In Sepolti vivi

Di Riccardo Bauer

La Chiesa ha negoziato i limiti della sua sovranità territoriale, alla quale sapeva di dover un giorno fatalmente rinunziare, al solo scopo di “strappare” al governo italiano la firma del concordato, in virtù del quale è stata sanzionata la fine dello stato laico. Il concordato veramente e solamente interessava il papa.

Quando nel 1926 Mussolini faceva esprimere il suo desiderio di risolvere la questione romana (così l’“Osservatore Romano” dell’11 febbraio 1929), il papa rispondeva autorizzando all’uopo conversazioni private e confidenziali. “Sin da allora intese e dichiarò che le trattative della eventuale conclusione per il risolvimento della questione romana dovessero procedere e definirsi contemporaneamente e indissolubilmente alla preparazione di un concordato tra la chiesa e lo stato, in modo che la cessazione del conflitto tra S.Sede e Stato dovesse portare con sé, come necessario completamento, il regolamento delle condizioni della religione e della Chiesa in Italia”.

L’intento è chiaro. Ma non sono mancate manifestazioni – subito dopo la firma del patto – che dissipano ogni eventuale dubbio in proposito. Il 12 febbraio 1929 Pio XI concedeva ai parroci di Roma una udienza e accennando all’accordo firmato il giorno avanti annunziava il concordato “che volemmo fin dal principio indissolubilmente congiunto al trattato per regolare debitamente le condizioni religiose in Italia”. Due giorni dopo, in una allocuzione rivolta al corpo accademico ed agli allievi dell’Università cattolica di Milano, il pontefice così si esprimeva:

“Il trattato concluso tra la S.Sede e l’Italia non ha bisogno di molte giustificazioni, sia esterne che interne, perché in realtà esso ne ha una che è la più importante e definitiva. E questa è il concordato. E’ il concordato che non solo spiega, non solo giustifica, ma raccomanda il trattato. E’ il concordato che il papa, appunto perché doveva avere questa funzione, fin da principio ha voluto che fosse condizione sine qua non al trattato; desiderio questo, nel quale, occorre dirlo subito, il santo padre, è stato nobilmente, abbondantemente assecondato dall’altra parte”.

Non si potrebbe più amabilmente accennare alla trasformazione di Mussolini che si fa complice dei progetti antiliberali della Chiesa cattolica. I principi liberali sono la bestia nera di Pio XI che non esita a tradire l’esultanza sua per aver trovato nel fascismo un alleato fedele per combatterli:

“E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza ci ha fatto incontrare: un uomo che non avesse la preoccupazione della scuola liberale, per gli uomini della quale tutte quelle leggi e tutti quei regolamenti erano altrettanti feticci, e proprio come feticci, tanto più intangibili e venerandi quanto più brutti e deformi”.

La chiusa dell’allocuzione, poi, è esplicita:

“Crediamo di aver col concordato ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio”.

Il papato è dunque sceso in campo alla conquista dell’Italia. L’apparente modestia delle pretese territoriali immediate ha mascherato la realtà volontà di predominio sullo Stato laico.

Il fascismo, inaridendo le fonti della libertà, ha avuto così il suo sbocco necessario, fatale nel dominio teocratico. La logica del pensiero cattolico, negatore del libero esame e della indipendenza della coscienza individuale, si è affermata assorbendo nella sua formulazione integrale la formula autoritaria fascista. La reazione politica si è fatta in tal modo reazione spirituale e investe interamente i cittadini italiani non solo nei loro rapporti politici ed economici, esterni cioè, ma nella loro intima coscienza.

A buon diritto Pio XI ha potuto definire il concordato fatto con l’Italia “il migliore” di quanti la Chiesa ha firmati.

E’ evidente che il nuovo equilibrio tra S. Sede e l’Italia, costituitosi col Patto del Laterano l’11 febbraio, è destinato – fino a che non intervengano avvenimenti decisivi a rovesciarlo – ad avere conseguenze assai profonde sia per l’uno sia per l’altro dei contraenti per la trasformazione ch’esso adduce nella loro intima costituzione.

