche l’elenco delle condizioni per poter fare parte di questo albo. Anche perché, poi, il professore Tizio deve essere considerato più valido del professore Caio? Hanno tutti la stessa qualificazione professionale; perché il magistrato Tizio è più valido…? Hanno tutti la stessa qualificazione professionale”.

Domanda: Sarebbe interessante da chiedere… anche ai giuristi stessi, agli esperti di diritto, agli addetti ai lavori, cosa pensano di questa proposta, che, quantomeno è originale…

Masullo: “Del resto noi sappiamo che nel mondo greco, le città greche, le loro magistrature le eleggevano a sorte…”.

Domanda: Si potrebbe magari ipotizzare una selezione a monte…

Masullo: “Si garantiscono requisiti paritari e poi si estrae a sorte… E’ comunque è una proposta provocatoria; insisto sul provocatorio…”.

Domanda: Fino a un certo punto. Comunque le provocazioni però hanno sempre un fondamento che induce alla riflessione. Sarebbe interessante da sviluppare questa proposta…Se non fosse la macchinosità di dover mettere mano ancora a delle norme costituzionali che, insomma, abbiamo visto sono un po’ laboriose da modificare… Però è interessante, merita di essere sviluppata…

Masullo: “Ogni tanto si può provare anche a sorridere, non crede?”.

Domanda: Sicuro. E comunque aiuta a pensare…Però torniamo, se lei è d’accordo all’altro tema: la conoscenza, a questa “democrazia reale”, chiamiamola così per distinguerla dall’ideale, che certamente non è mai un punto d’arrivo”.

Masullo: “Se anziché “reale”, dicessimo ‘effettiva’? Nel senso di quella che si è effettuata, che vige…”.

Domanda: Se preferisce…

Masullo: “Comunque lasciamo la nobile espressione “democrazia reale” e non parliamone più…”.

Domanda: Penso alle difficoltà in cui ci troviamo, anche tenendo presente un contesto internazionale; trovo stravagante che si vada non dico a ‘esportare’ la democrazia, perché quando ci abbiamo provato, abbiamo poi visto i risultati; però anche solo avere la presunzione di indicare a paesi che democratici non sono, come devono esserlo; e noi, quotidianamente, siamo la dimostrazione di come si violino le nostre stesse leggi, al punto tale che veniamo condannati a livello quotidiano dalle giurisdizioni internazionali. Ecco: un tunisino, un marocchino, un libanese potrebbe benissimo ribattermi: tu sei democratico, che non hai alcun rispetto della tua stessa legge? Io che per primo sono inerte, indifferente di fronte a tutte le grandi tragedie che si consumano ogni giorno nel mondo e nel ‘cortile’ di casa mia, che il Mediterraneo tutto sommato è un catino…

Masullo: “In effetti, lo scandalo più grande di questi tempi drammatici sta per esempio nel fatto che sono ormai ben cinque anni che dura la guerra intestina in Siria. Sono anni che vengono sterminate intere collettività. Sono anni che passano per le televisioni del mondo le immagini dei tagliagole. E solo adesso, si comincia, in qualche modo, a porre il problema sul piano internazionale…”.

Domanda: “La interrompo un attimo, scusi… Quando lei parla delle televisioni (mi riferisco soprattutto a quella italiana, pubblica e privata che sia, la metto tutta assieme), noi facciamo “notizia” quando vediamo una gola tagliata di un italiano, di un europeo, di un americano. Non è “notizia”, quando le stesse gole (e sono centinaia) appartengono invece a musulmani, massacrati da altri musulmani. Lì non è più ‘notizia’. Non c’è non solo il non vedere a tempo; c’è il mostrare solo una piccola porzione del quadro”.

Masullo: “Questo credo sia la prova del fatto che questa sordità e cecità che ha accompagnato il mondo delle nazioni da cinque anni a questa parte, nonostante tutto ciò che di tremendo avveniva e avviene, sia dovuto alla realtà, qui questa volta bisogna dirlo, degli interessi particolari che stanno dietro. Per cui le Nazioni Unite sono ‘unite’ nel Palazzo di Vetro: i vari rappresentanti vanno lì, ma ognuno è portatore di interessi che contrastano con gli interessi del suo vicino di banco. Non esiste un organismo internazionale, sovranazionale, reale, effettivo. Le Nazioni Unite sono come la Società delle Nazioni dopo la Prima Guerra Mondiale. È la cultura occidentale, che sogna di correggere le sue stesse nefandezze; ma appunto: sogna. Quando si passa dal sogno alla realtà, allora l’impegno viene meno, gli interessi particolari sono più forti della convinzione, della persuasione… Prevalgono gli interessi particolari.”

Domanda: Interessi particolari, dice. Altri parlano di “Poteri forti”, una locuzione che mi lascia un po’ perplesso, come se esistesse un “Potere debole”. Il potere è potere. Più appropriato mi pare sia “Poteri reali”. Ecco:, quando lei parla di poteri particolari si riferisce, per esempio, a i complessi militari, a quelli industriali, petroliferi…quelle istituzioni che travalicano i confini, sono poco conosciute, “consigli di amministrazione del Potere”, composti da persone che possono vivere a migliaia di chilometri a distanza l’uno dall’altro, vicini o lontano da noi, che prendono decisioni che influiscono sulla vita quotidiana di ciascuno di noi, incontrollati, incontrollabili, sconosciuti. Si riferisce a questi centri di potere?

Masullo: “Sì: centri di potere, grandi concentrazioni di interessi che, proprio per questo ‘possono’. Il Consiglio di amministrazione, in fondo, non è che il coronamento dell’organizzazione di questo interesse in potere; ma ognuno di questi centri sovranazionali, internazionali, transnazionali trova nei singoli governi dei singoli Paesi, di volta in volta, alleati, complici. Ancora una volta è la nostra incapacità di trascendere i confini di una società nazionale, di uno Stato organizzato come tale nella sua unicità che rende la vita del mondo quell’inferno che è. La globalizzazione, che cosa è stata? L’inevitabile punto di arrivo dei bisogni e anche dei poteri. Il potere finanziario ha bisogno di non avere confini, senza porte, intralci, si muove ad un livello che non è il livello dei confini…Quel potere, alla fine viene mosso sempre da alcune persone. Gli interessi poi non sono di quelle persone, sono impersonali. Milioni di persone magari sono legate a quell’interesse, in vario modo, a vario titolo e con vari vantaggi; ma di fatto, a muovere le pedine, in nome di questi interessi, sono sempre alcune persone; persone che a loro volta, sono legate a interessi nazionali e transnazionali; senza esserlo, continuano a essere inglesi, americani, italiani o quello che siano. Un bel paradosso anche questo…”.

(trascrizione non rivista dall’autore)

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