La Chiesa da un lato riafferma il principio della sovranità temporale come necessaria all’esercizio della sua missione apostolica e trova dall’altro, nella nazione italiana il campo più vasto e sicuro di influenza politica e conseguentemente di applicazione della teoria politico-sociale cattolica.

Lo Stato rinunzia alla sua piena sovranità, accetta la preminenza clericale nel suo ordinamento interno: cessa insomma di essere Stato laico e diviene Stato confessionale.

Non è nostro compito analizzare quello che il pontefice ha perduto come capo dei cattolici di tutto il mondo per conseguire una vittoria come capo della Chiesa cattolica.

In una polemica ben nota, il sen. Gentile, sul “Corriere della Sera” del 16 ottobre 1927, scriveva che ogni conciliazione gli appariva “impossibile senza transazioni di cui a breve tempo si sarebbero potute vedere le conseguenze non liete; non solo per l’Italia ma anche per la Chiesa”. E aggiungeva:

“Ha ragione “l’Osservatore Romano” di ripetere che “il papa non può essere cappellano di nessuna potenza” e di sostenere che, ad evitare che sia tale “l’unico rimedio possibile è il dissidio aperto, chiaro, universalmente noto. Ha ragione di denunciare ancora “la necessitò estrema delle proteste: necessità tanto maggiore quanto più imprudentemente certi giornalisti italiani prendono occasione dalla politica ecclesiastica del Governo per affermare…che è santo il dissidio”. E mi permetto di osservare che quando “l’Osservatore Romano” rivendica questo diritto di protesta, conferma la verità della mia tesi: che giovi anche alla S.Sede l’esistenza palese e riconosciuta del dissidio”.

Infatti, subito dopo la conclusione dell’accordo, nei giornali esteri è stata manifestata l’opinione quasi unanime dei maggiori scrittori politici, anche di parte cattolica, che la Chiesa ha ora perduto il suo carattere universale, apparendo ora soggetta ad una determinata influenza nazionale, o quantomeno vincolata determinati interessi nazionali, nell’ipotesi – per conto nostro molto più fondata – che invece di subire l’imperio dello Stato fascista, riesca a dominarlo.

Anche ultimamente Antonio Bruers, sul numero del febbraio scorso di “Gerarchia” (non citiamo fonti sospette), ha ricordato che la “causa, se non unica, prevalente della mancata unità italiana nel corso di molti secoli, fu la necessità, per la Chiesa di non suscitare nelle altre nazioni cattoliche il sospetto che un grande Stato italiano, solido e compatto, potesse indurre a proprio profitto materiale, nel centro stesso della cattolicità, il prestigio spirituale della Chiesa”.

La Chiesa, oggi, riconoscendo l’unità italiana ha ridestato tale sospetto. Ed è per questo che tutta la stampa mondiale ha sostenuto e sostiene la tesi dell’internazionalizzazione del governo centrale della Chiesa. I cattolici stranieri chiedono ora che nel collegio dei cardinali non sia più prevalente l’elemento italiano in modo che sia possibile eleggere un Papa straniero non avrebbe potuto mantenere in Italia la parte di pretendente al potere temporale. Dopo il Trattato il papa deve essere straniero per garantire alle altre nazioni cattoliche la completa indipendenza della politica vaticana.

Ma anche al di là della sfera dei rapporti strettamente politico-diplomatici della Chiesa, il Patto del Laterano presenta per essa non pochi punti oscuri.

La Chiesa, col Trattato combinato al Concordato, ripropone ai cattolici che in tutto il mondo vivono avendo aderito alla compagine dello Stato liberale, un modello di struttura politica al quale essi non potranno – per la logica stessa dei principi cattolici – idealmente non conformarsi.

E’ evidente che il conseguente atteggiamento dei cattolici negli Stati laici o a confessione mista può essere foriero di lotte acerbe ponendosi in urto con l’ambiente politico al quale appartengono.

Essi, o mostreranno di aver fissato in modo definitivo i frutti della coscienza liberale maturata negli ultimi tempi – e non senza l’aiuto della caduta del potere temporale – e reagiranno all’esempio che viene da Roma, con grave pericolo della unità spirituale della Chiesa cattolica, o lo accetteranno in pieno, e si porranno in patria in urto con tutte le correnti politiche liberali di ogni grado e con quelle confessionali avversarie con le quali potevano ormai gareggiare e convivere pacificamente.

Grossa questione per certo, ma che lasceremo approfondire e meditare ai cattolici.

A noi preme invece mettere ancora più in rilievo come l’accordo con la S.Sede riporta nel nostro paese l’atmosfera spirituale e morale del vecchio Stato pontificio che pareva definitivamente sepolto nel ’70 senza rammarico né dei sudditi del Papa, né di alcuno in Europa che avesse coscienza della propria dignità di libero cittadino.

Il regime ecclesiastico, il quale poteva far dire a Gladstone, l’11 aprile 1862 alla Camera dei Comuni, che “gli italiani mantengono viva nella mente l’idea che v’è un’insanabile opposizione tra la condotta dei loro rettori ecclesiastici e quei profondi principi di giustizia, diritto, verità ed ordine, che sono il primo ed inalienabile retaggio del genere umano”, in forma larvata, per l’interposto regime fascista, sta per estendere nuovamente sull’intera penisola adducendovi motivi pericolosi di regresso in ogni campo dell’umana attività.

Oscure sono le previsioni sull’avvenire prossimo del nostro paese nel quale inasprite sofferenze, moltiplicate cause di persecuzioni attendono quanti non hanno curvata la schiena dinanzi alla reazione vittoriosa. Pure non sentiamo di arrivare a conclusioni disperate, a pensare infrangibile la catena che il fascismo con il colpo di scena dell’11 febbraio ha ribadita intorno ai nostri polsi.

Anzitutto la lotta politica in Italia, comunque possa svolgersi, si è chiarita sgombrando il campo dell’equivoco popolare che da tempo si trascinava. Sul tronco liberale si era formato un innesto clericale democratico che voleva rappresentare il contributo che i cattolici svincolati dal non expedit potevano apportare allo Stato moderno. In realtà era cosa ibrida che sfruttava l’atmosfera di libertà più che non contribuisse a crearla e a mantenerla. La rinnovata esperienza è venuta finalmente a confermare ciò che da molti era stato dimenticato o sottaciuto per ragioni tattiche, e cioè che lo Stato liberale moderno non può che essere laico, non può prendere le mosse che dal principio della più assoluta libertà di coscienza. Non è possibile servire la libertà sul terreno politico-sociale e predicare contemporaneamente una verità dogmatica.

In secondo luogo, lo sviluppo logico inevitabile delle sue premesse ideali, dopo un lungo periodo di caos nel quale tutte le più profonde contraddizioni si composero nella pura e semplice volontà di dominio, sbocca finalmente nel grande fiume del dogmatismo religioso; ad esso ricollegandosi trae alimento per affermarsi come antiliberalismo, come distruttore dello Stato uscito dal travaglio liberale.

Mussolini nella sua relazione non fa che porre in luce con particolare compiacenza il rovesciamento delle posizioni liberali nei riguardi della Chiesa e del clero. Egli si presenta al mondo intero come fattore di ordine contro tutte le correnti rivoluzionarie, contro le teste calde, come il restauratore della potenza pontificia, il valorizzatore della fonte perenne dell’autorità, sperando di trarre delle simpatie dei cattolici d’ogni paese un aiuto indiretto per l’influenza che essi possono esercitare sui rispettivi governi. Il suo gioco è abile poiché nella tendenza, non sempre vittoriosa, ma viva, in tutti gli Stati d’Europa (evidente il fenomeno di infiacchimento postbellico) verso un ritorno ai termini politici della restaurazione seguita alla caduta di Napoleone, è chiaro che egli tende a fare convergere a Roma l’attenzione e le speranze dei reazionari di ogni paese.

Superato, nella civiltà moderna, il pensiero cattolico come unica e prevalente norma di vita, alla Chiesa di Roma non rimane, però, che la forza della tradizione e la raffinata abilità politica.

Ma se la tradizione che tocca tante libere coscienze è altamente rispettabile, sino a quando non pretenda di annullare la libertà di quelle che non la accolgono, l’abilità politica appare oggi assai discutibile da un punto di vista etico.

Questa abilità che autorizza la Chiesa ad approvare e difendere le conquiste della democrazia solo sin tanto che le giudichi vantaggiose e finché non veda la possibilità di affermare la sua libertà negandola al pensiero eterodosso; questa abilità che le suggerisce per motivi di convenienza diplomatica di dare il suo appoggio ai governi democratici ben lontani dal seguire programmi accettabili dai cattolici, e nello stesso tempo la rende complice dei più feroci reazionari; questa abilità che le fa accettare oggi l’amicizia di chi ieri è stato bollato col più inesorabile anatema; non può essere definita che con una sola parola: machiavellismo nel senso comune e volgare (anche se inesatto) che è sinonimo di piccola furberia, di scaltrezza. Contro questa abilità tutti gli uomini liberi devono reagire.

Abbiamo a lungo criticato l’anticlericalismo dei nostri padri come eccesso di intransigenza e come espressione di menti anguste; ma oggi, di fronte all’alleanza della Chiesa con il Governo della feroce reazione, impariamo a nostre spese che dispotismo e dogma sono tutt’uno, e comprendiamo le ragioni di una campagna che, senza stile forse, spesso volgare e senza misura pur si proponeva la difesa dello Stato appena costituito dal pericolo grave e reale della disgregazione ad opera della reazione clericale.

E allora ben chiaro si delinea il programma di quanti intendano cooperare per ristabilire anche in Italia un regime di libertà e di democrazia. Rovesciare il fascismo significativa fino a ieri rovesciare anche il compito di tutela della costituzione che solo poteva giustificarne la presenza alla testa dello Stato liberale. Oggi rovesciare il fascismo deve significare anche risolvere definitivamente il problema della sovranità temporale della Chiesa romana in senso negativo. La Chiesa deve essere ignorata dallo Stato. La Chiesa cattolica non può più pretendere di ritornare puramente e semplicemente alla legge delle Guarentigie. Le condizioni storiche che hanno suggerita questa saggia legge sono mutate. Nella ricostruzione di una democrazia italiana la Chiesa cattolica dovrà rassegnarsi ad essere una privata istituzione tutelata dalla garanzia di libertà che lo Stato assicura a tutte le istituzioni senza distinzione. E se il pontefice riterrà che alla sua qualità di capo di una Chiesa a carattere universale non siano in tal modo fatte condizioni degne e quali si convengano, si che – trascurando l’ammonimento dell’esperienza avignonese – voglia porre in atto quello che l’Italia del ’70 tanto temeva, l’abbandono di Roma, ebbene, tanto meglio.

Il papato in Italia fu nel passato il maggiore ostacolo all’unità nazionale, e dopo la costituzione dell’unità è stato uno dei pesi più gravi che hanno ritardato il cammino del popolo italiano sulla via del progresso e della libertà. Ricordiamo che Pio IX, subito dopo la proclamazione del dogma dell’infallibilità, condannò nel “Sillabo”, come uno degli errori più dannosi la affermazione che “il romano pontefice potesse e dovesse riconciliarsi e transigere col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà”.

Non diciamo che il problema si presenti facile e piano per la futura democrazia italiana, né crediamo sia necessario ora qui discutere i termini e proporre i particolari della soluzione. Diciamo soltanto che l’Italia di domani, superato il fascismo, dovrà realizzare la separazione del potere civile dall’ecclesiastico nel modo più pieno e perfetto che si possa pensare”.

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